Postimperialismo, fallimenti russo-americani e la rivoluzione copernicana dei Non Allineati

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Le variazioni della mappa europea a seguito del patto Molotov-Ribbentrop. La spartizione territoriale tra Germania e Russia avvenne in particolare a spese delle Repubbliche baltiche e della Polonia. Foto di Peter Hanula Translator: Bukkia - based on image:Ribbentrop-Molotov.svg, which was based on Image:Ribbentrop-Molotov.PNG, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6672051

C’è un’altra guerra che si combatte in parallelo a quella che vede schierate le truppe russe che invadono l’Ucraina: un conflitto culturale che caratterizza la seconda fase del postimperialismo. Se la prima fase postimperialista è intesa quale quella del trionfo statunitense1, questa seconda fase, in virtù di quanto si muove nella guerra in Ucraina e attorno a essa, segna il fallimento di tale modalità e l’emergere di una modalità diversa: quella della cooperazione economica e della condivisione degli sviluppi tecnologici.

Una modalità che la Cina interpreta con notevole successo, che gli Stati Uniti possono tornare ad abbracciare (per quanto siano preda della grande finanza e del complesso militare industriale) e dalla quale la Russia ora risulta estranea, legata com’è alla logica neostaliniana impostasi col putinismo.

Pur nella variegata complessità del fenomeno, cerchiamo di ricapitolare ed esaminare alcuni aspetti cardine di questa situazione. Lo facciamo col pensiero rivolto in particolare a coloro che a suo tempo hanno gioito della caduta del Muro di Berlino e oggi, arresisi alla propaganda russa e incapaci di immaginare un’alternativa ai contrapposti militarismi russo e americano, si trovano a non osteggiare l’avventura bellica putiniana in Ucraina, o persino a guardarla con simpatia.

2001, la svolta

Il punto di svolta è stato l’attentato dell’ 11 settembre 2001 alle Torri Gemelle. La risposta statunitense alla sfida lanciata da Osama Bin Laden non ha fatto che ripercorrere il consueto binario dello sfoggio della forza bruta e dell’ostinazione nel supporre di poter imporre cambi di regime a qualsivoglia Paese, indipendentemente dalla sua storia e dalle sue caratteristiche: di qui le disavventure in Irak e in Afghanistan. Ma se un gruppo di persone relativamente piccolo e certamente poco armato poteva paralizzare, seppure per pochi giorni, la superpotenza statunitense, se poteva penetrare nelle sue linee di difesa e mettere in ginocchio il suo cuore finanziario, che cosa non avrebbero potuto fare organismi statuali di ben altra levatura e capacità operativa?

Con l’11 settembre tutto è diventato possibile e la dinamica delle reazioni statunitensi alle minacce esogene non ha fatto che rafforzare la percezione della relativa fragilità dell’imperialismo statunitense – e la crisi finanziaria cominciata alla fine del 2006 col crollo dei mutui subprime non ha fatto che rafforzare tale percezione.

Tutto questo ha affossato l’idea di invincibilità degli Stati Uniti. Nel vuoto così aperto si sono inseriti gli altri attori di portata globale: anzitutto la Russia che dopo il crollo del comunismo nel 1989-1991 aspirava a risorgere e a scalzare l’ingombrante presenza americana, e la sorniona Cina, impegnata a far fiorire la propria economia e a farne strumento di crescente influsso nel mondo.

2011, la conferma

Le primavere arabe sono state in un primo momento intese, e promosse dal punto di vista statunitense, come la possibilità che i cambi di regime potessero giungere graditi in Paesi come Libia, Tunisia, Algeria, Egitto, Yemen, Siria. S’è visto che non era vero ma, al contrario, quell’ondata di destabilizzazioni ha dato luogo a focolai di guerre locali che hanno permesso alla Russia di rimettere piede nel Mediterraneo (in Siria e Libia) e alla Turchia di profilarsi con nuove ambizioni di dominio intese a riesumare i fasti dell’Impero Ottomano.

Tutto questo ha sollevato anche nuove ambizioni nel regime iraniano, che aveva da poco smesso di leccarsi le ferite lasciate dal lungo conflitto con l’Irak (1980-1988). Mentre l’abbandono della politica lanciata dal presidente Barak Obama di riconciliazione con l’Iran, da parte di quell’elefante in un negozio di cristalli che risponde al nome di Donald Trump non ha fatto che rendere ancor meno favorevole alla presenza statunitense l’area del Mediterraneo e del vicino Oriente. Il che a sua volta ha ulteriormente rafforzato le ambizioni della Russia ormai saldamente in mano al nuovo zar.

