Jimmy Carter. The Hidden President. Il ricordo di un uomo di pace

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Il Premier israeliano Menachem Begin, il Presidente Jimmy Carter e il Presidente egiziano Anwar al-Sadat al tempo dell'accordo di Camp David (17 settembre 1978). Foto di autore ignoto - U.S. National Archives and Records Administration, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15856363

Jimmy Carter, “Hidden President”. La sua figura è legata al ricordo mediatico della fuga degli USA da Teheran. La foto degli addetti dell’ambasciata che fuggono dal tetto in elicottero descrisse in modo ingeneroso una Presidenza con molti meriti conquistati in meno di quattro anni. Dagli accordi di Camp David del 1978 con Anwar el Sadat e Menachem Begin scaturì il trattato di pace fra Egitto e Israele, nel 1979 la firma del SALT II (Strategic Arms Limitation Talks) con Breznev.

Ero a Boston, Mass., nel 1974 quando, dalla kennedianissima e radical-chic platea democratica, iniziò la sua campagna elettorale, malgrado i media gli fossero contrari e nel segno di una continua denigrazione a base di peanuts (veniva dalla Georgia dove possedeva agri di coltivazione di arachidi) che nello schizzinoso New England non era quel che si dice un bel biglietto da visita. Sul Boston Globe apparve una vignetta con Carter che depositava sul comodino una serie di dentiere atte a manifestare il più artificiale e coinvolgente sorriso possibile, insomma sin da quel momento iniziò una campagna mediatica antagonista che poi impedì il riconoscimento del suo più grande merito, l’appassionata ricerca della pace e del disarmo. Riconciliò la presidenza con il suo popolo dopo le divisioni della scellerata guerra in Vietnam, ma il reaganismo era alle porte, i Chicago Boys (gli economisti portatori delle idee liberiste alla Friedman) premevano e difatti Ronald Reagan stravinse nel 1980 e le reaganomics regnarono sovrane per imporre definitivamente la globalizzazione e in Europa il Thatcherismo.

La sua presidenza fu davvero sfortunata e segnata da eventi imprevisti come l’incidente nucleare di Three Mile Island, l’invasione russa dell’Afghanistan, la guerra civile di El Salvador, la rivoluzione in Iran. Sul fronte economico interno, la guerra nel Vietnam, da poco conclusa quando iniziò la sua presidenza, gli aveva lasciato in eredità una persistente stagflation, una combinazione di elevata inflazione, alto tasso di disoccupazione e scarsa crescita.

Malgrado queste congiunture, mantenne salda la barra della conciliazione, specie in politica estera. Poi arrivò Khomeini che con il suo islamismo sciita voleva regolare i conti con l’imperialismo americano. Carter era tutt’altro che imperialista ma lo scontro fu inevitabile. In quegli anni la guerra fredda raggiunse il suo acme per poi iniziare la sua parabola di discesa proprio con il suo successore Reagan e la sua Strategic Defense Initiative, il famoso scudo spaziale. Iniziava l’era della distensione che prese il volto di Gorbacev. È fantapolitica, ma se si fossero conosciuti Carter e Gorbacev, il destino del mondo sarebbe stato diverso. Carter, con il suo sorriso, fu uomo di pace e di prosperità per il popolo americano ma ebbe contro i media e questo gli fu fatale. Degli ex Presidenti USA viventi, è in fondo l’unico a non aver autorizzato conflitti bellici.

 

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