Mario Lettieri e Paolo Raimondi Il G20 di Osaka, purtroppo, è sostanzialmente fallito. Ci sembra che gli Stati partecipanti, che rappresentano l’80% del prodotto mondiale, non riescano a dimostrare capacità e volontà sufficienti per “gestire” insieme i problemi e le sfide globali, perdendo così autorevolezza, affidabilità ed efficacia decisionale. Intanto il mondo rischia di dilaniarsi in conflitti economici, finanziari e monetari, in cui i dazi e le ritorsioni sui commerci assomigliano sempre più a guerre combattute, per fortuna, senza l’utilizzo delle armi. La risoluzione finale del G20, infatti, si limita a riconoscere che “le tensioni commerciali e geopolitiche si sono intensificate. Noi continueremo a fronteggiare questi rischi e intendiamo essere pronti a intraprendere successive azioni”. È davvero poca cosa! Si ignora del tutto che nei mesi passati ognuno è andato per proprio conto, subendo le quotidiane provocazioni del presidente Trump che impone dazi e sanzioni. A Osaka sono finanche scomparse le parole “dazi” e “protezionismo”, che non hanno avuto citazione nel documento finale. Invece il termine “protezionismo” fu esplicitamente menzionato, prima di finire all’indice, al G20 di Amburgo nel luglio 2017 quando si dichiarò di voler ”continuare a lottare contro il protezionismo e tutte le altre pratiche commerciali scorrette, riconoscendo il ruolo degli strumenti di legittima difesa commerciale”. Si tratta, quindi, di un notevole passo indietro rispetto ai G20 precedenti. Esce certamente sconfitto il multilateralismo. Trump ancora crede di poter determinare in modo unilaterale tutte le problematiche geopolitiche e geoeconomiche, mentre è sempre più evidente la necessità di affrontarle e risolverle insieme. Non si dimentichi che anche il ruolo delle Nazioni Unite è stato sempre più eroso. È un altro passo indietro anche rispetto al G20 del dicembre 2018 a Buenos Aires, dove almeno si affermò chiaramente “l’impegno di lavorare insieme per migliorare un ordine internazionale basato sulle regole, che sia capace di rispondere in modo efficace a un mondo in continuo cambiamento”. Già allora, però, su una materia delicata, quella ambientale, Trump pretese che nel documento finale fosse scritto che”gli Usa ribadiscono la loro decisione di ritirarsi dall’Accordo di Parigi”. Si trattava dell’importante Accordo dell’Onu sul clima e sulla riduzione delle emissioni di CO2. Il fallimento di Osaka è del resto provato dal fatto che hanno dominato gli incontri bilaterali, anche se importanti. Ma non è questo il compito primario del G20. Forse il meeting più significativo, ai margini del G20, è stato quello dei capi di Stato dei paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), che puntano a rappresentare oltre il 50% della crescita del pil mondiale entro il 2030. Essi hanno dichiarato che “sostengono un commercio internazionale trasparente, non discriminante, aperto, libero e inclusivo. Il protezionismo e l’unilateralismo sono contro lo spirito e le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio. Riaffermano l’impegno per il multilateralismo e la legge internazionale e il sostegno per un sistema commerciale multilaterale basato sulle regole, con l’Omc al suo centro”. Tuttavia, la risoluzione finale del summit contiene alcune idee e proposte rilevanti. Prima di tutto l’impegno verso la digitalizzazione dell’intero sistema economico e sociale e la valorizzazione delle infrastrutture, quale “motore della crescita economica e della prosperità”, in grado di coinvolgere anche gli investitori privati. Osaka, inoltre, propone positivamente una tabella di marcia per la riforma non più procrastinabile dell’Organizzazione mondiale del commercio, perché da tempo non riflette più i reali processi economici e il ruolo dei nuovi attori internazionali. Ancora una volta i paesi dell’Unione europea hanno fatto solo presenza, in ordine sparso, concentrandosi, come ha fatto anche il nostro governo, su problemi di “casa propria” e su quelli interni all’Unione. Il lungo viaggio in Giappone non è stato messo a frutto per mostrare al mondo che l’Ue è un soggetto capace di intervenire, proporre e incidere realmente sulle questioni globali.]]>
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