Arriva Putin

Che Vladimir Putin fosse l’araldo del risorgente imperialismo russo doveva essere chiaro fin da quando il suo predecessore, Boris Eltsin, ha abbandonato progressivamente la politica di liberalizzazione e di apertura democratica. Un chiaro indice di questo, fin dagli anni ’90 è stato il riaffermare l’egemonia dello Stato e del governo sulla Chiesa russa, nell’ottica del risorgente mito della Terza Roma intesa come naturale destino di dominio2. E sono ritornate le persecuzioni interne contro i dissidenti: in questo portando indietro l’orologio della storia all’epoca staliniana, cioè a prima del 1956, quando col XX Congresso del PCUS si aprì l’epoca delle denuncia dei crimini staliniani. E, se il proclama neostalinista più evidente è stata la riabilitazione dei crimini commessi dai servizi segreti sovietici a partire dal 1917 (la Čeka fu costituita nel dicembre di quell’anno e nei decenni successivi è stata sostituita in successione da NKVD, GPU, KGB sino a giungere all’odierno FSB ) avvenuta nell’occasione del loro centenario celebrato nel 2017 3, molteplici altri sono stati i passi compiuti per riportare in auge l’imperialismo russo, sia sul piano della propaganda, sia sul piano dell’azione militare diretta.

Tale rinnovato imperialismo ha dispiegato la propria forza anzitutto nelle invasioni in Cecenia: la prima nel 1994, quando ancora al governo era Eltsin, e poi ancora quando nel 1999 al governo era giunto Putin. Vi furono critiche alla violenza utilizzata dalle forze militari russe in Cecenia, ma la risposta è stata una repressione interna sempre più violenta. L’assassinio della giornalista Anna Stepanovna Politikovskaya (7 ottobre 2006) il giorno del compleanno di Putin – quasi che l’eliminazione della dissidente fosse un regalo per il boss – lungi dall’essere l’unico, è forse il caso più esemplare. Nel 2008 la Russia ha imposto manu militari il suo dominio anche in Ossezia e in Abcasia (strappate alla Georgia) e infine nel 2014 in Crimea. La repressione interna si è espressa anche con la chiusura degli organismi che in qualche modo ricordavano le violenze di tipo staliniano e le persecuzioni dei dissidenti in epoca sovietica (esempio, a fine 2021 la chiusura del Centro per i diritti umani “Memorial” e nella primavera 2023 la chiusura del Centro Sakharov).

Se nel caso delle invasioni in Cecenia e Georgia gli Stati Uniti e con essi gli alleati occidentali non hanno fatto una piega (probabilmente faceva premio una visione non distante da quella che al tempo della Guerra Fredda riconosceva l’esistenza di sfere di influenza), con l’annessione della Crimea (2014) c’è stata la tiepida reazione nella forma di sanzioni economiche. Ma ancora implicitamente si accettava che la Russia rafforzasse la sua sfera di influenza riconoscendole una condizione di recuperata potenza regionale.

Nel frattempo però, oltre alle diverse prove di incapacità gestionale degli affari internazionali mostrate dagli Stati Uniti, e alla cronica incapacità operativa dell’Europa, s’era compiuta un’altra condizione che ha comportato un deciso aumento del potere e dell’influenza russa sull’Europa. L’allacciamento di un cordone ombelicale con la Germania, cioè col cuore dell’Europa nonché suo motore economico.

Il peso dei “Nord Stream”

Tra la Russia e gli Stati Uniti c’è un oceano, tra la Germania e la Russia c’è una grande storia” ha detto Putin intervenendo al Bundestag il 25 settembre 2001, poco dopo gli attentati alle Torri Gemelle4. E il Parlamento tedesco ha applaudito convinto. Eppure già all’epoca doveva essere chiaro l’intento del rinnovato imperialismo russo. Ma la Germania da un lato diventava sempre più insofferente alle ingerenze statunitensi: essendo stata occupata dai militari americani sin dalla fine della seconda guerra mondiale e avendo abbandonato ogni sospetto verso la Russia dopo la caduta del comunismo, aveva scelto di rafforzare i legami economici che hanno sempre caratterizzato i rapporti tra i due Paesi, a questo spinta anche dal crescente peso politico dei partiti che si definiscono ecologisti, la cui ostilità antinucleare comportava necessariamente la ricerca di altre fonti di energia. Ed ecco dunque maturare una nuova convergenza tra la Germania, con la sua incommensurabile potenza tecnologica, e la Russia con la sua sconfinata capacità di fornire materie prime grazie al suo enorme territorio. Questo, bisogna tenere a mente, si estende su 11 fasce orarie e fa dalle Russia il più grande Paese del mondo, conferendole pure quel senso di invincibilità tipico del suo carattere nazionale.

Nel 1997 la russa Gazprom e la finlandese Neste si accordarono, con la partecipazione della tedesca Ruhrgas, per prospettare la realizzazione di un gasdotto tra la Russia e la Germania. Nel 2001 l’impresa fu ampliata alla tedesca Wintershall per lo studio di fattibilità. Quando Putin parlò al Bundestag nel 2001 era già evidente l’intento di usare i rifornimenti di energia per assoggettare la Germana alla Russia.

Notevole è che a presiedere il consiglio di amministrazione di Gazprom in quel periodo (anni 2000-2001 e 2002-2003) fu Dmitrij Medvedev, uomo legatissimo a Putin col quale negli anni successivi si è alternato alla Presidenza della Russia e alla presidenza del Consiglio.

