Da Rio de Janeiro a Brasilia. L’architetto interpreta un popolo
Come cirri che biancheggiano nitidi nel cielo azzurro dell’estate: le architetture di Oscar Niemeyer non permeano Rio de Janeiro, dove egli nacque, visse e morì, ma la punteggiano, la orientano, la completano, le aggiungono quel sovrappiù d’anima cui si ancora l’identità del luogo: proprio come per Barcellona è l’opera di Gaudí, che vi visse tutta la vita.
Se il genio catalano ha inteso superare lo stile gotico con l’invenzione di strutture arborescenti che crescono come tronchi, rami, foglie, fiori, l’architetto carioca ha superato il razionalismo – nella cui cultura nacque seguendo Le Corbusier – e ha disegnato nel calcestruzzo curve come espressione di un vivere gioioso, sorridente e pieno di luce. Se il primo ha raccolto l’eredità dell’Ottocento e l’ha portata un passo più avanti, fino a divenire icona di un modo nuovo di fare architettura, il secondo ha interpretato al meglio la cultura del Novecento e l’ha slanciata oltre, verso un divenire aperto. Entrambi hanno fondato i loro progetti sull’elaborazione delle superfici curve, con una predilezione per gli iperboloidi.
Se a Barcellona ancora si continua a lavorare per completare il capolavoro di Gaudí, la Sagrada Familia, a Rio si continua a operare per realizzare le ultime opere concepite da Niemeyer. Sono quelle che si allineano lungo il “Cammino Nimeyer” di Niteroi, l’abitato che sorge dall’altra parte della grande baia che Amerigo Vespucci e André Gonçalves, quando per primi vi arrivarono nel gennaio del 1502 scambiarono per un fiume (da cui “Fiume di Gennaio”, Rio de Janeiro). Niteroi fa parte della “Grande Rio” e a Rio propriamente detta è unita dal lungo ponte che supera la baia in quel panorama unico, da paradiso terrestre, fatto di acque marine e lacustri, e colli che sorgono vicini come se si rincorressero l’un l’altro, e folta vegetazione, e cieli splendenti nel caldo sole.
«Niemeyer si è nutrito di questi panorami – riferisce Dante O. Benini, che dell’architetto brasiliano è stato allievo e collaboratore – Li ha assorbiti, se ne è sentito parte: li ha portati con sé. Nel suo studio di Copacabana, a mezzogiorno, ci si sedeva tutti al lungo tavolo rivolto alle finestre verso l’oceano. Tutti da una sola parte, tutti insieme a guardare le onde del mare, lunghe e maestose, lente e possenti. Per trarne ispirazione, per trovarvi pace. La natura a Rio è tutta così: rilievi che si alternano a rilievi. Sono le curve della terra e le carezze dell’acqua che Niemeyer ha riproposto nelle sue architetture. Curve dolci, sinuose, sensuali come quelle del corpo femminile».
La citazione più nota e ripetuta di Niemeyer esprime proprio questa sua vocazione: «Non è l’angolo retto che m’attira, né la linea retta, dura, inflessibile, creata dall’uomo. Mi attira la curva libera e sensuale, quella che trovo nelle montagne del mio paese, nel corso sinuoso dei fiumi, nelle onde del mare, nel corpo della mia donna. Di curve è fatto l’universo».
E di curve sono fatte tutte le architetture che son autenticamente sue. Per apprezzare l’importanza del suo atteggiamento, basta pensare a quanto diverse si presentano le architetture razionaliste, figlie della sua stessa epoca, basate appunto su angoli retti e linee diritte. La sua prima opera autentica, realizzata solo da lui, non in collaborazione con altri, è la chiesa di San Francesco d’Assisi in Pampulha, un quartiere nuovo che volle innalzare il sindaco di Belo Horizonte, Nuscelino Kubischek, nel 1940, affidandone i principali progetti a Niemeyer. La piccola chiesa si specchia nel vicino lago. Ha una facciata trasparente e una copertura a iperboloide che scende per innestarsi nella maggiore di quattro onde disegnate da un secondo corpo edilizio, concluso da una facciata interamente mosaicata da piastrelle bianche e azzurre, rievocanti alcuni momenti della vita di Francesco. «Sto deliberatamente ignorando l’angolo, preferito dall’architettura razionalista – ha detto Niemeyer riferendosi a Pampulha – disegnato con riga e squadra, perché preferisco l’audace comparire delle curve che sono consentite dal cemento armato».
E in effetti oltre che di curve, l’architettura di Niemeyer si nutre di leggerezza e di sorpresa: gli spazi non devono essere prevedibili, possono essere accoglienti pur fondandosi su continue sollecitazioni che incantano. Lo si capisce già vedendo forse quella che è la più semplice tra le sue creazioni: la casa “das Canoas”, che costruì per se stesso nel 1953, in Barra de Tijuca, un sobborgo di Rio. Un tetto piano che si dilata in varie curvature come fosse il disegno di una nuvola, sorretto da pertiche e quasi totalmente vetrata. Di fronte, un laghetto. È come una tettoia aperta sugli alberi che l’attorniano: architettura e natura si uniscono ma senza confondersi, e senza mimesi alcuna. Uno spuntone di roccia sta tra l’esterno e l’interno. L’edifico non grava sul terreno: vi si adatta accogliendolo in sé. È come un manifesto: l’edificio non è fatto per imporsi, ma per posarsi. Non per occupare spazi, ma per aprirsi alla luce.
