Il Mercante di Venezia e la lotta all’usura. In età elisabettiana e non solo

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Porzia e Shylock. di Thomas Sully (1835). Foto di Folger Shakespeare Library Digital Image Collection /Wikipedia

Non è il mercante, il protagonista del Mercante diVenezia. Lo è invece Porzia, figura femminile che incarna saggezza e bontà, ed enuncia i principi sui quali si devono basare coloro che reggono gli stati. Come mostra Galliano Maria Speri nel volume Shakespeare e l’arte del buon governo. Porzia vs Shylock nel Mercante di Venezia (Tab edizioni, pagine 220, euro 18,00), la protagonista è Porzia, e il suo ruolo riecheggia quello della regina Elisabetta.

Il saggio rivoluziona le analisi critiche degli ultimi decenni perché inserisce la commedia nel contesto del dibattito strategico per emancipare l’Inghilterra dall’influenza finanziaria straniera. Come sottolinea l’autore, la figura di Shylock che pretende una libbra di carne dal mercante che non ha ripagato nei tempi dovuti il suo debito, richiamava alla memoria del pubblico elisabettiano non tanto l’usuraio ebreo ma i banchieri italiani che riscuotevano le decime per conto dell’odiato papa di Roma. Molti critici hanno fatto notare inoltre che il nome Shylock non è un nome ebraico, ma inglese e sembra richiamare qualche influente puritano, un appartenente alla corrente radicale del calvinismo che considerava il teatro come uno strumento del demonio. I teatri erano infatti sorti sulla riva sud del Tamigi, al di fuori del controllo della City di Londra, la cui amministrazione era dominata dai puritani.

Nella società elisabettiana il teatro aveva un’esplicita valenza politica da quando una legge del 1572 aveva regolato le attività delle compagnie teatrali che potevano operare soltanto sotto il patrocinio di nobili protettori. Questi ultimi intendevano sfruttare il prestigio derivante dal legame con le rappresentazioni per favorire disegni politici o assecondare il gusto dominante. La regina stessa aveva creato una propria compagnia teatrale affidando questo incarico a Sir Francis Walsingham, potentissimo capo del Secret Intelligence Service. Tramite il suo patrono, il conte di Southampton, il Bardo era in contatto diretto con una delle più potenti fazioni della corte, e con John Florio, quasi sicuramente fonte delle sue informazioni sull’Italia ma anche parte della rete di Walsingham. Non dimentichiamo poi che Christopher Marlowe, l’altro grande drammaturgo del periodo, era un agente segreto, assassinato in circostanze misteriose nel 1593.

Molti drammi e commedie shakespeariane rappresentano quindi un intervento nelle discussioni sul futuro del regno e vanno inseriti nella tradizione dello speculum principis, quelle opere che, come l’Educazione del principe cristiano di Erasmo da Rotterdam, Utopia di Tommaso Moro o Il principe di Niccolò Machiavelli, si prefiggevano lo scopo di educare il principe affinché diventasse un buon regnante. Secondo l’autore, una tragedia come Amleto, un’opera-mondo che può essere sviscerata per decenni, non rappresenta soltanto l’enigmatico principe di Danimarca ma è un invito diretto alla regina a fare una scelta precisa per il futuro del regno. Elisabetta, Virgin queen senza eredi, non designò alcun successore e, alla sua morte, l’Inghilterra passò nelle mani di Giacomo VI di Scozia, uno straniero portato sul trono dai maneggi del potente ministro Robert Cecil. Proprio come succede alla Danimarca di Amleto che sarà governata da un re norvegese. Se Amleto e Macbeth hanno un esplicito contenuto politico, il Mercante di Venezia ha come centro di gravità la denuncia dell’usura, un tema popolarissimo tra Cinquecento e Seicento, tanto che un critico ha contato ben settantuno commedie che trattano l’argomento.

Il controllo della finanza da parte di stranieri era un problema particolarmente sentito nella società elisabettina perché già dall’inizio del regno di Enrico VII, fondatore della dinastia Tudor, l’Inghilterra cercava di emanciparsi e sviluppare una propria manifattura, avendo come modello proprio Venezia, potenza navale e commerciale globale. A partire dalle prime crociate, diverse compagnie bancarie italiane si erano insediate in Inghilterra e avevano progressivamente preso il controllo delle finanze reali e del mercato della lana, arrivando addirittura al privilegio di battere moneta. Chi analizza il Mercante come uno scontro tra l’usuraio ebreo e la società cristiana del periodo sembra ignorare che, dopo l’espulsione degli ebrei nel 1290, la finanza inglese era completamente controllata da banchieri stranieri, soprattutto italiani. Il personaggio principale di questa brillante tragicommedia quindi non è il feroce usuraio Shylock, né il pallido mercante Antonio, ma Porzia, la vera eroina della storia, che impartisce alla regina Elisabetta una magistrale lezione sull’arte del governo. Il mercante di Venezia diventa così un modello per sconfiggere la malvagità dell’usura grazie all’intelligenza di una donna che possiede la virtù e ha il coraggio e la giusta intuizione per intervenire in una situazione dove il potere maschile mostra tutta la sua inadeguatezza. Questa lettura controcorrente, sostenuta da un’attenta ricostruzione storica ed economica del periodo, indaga il Mercante nel contesto delle accese discussioni politiche che, prendendo la Repubblica di Venezia a modello, nel secolo successivo avrebbero trasformato l’Inghilterra nella regina dei mari.

Galliano Maria Speri

Shakespeare e l’arte del buon governo. Porzia vs Shylock nel Mercante di Venezia

(Tab edizioni, pp. 220, euro 18,00)

Galliano Maria Speri, anglista di formazione, è giornalista pubblicista dal 1990 e si occupa di politica internazionale. Ha insegnato lingua e letteratura inglese nei licei. Scrive regolarmente su Frontiere.info e ha creato il sito di approfondimento nonsiamounisola.eu. Appassionato di musica, è corista nel coro dell’Accademia Vocale Romana.

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