Una parentesi sul potere putiniano

Putin è divenuto Presidente russo nell’agosto 1999 su incarico di Boris Eltsin che si dimise per lasciargli il posto; è stato poi eletto Presidente nell’anno successivo e ha mantenuto tale carica per due mandati quadriennali e, poiché la Costituzione russa non consentiva un terzo mandato, nel 2008, dopo aver fatto eleggere Medvedev alla Presidenza, Putin è diventato Primo ministro. Quindi, eletto nuovamente alla Presidenza nel 2012, ha nominato Medvedev Primo ministro e ha ampliato a sei anni la durata del proprio mandato presidenziale. È stato poi rieletto nel 2018 quando ha nuovamente nominato Medvedev Primo ministro. Questi nel 2020 si è dimesso da tale carica ed è stato nominato vicepresidente del Consiglio Nazionale di Sicurezza, organismo a sua volta presieduto da Putin, mentre Putin ha promosso un nuovo cambiamento costituzionale che gli consentirà di rimanere nella carica di Presidente anche dopo la scadenza del 2024: in pratica un’opera di ingegneria costituzionale è stata ritagliata ad hoc sulla figura di Putin che di fatto è divenuto il nuovo dittatore russo, avendo Medvedev come la sua spalla principale.

Foto della tessera di Vladimir Putin quando si trovava nella Germania Est (DDR) come agente in forza alla Stasi. Foto di Ministerium für Staatssicherheit der DDR – https://www.welt.de/geschichte/article185363524/Wladimir-Putins-Stasi-Dienstausweis-Die-Maskirowka.html, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=116058026

La loro comune origine accademica (entrambi sono stati allievi di Anatolij Sobčak), mostra come essi siano da sempre intimamente legati. Anatolij Sobčak è noto per essere stato un importante intellettuale e docente di orientamento democratico. Se ne dedurrebbe che i due suoi allievi di maggior successo ne condividessero gli orientamenti politici: non siamo in grado di dire nulla al riguardo, ma è bene osservare che, qualora Putin e Medvedev avessero maturato da giovani idee di carattere democratico, non sarebbe il primo caso di figure che nel primo tratto del loro impegno politico coltivano idee di un certo tipo ma poi, presi tra gli ingranaggi del potere, le cambiano in favore del pensiero “mainstream” dell’ambiente politico in cui operano. In fondo questo è quello che è avvenuto con Eltsin, prima convinto sostenitore delle riforme di Gorbachev ma alla fine del suo mandato alla Presidenza iniziatore del ritorno all’imperialismo per via putiniana. Qualcosa di simile è accaduto anche a Bashar al-Sadat in Siria: secondogenito del presidente (leggasi dittatore) Hafiz al-Assad, stava cominciando una carriera di oftalmologo a Londra, ma nel 1994 l’improvvisa morte del fratello maggiore, erede designato alla Presidenza della Repubblica, ha fatto sì che fosse richiamato in patria per prepararsi ad assumere quel ruolo rimasto vacante. Nel 2000 alla morte del padre, Bashar ha ereditato il potere e ha cercato di favorire un’evoluzione democratica del Paese. Ben presto la situazione lo ha convinto a tornare sui suoi passi, e ha continuato pari pari la paterna politica dittatoriale5.

Gazprom-Nord Stream come strumento di potere

L’operazione Nord Stream assunse un profilo definitivo nel 2005 quando la partecipazione finlandese fu tolta e l’impresa fu consolidata nelle mani della russa Gazprom con la partecipazione minoritaria delle tedesche Wintershall (BASF) e E.ON. L’anno successivo si costituì in Svizzera Nord Stream AG e nella costruzione del gasdotto furono coinvolte anche aziende italiane e britanniche (Snam e Rolls Royce) mentre si stabilirono accordi con i Paesi nei cui territori sarebbe passata la lunga tubatura. L’operazione aveva dimensioni europee tuttavia Gazprom ne ha sempre avuto il controllo politico, e il 51% delle azioni.

Nel 2011 il gasdotto fu inaugurato. Attraverso due tubature parallele, Nord Stream 1 prese a fornire alla rete dei gasdotti tedesca (e da qui a quella di altri Paesi europei) circa 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno.

La giacitura delle tubature evitava di passare attraverso i territori di Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia: Paesi ostili al rapporto privilegiato che si costituiva tra Russia e Germania. In pratica con Nord Stream 1 si ricostruiva l’intesa tra Russia e Germania che già si era manifestata ai tempi dell’accordo Molotov-Ribbentrop (v. sotto): se allora questa era in detrimento della sovranità nazionale di Polonia e Paesi baltici, nel XXI secolo si è manifestata in modo meno aggressivo, soltanto scansando l’ostilità di questi. Ma sempre ponendo le basi per un rapporto privilegiato che dà alla Russia l’idea di avere le mani libere per agire in quella che considera la sua area di influenza.