Quando Kubiscek divenne presidente del Brasile e decise di fondare la nuova capitale, Brasilia, accanto a un lago dove non c’era nulla, per trasportarvi i ministeri che stavano a Rio de Janeiro, ne affidò i progetti a Oscar Niemeyer che lì compì i suoi lavori più importanti – tra i quali spicca la cattedrale, enorme iperboloide di vetro e coste di cemento bianco: sembra raccogliere le energie dell’universo per circondarsene in una luminosità diffusa su cui spicca una croce innalzandosi leggera, quale messaggio celeste.
Se a Brasilia tutti gli edifici monumentali sono di Niemeyer, a Rio i suoi lavori sono disseminati qua e là: ma non a Niteroi il cui volto prospiciente la baia, a lavori ultimati, sarà totalmente dedicato al grande progettista.
Il Cammino Niemeyer di Niteroi è nato dopo la costruzione del Museo d’arte contemporanea, concluso nel 1996, quando l’architetto stava per compiere novant’anni (nacque nel dicembre 1907). Il Museo, che alcuni considerano una delle “sette meraviglie del mondo contemporaneo” si posa sul promontorio proteso nella baia, e sta come un enorme fiore la cui corolla sboccia al sole: «sospeso sopra il panorama» ha detto Niemeyer. Una forma pura, ma non di astratta geometria bensì di concreta presenza, pur nella sua impareggiabile leggerezza. Lo si può immaginare come un disco volante, come un oggetto proveniente da un altro mondo: totalmente estraneo. Si stacca con grazia dal suolo, non pesa, appare anzi distante: se ora sta qui, domani potrebbe volare altrove. Ma intanto è diventato il segno che demarca l’ingresso alla baia, il simbolo del luogo. La stessa vetrata continua che lo cinge tutto attorno ne scandisce la levità e ne dimostra la vocazione: dall’interno consente di osservare il meraviglioso panorama a 360 gradi, guardando l’oceano e la baia, Rio e le sue case affastellate sui pendii e lungo le spiagge. Vi si accede con una rampa sinuosa che sale dalla piazza. Arte esso stesso, oltre alle opere che ospita sembra voler evidenziare che la vera e ineguagliabile bellezza è quella della natura, con le sue mille sfaccettature verso cui ci si può sporgere percorrendone gli spazi interni.
Quando lo vide, Jorge Roberto Silveira, il sindaco di Niteroi, decise che lì il discorso non doveva finire. Nacque così l’idea del Cammino Niemeyer: tre chilometri e mezzo lungo di costa totalmente dedicati a opere che Niemeyer avrebbe dovuto realizzare. A novant’anni il progettista si rimise in cammino: ora non doveva progettare una nuova città ma solo un brano di una città esistente. Ed ecco sorgere la Piazza Juscelino Kubischek, una grande terrazza verso la baia con un percorso coperto e una statua dei Niemeyer con l’ex presidente; poi il Memoriale Roberto Silveira, biblioteca e centro di informazione sulla città, in forma di cupola bianca irregolare, cui si accede con un percorso angolato che scende sotto la pavimentazione; la stazione idroviaria Charitas, lungo pontile coperto che si protende nell’acqua a partire da una rotonda trasparente; la Fondazione Oscar Niemeyer, anch’esso un edificio a cupola ma che arditamente si avvolge a spirale, così che l’ingresso avviene da un’apertura determinata dalla distanza tra il perimetro maggiore e quello minore della base: Niemeyer l’ha inaugurato all’età di 103 anni; il museo Petrobras del Cinema, edificio cilindrico totalmente vetrato; il teatro popolare, in forma di duplice onda con poche centinaia di posti all’interno, ma un palcoscenico esterno per migliaia di persone. Diversi altri edifici già progettati, sono da completare. Tra questi spicca la nuova cattedrale in forma di cupola sollevata da un’adita struttura esterna bicuspide che si slancia verso il cielo: ricorda un poco una mitria, ma dalle pareti svuotate. Proprio nella circostanza della morte di Niemeyer, nel dicembre 2012, l’arcivescovo Dom José Francisco Rezende Dias, ha annunciato che la Chiesa intende procedere con la sua costruzione: ovviamente ci vorranno diversi anni. Sarà un edificio imponente e diverrà il nuovo Landmark di Niteroi, dall’altro capo del Cammino Niemeyer, rispetto al museo d’arte contemporanea.
Se Gaudí impostò la sua vita alla fede e questo ben si vede nelle sue opere – in tutte, non solo nelle chiese – Niemeyer fu comunista e ateo. «Ma credeva nella natura – riferisce Benini – e in questo trovava un anelito di speranza. E ambiva donare al mondo un poco di bellezza, nelle facciate dei palazzi che disegnava. Perché anche i poveri, anche gli abitanti delle favelas, potessero sentirsi pare di città importanti, piene di bellezza». C’è una fede anche in chi fede dice di non avere: nell’essere umano, nell’importanza di lasciare qualcosa di importante su questa terra. «La vita passa come un soffio» diceva Nimeyer. La sua è stata lunga più di un secolo. Con la sua architettura ha dimostrato che non vi sono dogmi cui attenersi nel creare. E che l’opera umana tanto meglio attinge alla bellezza, quanto più cerca di imitare la natura: che non ha linee o angoli retti, ma solo curve. Morbide, sinuose. Leggere come carezze.
Leonardo Servadio
(da Luoghi dell’Infinito n. 175, luglio-agosto 2013)
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