I comuni di Paiporta e Valencia sono limitrofi, la distanza tra i punti mediani dei due centri urbani è di circa 6 chilometri. Paiporta è stato il luogo che maggiori danni ha subito con la pioggia torrenziale, chiamata Gota fria o Dana, che ha investito il territorio della Comunità Valenciana a partire dal 29 ottobre 2024. Delle oltre duecento morti causate dall’evento, più di settanta sono avvenute a Paiporta.
Come ha riferito lo scrittore Santiago Posteguillo, che si trovava a Paiporta il giorno della catastrofe, in un’udienza al Senato di Madrid il 22 novembre (programmata da ben prima del disastro ambientale, e con altre finalità), in paese non è piovuto: la pioggia è caduta “a monte”. Ma il 29 ottobre alle h 18,40 la sua compagna l’ha avvistato che l’acqua per strada stava salendo: era il caso di mettere in salvo l’automobile. Tempo di scendere in strada e già l’acqua scorreva troppo impetuosa per cui ha deciso di rifugiarsi in casa e attendere che passasse l’inondazione. Però in breve il flusso d’acqua è divenuto ancor più violento e ha trascinato via tutto; alberi, automobili, persone. La mattina dopo la sua auto era a due chilometri di distanza e davanti al portone di casa una giovane giaceva morta nella strada inondata (la testimonianza di Posteguillo può essere vista a questo link: https://youtu.be/Wjqs5cjmvqg?si=jfrJlGmcdoTXzSaY ).
Posteguillo ha evidenziato come non sia giunto alcun aiuto nei due giorni successivi da parte delle autorità: né Polizia, né Guardia Civile, né Forze Armate. Non ha riferito quel che gli hanno risposto quando ha telefonato a queste ultime. Sentandosi abbandonato, è andato a piedi a Valencia, dove dispone di un altro appartamento, per sfuggire alla situazione insostenibile che s’era creata a Paiporta.
A Valencia, la città limitrofa, non era successo nulla. Perché questa differenza?
Paiporta è attraversata da un torrentello che giunge dalla vicina campagna: il suo alveo è stato la traccia lungo la quale si sono precipitate le acque che hanno squartato il centro abitato.
Come Valencia nel 1957
La vicina Valencia aveva subito una sorte simile a seguito di un simile evento atmosferico accaduto nel 1957: il fiume Tura, che l’attraversava passando per il centro città, straripò allagando tutta la città e i dintorni: le cronache dell’epoca parlano di 300 morti, altre elevano questa cifra a 800, la versione ufficiale del regime fu di 85 morti. Furono distrutti ponti, strade, case.
Fu considerato l’evento più disastroso avvenuto sino a quel momento.
Per conseguenza il governo attivò quello che prese il nome di Plan Sur: un gruppo di tecnici fu chiamato a formulare proposte per evitare che si ripetessero disastri simili. Ne sortì la decisione di deviare il corso del fiume ben prima che questo entrasse città. Fu scavato un nuovo alveo per raccoglierne le acque e farle sfociare in mare a sud della città. Tale nuovo alveo è stato predisposto molto più ampio di quello esistente: normalmente in mezzo a quell’affossatura larga 250 metri si vede scorrere un rivolo e ci si chiede perché mai debba esserci tutto quello spazio attorno.
La foto satellitari scattate dopo l’evento disastroso del 29 ottobre lo spiegano: si vede tutto l’alveo, che usualmente resta vuoto, completamente invaso da acque limacciose che scaricandosi in mare formano un grande alone scuro.
Il vecchio alveo, dove non scorre più il fiume, è diventato un ridente parco pubblico che tra l’altro ospita la Città delle Arti e della Scienza progettata da Santiago Calatrava, ch’è diventata una delle principali attrazioni della capitale valenziana. Le persone che da varie parti del Paese si sono precipitate a Valencia per prestare soccorso ai vicini paesi disastrati, si sono raccolti proprio lì: dove nel 1957 straripò il Tura e dove oggi c’è il nuovo museo e centro espositivo ch’è il fiore all’occhiello della città. E da lì hanno raggiunto a piedi Paiporta e altre località bisognose di soccorsi.
Demagogia o ricerca di soluzioni?
Conclusione: eventi disastrosi come quello del 2024 in realtà non sono nuovi. Di entità simile ne sono accaduti anche in passato. E laddove vi sono infrastrutture adatte a convogliare le acque ed evitare inondazioni, come a Valencia col nuovo alveo del Tura, non vi sono danni.
I mass media dopo l’evento cominciato il 29 ottobre hanno battuto insistentemente sul tasto del cambio climatico come causa del disastro. Per deviare il corso del Tura e impedire catastrofi quali quella avvenuta nel 1957 furono spesi circa sei miliardi di pesetas, reperiti attraverso un aumento del costo dei francobolli e altre accise. Le opere terminarono nel 1973: sedici anni dopo il disastro. La loro efficacia nel prevenire altri eventi disastrosi è stata dimostrata con la Dana dell’ottobre 2024.
Dunque, perché battere solo sul tasto del cambiamento climatico e non proferir parola sulla necessità di un piano di infrastrutture idrologiche atte a evitare il ripetersi di disastri simili, non solo in Valencia capitale, ma anche nei territori vicini? Oggi un ampio progetto infrastrutturale come quello terminato nel ‘73 può essere realizzato con maggiore celerità che in passato, l’ingegneria è molto progredita così come lo sono le strumentazioni tecniche adatte a compiere i lavori.
L’unica risposta che troviamo all’interrogativo, è che il tema del cambio climatico si presta molto bene a rinfocolare le fiamme dello scontro politico. Può essere usato per manipolazioni di ogni sorta: essendosi imposto all’attenzione diffusa è di facile utilizzo per chi ha dimestichezza con gli strumenti della demagogia (a volte impropriamente chiamati “comunicazione”). Alimenta un dibattito che si protrae nel tempo senza giungere ad alcuna conclusione efficace: questo, almeno, è quanto è avvenuto sinora. I molteplici accordi sottoscritti tendono a essere disattesi e anche se fossero rispettati nessuno può avere l’assoluta certezza della loro efficacia, data l’enorme quantità di incognite che sono in ballo (per esempio, gli effetti sul clima delle macchie solari, delle eruzioni vulcaniche, degli incendi nelle foreste tropicali…).
Approntare sistemi infrastrutturali adatti a prevenire o fronteggiare potenziali situazioni di emergenza invece, pur se richiede inevitabilmente cospicui investimenti, permette, se tali sistemi sono ben pensati e progettati come s’è visto per Valencia, di evitare conseguenze tragiche dei fenomeni climatici.
Perché dunque non aprire un dibattito su come predisporre un assetto infrastrutturale che consenta la buona gestione del territorio: in zone a forte rischio come quella della comunità valenziana, ma anche altrove?
(Le foto sono state reperite tutte nel Web e abbiammo riporato le fonti ove queste erano indicate)
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