Il percorso del gasdotto Nord Stream. Foto di Samuel Bailey (sam.bailus@gmail.com) – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8454783

La posizione dell’ex Cancelliere tedesco Gerhard Schröder (premier dal 1998 al 2005 e pertanto principale responsabile politico insieme con Putin per la realizzazione del gasdotto) quale presidente di Nord Stream AG e poi anche della russa Rosneft (azienda specializzata nell’esplorazione e commercializzazione di idrocarburi) ha certificato l’alleanza tra Russia e Germania nel campo dell’energia. Schröder è stato anche, insieme con colei che gli è succeduta nel Cancellierato, Angela Merkel, sostenitore della realizzazione di Nord Stream 2, un secondo gasdotto la cui costruzione è terminata nel 2021 ma che non è mai divenuto operativo per via dell’intervenuta invasione in Ucraina con la conseguente scollatura tra Unione Europea e Russia.

Nella grande impresa dei gasdotti Nord Stream si trova la chiave degli eventi che hanno scosso l’Europa in questi ultimi anni e in particolare dell’invasione russa in Ucraina, E naturalmente, oltre a questo, anche una delle più importanti ragioni per la quale tante voci nell’Europa occidentale, e in particolare in Germania, si sentono più vicine a Putin e alle sue operazioni militari, piuttosto che alla difesa dell’integrità territoriale di un Paese come l’Ucraina, per quanto questa sia riconosciuta come Paese sovrano e indipendente dalle Nazioni Unite.

Diverse domande sorgono: se la Russia non si fosse sentita “padrona” del cordone ombelicale che rifornisce in primis la Germania, ovvero il Paese più importante dell’Europa, avrebbe con tanta nonchalance invaso l’Ucraina? Se la Germania non si fosse messa nelle mani di Putin per i propri rifornimenti energetici, non avrebbe opposto una maggiore resistenza previa, e non solo postuma, all’aggressività russa? E ancora: qual è il peso dell’ostilità dei tre Paesi baltici e della Polonia agli accordi Russo-Tedeschi?

Valdaj e Cominform

Riguardo alla prima domanda bisogna guardare alla successione di incontri organizzati dal Discussion Club Valdaj, nato a seguito di una riunione svoltasi nel 2004 a Veliki Novgorod.

Fondato dal Consiglio per gli affari internazionali russo, dalla Scuola superiore di economia russa, dall’Istituto per le relazioni internazionali di Mosca (Università MGIMO) e dal Consiglio per la politica estera e per la difesa, è diretto da Andrey Bystritskiy, giornalista e scrittore insieme con altre figure impegnate nei mass-media, a dimostrazione dell’importanza propagandistica di questo organismo per la politica estera russa. Dall’inizio il club organizza incontri annuali di intellettuali, accademici, uomini di stato e di governo di diversi Paesi, in particolare europei e asiatici: una particolarità è che se ai suoi incontri sono stati invitati diversi accademici da ogni Paese, non vi hanno partecipato esponenti della politica angloamericana: in effetti il Club è da intendersi come uno strumento della propaganda anti-liberale e anti-angloamericana, con un’attenzione particolare verso quei Paesi che la Russia mantiene nella propria orbita di influenza o che aspira a cooptare in essa (da Cuba all’Iran, dai BRICS ai Paesi africani). Ovviamente Putin è l’elemento cardine dell’attività del Club e ha partecipato a tutti gli incontri, sin dal primo.

La trama di incontri e rapporti internazionali agganciati tramite il Club costituisce ovviamente una via per influenzare l’opinione pubblica dei Paesi coinvolti. Si potrebbe dire che questo Club sia la versione post sovietica del Cominform, l’organismo costituito nel 1947 per riunire i Partiti comunisti dei vari paesi del mondo e coordinarne le attività avverse ai Paesi democratici occidentali che un paio di anni dopo si sarebbero riuniti nell’Alleanza Atlantica. Anche il Cominform, come il Club Valdai, era inteso come organismo attivo in particolare a livello informativo e culturale. Il Cominform fu smobilitato nel 1956, a seguito dell’apertura della politica anti-stalinista in URSS.

Coerentemente i sui intenti sono stati risuscitati, mutatis mutandis, tramite il Club Valdai per rilanciare l’imperialismo russo che Putin in diverse occasioni ha ribadito fondarsi sull’eredità staliniana come anche sull’eredità zarista.

Come mostra il suo sito web istituzionale, dal 2014, cioè dall’anno dell’annessione della Crimea, ovvero dal momento in cui secondo il punto di vista russo è cominciata la “liberazione” dell’Ucraina dalle ingerenze occidentali, le attività del Club sono cambiate, passando dal “formato inteso a raccontare la Russia al mondo, a un lavoro pratico inteso a conformare un’agenda globale e a fornire una valutazione qualificata e oggettiva delle questioni economiche e politiche globali”. In altri termini, son passati all’attiva propaganda del nuovo imperialismo russo (ovviamente descritto in termini orwelliani quali “visione qualificata e oggettiva”), in questo impegnando tutti gli intellettuali russi chiamati da allora a partecipare a tali incontri.

Se il Nord Stream è stato lo strumento materiale per dominare tramite il controllo dell’energia i Paese europei, le riunioni del Club Valdaj sono state lo strumento culturale per influenzare il modo di pensare e di fare politica nei vari Paesi nel mondo.

