La povertà che uccide e la crescita umana che ci può salvare. Un appello di Don Domenico Poeta

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Edificio distrutto a Gaza. Foto di Diario fotográfico/Wikimedia

Di Don Domenico Poeta

In Israele, in queste drammatiche ore si stanno scontrando due tragiche povertà: quella araba e quella ebraica.

Il medioevo dell’ideologia araba si scontra con una modernità estrema, quella ebraica, chiusa nell’identità di popolo eletto da Dio. Ma il senso di questa condizione di privilegio, così come lo presenta il Tanakh, la bibbia ebraica, quella dell’epopea dei giudici alla conquista della Palestina o degli eroismi dei maccabei, oggi forse dovrebbe essere riconsiderato. Come dovebbero esserlo tanti atteggiamenti che portano alla chiusura verso l’altro. Il cristianesimo ha la pretesa di aver dato “compimento” alle promesse dei profeti, e forse questo suona troppo europeo. E l’islam appare troppo arabo. Le religioni orientali paiono troppo asiatiche. E così via.

La realtà è che nel mondo globale siamo tutti a contatto con tutti e non possiamo più nasconderci dietro a ideologie di alcun tipo, atee o religiose che siano. C’è invece bisogno di un passo in avanti: verso una crescita umana tanto invocata quanto disattesa. A chi serve la guerra? A nessuno, in fondo, neppure a tutti quelli che vogliono rimanere chiusi nelle logiche del passato, della paura, della sfiducia, dell’odio, dei fondamentalismi.

Darsi futuro significa darsi gioia e felicità. Capisco che può essere visto come fuori luogo parlare di gioia in un momento come questo. Ma lo dobbiamo fare. Sono belle parole che non avrebbero valore, se non come risultato finale di tante piccole attività quotidiane, personali e di sistema: ascoltare, dialogare, accogliere, aiutare.

In queste ore di silenzio e di angoscia per tanta parte dell’umanità, vorrei lanciare un appello accorato. In questo mondo tirato agli estremi, facciamo delle scelte estreme, di folle liberazione, oggi stesso:

Scegliamo di vivere, per quel che possiamo, senza denaro.

Scegliamo la non violenza, in casa nostra, con i vicini, con le nostre responsabilità.

Scegliamo l’ascolto e il dialogo, anche con i nemici.

Scegliamo di metterci nei panni di chi piange, di chi soffre ingiustizia.

Scegliamo la semplicità dei bambini.

Scegliamo di operare concretamente per la pace.

Scegliamo di stare dalla parte dei perseguitati.

Scusate. E’ una proposta di parte, è evangelica. Ma forse quel vangelo e quel Cristo non volevano essere confessionali.

Per me la barra del timone resta dritta su questo tipo di scelta, su questa umanità sempre nuova, sempre in viaggio, dentro un progresso umano.

Lotterò fino alla fine per questo tipo di crescita, per questa causa.         

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