Il patto Molotov-Ribbentrop

Ma ovviamente il più importante tra i Paesi sui quali intervenire è stata la Germania, da sempre unita in un rapporto di “amore-odio” con la Russia. Riguardo al quale è rilevante ricordare quanto avvenne con l’intesa Moltov-Ribbentrop dell’agosto 1939. Come ha mostrato recentemente con documentatissima chiarezza Antonella Salomoni6 i reali intenti dell’accordo erano contenuti nel protocollo segreto che dava luogo, tra la Germania hitleriana e la Russia staliniana, alla spartizione della Polonia e dei paesi Baltici (v. l’immagine di copertina). La propaganda ufficiale sovietica ha sempre sostenuto che non vi fosse alcun protocollo segreto e che l’accordo tra i due ministri degli Esteri tedesco e sovietico fosse inteso a guadagnare tempo per consentire all’URSS di prepararsi all’inevitabile conflitto con la Germania nazista. Questa linea propagandistica è stata seguita pervicacemente dallo stesso Michail Gorbachev, pur dopo aver lanciato la sua politica di riforme e democratizzazione della Russia: lo scopo di Gorbachev era infatti di salvare il regime sovietico. E come poteva questo sopravvivere, e per giunta mantenere la sua presa sui Paesi satelliti a partire appunto dai Paesi baltici, se fosse venuta a galla la verità?

Questa essendo appunto che l’accordo si fondava sul reciproco interesse sovietico-nazista nello spartirsi i territori esistenti tra Germania e Russia (e tra questi ovviamente c’era anche l’Ucraina). Il fatto che tale accordo avesse questa reale valenza comporta che il Blitzkrieg lanciato da Hitler prima contro la Polonia (settembre 1939) poi contro Danimarca, Grecia, Jugoslavia (aprile 1939) e contro l’Olanda, il Lussemburgo, il Belgio e la Francia (maggio 1939) così scatenando la seconda guerra mondiale, sia stato facilitato da quei protocolli segreti. In pratica ne viene che l’URSS è stata complice di Hitler all’inizio del confitto. E, tra questo fatto, e la similitudine tra la politica dei campi di concentramento hitleriano e i gulag sovietici, che resta del presunto antinazismo sovietico?

Eppure la propaganda dell’imperialismo russo si è sempre fondata sulla demagogia del suo preteso antinazismo. Di qui l’importanza della rigorosa dimostrazione dell’esistenza dei protocolli segreti, la cui verità storica è stata riaffermata nel 2019 dal Parlamento europeo7 nel richiedere che il 23 agosto sia dichiarato nei Paesi dell’Unione come “Giorno della memoria delle vittime dei regimi totalitari” (tutti i regimi totalitari, incluso quello stalinista che Putin in Russia ha non solo riabilitato ma anche glorificato). Tale risoluzione europea al punto “A” dice: “… ottanta anni fa, il 23 agosto 1939, l’Unione Sovietica e la Germania nazista firmarono il trattato di non aggressione, noto come patto Molotov-Ribbentrop, e i suoi protocolli segreti, dividendo l’Europa e i territori di Stati indipendenti tra i due regimi totalitari e raggruppandoli in sfere di interesse, spianando la strada allo scoppio della Seconda guerra mondiale”.

Ma in Russia questa situazione è sempre stata occultata malgrado i tentativi di diversi studiosi, e in particolare di accademici dei Paesi baltici. Mentre Putin continua ad affannarsi nell’utilizzare il tasto “antinazismo” come strumento propagandistico e di sostegno alla sua politica imperialista all’esterno e repressiva all’interno.

Cosa che peraltro l’URSS ha sempre fatto, fondandosi sul presupposto che la guerra antinazista sia stata vinta da lei, e solo in secondo luogo dalle potenze occidentali. L’assunto di fondo essendo che l’Occidente nel suo insieme cova il germe del nazismo.

La logica del Muro

Non a caso quando a metà degli anni ’50 del ‘900 la Russia cominciò a stendere la sua “cortina di ferro” per separare la porzione della Germania da lei occupata, da quella che era stata liberata dalle truppe franco-ango-americane, la linea di propaganda ufficiale era che quella serie di sbarramenti di filo spinato, cavalli di frisia e avvallamenti che dividevano le due Germanie servivano per difendere la Germania “Democratica” dagli influssi nazisti presenti nella Germania occidentale.

Resti della cortina di ferro costruita al confine tra Germania Est e Germania Ovest dalla metà degli anni ’50. Filo spinato, un vallo, postazioni con mitragliatori pronti a sparare su chi cercasse si evadere verso la Germania occidentale. Foto di Vincent de Groot – http://www.videgro.net – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=468532

E questo tema è stato ribadito quando nel 1961 anche a Berlino fu eretto il Muro: doveva servire per tenere lontani gli influssi nazisti occidentali. Com’è noto, dopo la stesura della cortina di ferro al confine tra Germania Est e Germania ovest, Berlino era rimasto l’unico luogo dal quale i residenti nella Germania sovietica potevano fuggire nella Germania occidentale

Quel muro e le altre barriere che l’hanno preceduto attraverso il territorio tedesco, caso unico nella storia, serviva non per impedire flussi di persone in entrata, ma per bloccare i flussi in fuga dalla Germania “democratica” verso la Germania federale occupata dagli anglo-franco-americani.

Quando il 9 novembre 1989 quel Muro per la prima volta fu superato pacificamente da una massa imponente di persone, senza che nessuna guardia di confine del settore orientale (i famigerati VoPos) sparasse su chi cercava di valicarlo, quella fu la più gioiosa festa per la Germania che finalmente ravvisò la possibilità di ritrovare la propria integrità territoriale e la propria sovranità politica.

La Germania Est, orwellianamente chiamata “democratica”, era stata una grande prigione gestita da un regime asservito alla Russia sovietica. Risulta patetico che nella Germania attuale, tra i figli di quella generazione che conobbe l’onta dell’occupazione e della repressione sovietica, e persino tra coloro che vissero direttamente quell’esperienza vi sia chi guarda con simpatia all’attuale regime russo, proprio nel momento in cui questo riafferma la validità della tradizione imperialista russa e la ripropone manu militari in Ucraina. E patetico è che vi sia chi con Putin ripete pappagallescamente che in Ucraina vi sono pericolosi influssi nazisti. Certo che v’è chi in Ucraina manifesta il proprio nazionalismo anti russo abbracciando la bandiera di chi cercò in modo tanto criminale quanto stupido di sconfiggere la Russia con l’Operazione Barbarossa (giugno 1941), ma si tratta di un’esigua minoranza perlopiù priva di significato, al di fuori degli usi propagandistici russi.

Ancora e sempre Orwell

In Russia si coltiva, come affermazione dell’identità propria, una visione speculare, ovvero invertita, di quanto si afferma nel mondo occidentale. Era così nell’Unione Sovietica, è così ancora oggi. Si tratta di un atteggiamento filosofico, che identifica la missione storica del popolo russo come quella di opporsi e sconfiggere tutto quanto avviene nel mondo occidentale, inteso come quello in cui regna il liberalismo.

Tra gli autori che hanno teorizzato questa visione spicca Alexandr Dugin, che ha avuto un discreto successo anche in ambienti dell’estrema destra europea8. Dugin nel coltivare la retorica del nazionalismo imperialista russo non disdegna di abbracciare elementi della tradizione nazifascista: non a caso prima di aderire al partito di Putin aveva fondato un suo partito Nazional Bolscevico, mentre nei suoi scritti sostiene l’inevitabilità della sconfitta del liberismo, condannato ad affossarsi nelle sue crisi economiche, e prospetta un nuovo avvento dell’Eurasia dominata dalla Russia.

È in questa prospettiva che si muove Putin nel promuovere incontri e accordi con i BRICS e con altri Paesi africani al fine di collezionare un peso politico sufficiente da scalzare quello angloamericano, mentre i mercenari Wagner compiono la stessa opera coi loro interventi armati.

Una simile visione del mondo trapela dalle parole di Segej Karaganov, anch’egli un intellettuale assiduo degli incontri di Valdaj, ovviamente sostenitore della politica putiniana. Karaganov evidenzia che lo scontro militare in Ucraina (che ovviamente descrive come provocato dagli Stati Uniti) non sia un fatto in sé: non qualcosa che può avere una conclusione militare in quanto fa parte del più vasto scontro globale che vede contrapposti il mondo occidentale e il resto del mondo che immagina guidato dalla Russia, in quanto questa è “scelta dalla storia per essere il suo sostegno militare-stategico9. Sono parole in cui si ravvisa il messianismo tipico di chi ricade sotto l’influsso di una visione fanatica nazionalista. La Russia con la sua enormità e la sua centralità geografica si sente destinata a diventare il nuovo padrone del mondo, ora che annusa la possibilità di crisi esiziale del mondo occidentale intrappolato nelle spire dell’avidità del potere finanziario.

Ma anche in questo caso risulta patetico il concetto di Russia vista come la potenza militare capace di dare forza e sostanza alla congerie di Paesi potenzialmente interessati a far saltare l’egemonia americana. Perché l’unico Paese che veramente dispone di capacità paragonabili a quelle statunitensi sul piano internazionale non è più la Russia, malgrado il suo potenziale distruttivo nucleare cui ogni due per tre ricorre Medvedev per profferire le sue minacce: oggi l’unico Paese il cui peso è paragonabile a quello statunitense è la Cina. (Con l’ovvia differenza che il potere demografico della Cina è incommensurabilmente maggiore di quello statunitense).

E, malgrado l’opinione di Russi benpensanti, la Cina aveva bensì bisogno del potenziale militare russo, quando c’era ancora un potenziale militare russo degno di questo nome, ma proprio la guerra in Ucraina ha dimostrato che tale potenziale è ampiamente corroso. Mentre d’altro canto la Cina ormai dispone di un proprio potenziale militare che fa passi da gigante non solo sul piano tecnologico, ma anche su quello quantitativo (la marina militare cinese ha già superato quella statunitense per numero di navi).

E che la Cina abbia interessi comuni con quelli della Russia è tutto da dimostrare, al di là di occasionali convergenze intese a controbilanciare l’arroganza statunitense in politica estera, dato che ancora la Russia occupa porzioni di territorio che strappò alla Cina nell’800 (v. l’annessione Amur del 1858-60) e che forse la Cina amerebbe riprendersi, per non dire di Haishenwai che i Russi chiamano Vladivostok ma che la Cina ancora considera un territorio di sua appartenenza.

Non è solo questione di forza militare

Ma i rapporti tra Paesi e il peso specifico di ciascun Paese o di blocchi di Paesi non è dato semplicemente dal proprio potere militare o territoriale, checché se ne pensi in Russia.

Un criterio di grande utilità per misurare l’importanza dei vari Paesi è quello della vivacità sul piano tecnologico e scientifico. Si può cercare di misurarlo considerando il numero di brevetti registrati per anno: è un indice significativo della capacità che un Paese ha di migliorare la propria economia.

Nella classifica dei Paesi per numero di richieste di brevetti spicca nei primi mesi del 2023 la Cina con 695.000, seguita dagli Stati Uniti (che negli anni passati guidavano la classifica) con 595.700, e poi da Giappone (502.600), Corea del Sud (206.780), Germania (173.220), Francia (72.000), Gran Bretagna (58.410), Svizzera (53.860), Svezia (44.530), Olanda (41.270).

Nel 2020 il numero maggiore di brevetti era stato registrato negli USA (3,3 milioni), seguito da Cina, Giappone, Corea del Sud e Germania. Ma la Cina è il Paese che ha registrato il maggiore aumento nel numero di brevetti nel corso di questi ultimi anni10. Per paragone in Russia nel 2021 il numero di brevetti registrato è stato di 25.904, in decrescita rispetto agli anni precedenti.

Il salario medio mensile di un impiegato in Cina è di circa 29 mila yuan (oltre 4 mila dollari), in Russia il salario medio è di 95 mila rubli (1.130 dollari). E la Cina era uno dei paesi più poveri al mondo sino a una quarantina di anni fa.

Non sono solo aride cifre. Mosca è una delle città più care in Europa: in Russia la disparità tra le élite benestanti e la massa della popolazione resta notevole, mentre in Cina le zone di povertà vengono sistematicamente ridotte.

Guardando a questi dati si vede come la vera sfida per l’egemonia statunitense non viene dalla Russia, ma dalla Cina.

Certamente la guerra in Ucraina potrebbe cronicizzarsi, ma questo non renderà più forte la Russia, solamente non farà che contribuire al suo indebolimento. E che interesse può avere la Cina verso una Russia sempre più debole, a parte acquistare il suo gas e il suo petrolio al migliore prezzo possibile?

E il vero scontro strategico globale non è quello che si sta consumando in Ucraina, ma quello che avviene attorno alle intese economiche che si possono intessere coi cosiddetti “Non Allineati del XXI secolo”11. In questo primeggia la Cina, che con cura mantiene un atteggiamento distaccato verso il conflitto in Ucraina. I contendenti impegnati in questo conflitto, in via diretta la Russia e in via indiretta gli USA con la NATO, vi bruciano risorse, mentre la Cina ne trae vantaggi sia sul piano diplomatico, ponendosi come Paese “terzo” capace di proporre eventuali mediazioni, sia come Paese non belligerante capace di porsi come riferimento per tutti coloro i cui interessi non coincidono con l’imperialismo russo né con l’imperialismo statunitense.

Conclusione

La Russia ha senza dubbio contribuito con la sua disastrosa avventura militare in Ucraina a determinare l’importante passaggio a questa nuova fase del postimperialismo: fornendo l’esempio preclaro di quanto non deve essere fatto. Oggi, appoggiata dall’effervescenza del suo apparato di propaganda essa si illude di poter vivacchiare dei miti accumulati nella sua storia e delle aspettative derivanti dal suo immenso territorio e dalle sue sconfinate risorse, immaginando di poter convincere il mondo di aver ragione nel promuovere una guerra che si ostina a descrivere orwellianamante come scatenata dagli Stati Uniti.

Il problema della Russia è che non riuscirà mai a sviluppare le proprie potenzialità sinché, anziché limitarsi a combattere contro il fantasma del liberismo usando il proprio declinante potere militare, non riuscirà a impegnarsi per sviluppare le proprie potenzialità scientifiche e tecnologiche anzitutto coinvolgendo più ampi strati della propria popolazione nella sfera del benessere: come ha fatto la Cina in questi ultimi decenni. Finché in Russia la popolazione continuerà a essere trattata come carne da cannone da gettare in operazioni militari insensate, in Afghanistan o in Ucraina, non farà che fornire l’esempio di un Paese che nutre vacue mire egemoniche all’estero mentre non è in grado di sviluppare le proprie potenzialità all’interno e di far e crescere la propria popolazione.

La Cina invece si è sviluppata con rapidità che non ha precedenti nella storia universale dal momento in cui ha abbracciato alcuni elementi della politica economica liberale, pur entro un quadro strettamente dirigista. In questo ha “inventato” un nuovo modo di fare capitalismo, cioè di far crescere il capitale dei propri imprenditori, per quanto tale modalità dirigista sia molto simile a quella seguita negli anni migliori dello sviluppo dell’economia degli USA (come le epoche di Alexander Hamilton e di F.D. Roosevelt).

La vera novità in questi ultimi decenni è la Cina, non la Russia che ha scelto di tornare a involversi in vetusti sogni imperiali.

E la chiave di questa fase seconda del postimperialismo sta in come il modo occidentale saprà relazioniarsi col mondo cinese, senza incorrere in nuovi scontri bellici da cui tutti non farebbero che perdere, come stanno perdendo ora tutti gli attori impegnati in Ucraina.

NOTE

1Come riferimento al primo postimperiallismo si consideri Gustavo Lins Ribeiro, “Post-imperialismo: para una discusión después del post-colonialismo y multiculturalismo”, pag 173 (2001): «El post-imperialismo supone la hegemonía del capitalismo flexible, post-fordista, transnacional, con las redefiniciones de las dependencias o el establecimiento de nuevas interdependencias en el sistema capitalista mundial permitidas por la existencia del “espacio productivo fragmentado global”. El fin de la Guerra Fría (1989-91) supone también la hegemonía militar, económica y política de los Estados Unidos, el llamado “mundo unipolar” antes mencionado. Supone un control y concentración de la producción de conocimientos científicos y tecnológicos, sobre todo en aquellos sectores de punta de la acumulación: la informática, la electrónica, la biotecnología. Tampoco hay que subestimar el control del espacio y de la producción de “midiapanoramas”. Hollywood, Sillicon Valley, Wall Street, NASA y el Pentágono son iconos de una economía política apoyada en la producción, circulación y reproducción de imágenes, alta tecnología, capitales financieros y poderío militar. Este capitalismo triunfante, en un mundo de un solo sistema, no necesita dividir al planeta en “esferas de influencia”, como hicieron las potencias imperialistas europeas clásicas (Lenin, 1984: 9) en una repartición programada del globo.»

2Cfr L. Servadio, “Risorge la Terza Roma. L’anima del nazionalismo russo”: Questa istanza imperialista dunque, vistasi tarpata con la crisi del periodo sovietico, è rinata ben presto sotto le spoglie del rinnovato connubio tra Stato e Chiesa sotto l’egida di Putin. Questo fervore di religiosità statale può ben strumentalizzare la minaccia dell’estensione della Nato per giustificare i propri atteggiamenti. Ma è evidente che questi prescindono dalla dinamica delle tensioni internazionali, e hanno a che vedere con qualcosa di più antico, profondo e radicato, che ha assunto da qualche secolo il volto della Terza Roma: Mosca ha un destino imperiale che deve estendere nel mondo, a prescindere che questo avvenga per mezzo del comunismo, dell’Ortodossia o della pura e semplice forza delle armi. ( https://www.frontiere.info/20617/ )

3Cfr Vladimir Pachokov, “Stalin è ancora vivo in Russia?”: Ora, però, nella nuova Russia – che nel 1991 ha scelto la via della democrazia, come sembrava allora, e che dopo il tentativo di colpo di Stato dell’agosto 1991 ha distrutto il monumento a Felix Dzerzhinskj, il fondatore della Čeka – diventa possibile che l’uccisione di milioni di cittadini innocenti di questo Paese, compiuta dal regime comunista con l’aiuto dei suoi Servizi segreti, venga presentata come qualcosa di positivo, o per lo meno come necessaria «nelle circostanze particolari del tempo». (La Civilità Cattolica, 16 giugno 2018, quaderno 4032.

4Cfr Galliano M. Speri, Odi et amo. Il contrastato rapporto che ha unito Germania e Russia nei secoli ( https://www.frontiere.info/odi-et-amo-il-contrastato-rapporto-che-ha-unito-germania-e-russia-nei-secoli/ )

5Cfr Muriel Mirak, Madmen at the Helm: Pathology and Politics in the Arab Spring (Garnet Publishing, 2013)

6A. Salomoni, Il protocollo segreto. Il patto Molotov-Ribbentrop e la falsificazione della storia (il Mulino, 2022)

7Cfr https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2019-0021_EN.html

8Cfr L. Servadio: https://www.frontiere.info/dugin-putin-e-le-tante-fratture-col-mondo-occidentale/

9Cfr E. Hellebroich: https://www.frontiere.info/what-will-follow-in-russias-military-after-the-wagner-pmc-uprising-putin-ended-prigoshins-mutiny-without-bloodshed/

10Fonte: https://worldpopulationreview.com/country-rankings/patents-by-country

11Cfr Andrew Cheatham, The New Nonaligned Movement Is Having a Moment ( https://www.usip.org/publications/2023/05/new-nonaligned-movement-having-moment )

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