Riceviamo questa testimonianza da Don Domenico Poeta, presbitero dell’Arcidiocesi di Siena Colle Val d’Elsa, e volentieri la pubblichiamo.
Si è sempre parlato di amicizia tra i popoli anche se non si è fatto abbastanza. È poco per il bisogno spasmodico di conoscenza reciproca, di vissuto, di relazioni. Come si dice spesso, sappiamo tutto della Juventus ma non conosciamo la famiglia della porta accanto, magari migranti.
Per caso in passato ho dovuto seguire dei progetti di cooperazione. I militari italiani del contingente NATO in forza in Kosovo avevano un ufficio di cooperazione civile-militare, certo CIMIC (Civil-Militar-Cooperation), la Fondazione MPS di Siena metteva dei denari (trecentomila euro in tre anni) e due persone della fondazione Migrantes di Siena, tra cui io, dovevano seguire da vicino i restauri di un grande ginnasio nella città di Peja, con circa tremila studenti, quasi tutti musulmani, giovani, desiderosi di incontrare noi italiani, con tanta voglia di scherzare e di vivere. Insomma, ci stavo bene.
Dal 2004 al 2008, il grande ginnasio Bedri Pejani di Peja fu completamente restaurato, dalle coperture alle finestre, dall’impianto di riscaldamento ai bagni, ai pavimenti, mentre i ragazzi ci aiutarono a tinteggiare le aule con una certa fantasia, inoltre collaborarono per le pulizie e le sistemazioni esterne.
Per due anni consecutivi vennero in Italia in cinquanta ragazzi, dormirono presso delle strutture pubbliche e visitarono varie istituzioni e città, Venezia, Firenze, Roma. Il sindaco di Peja collaborò con un contributo alle spese dei lavori alla scuola e mettendo a disposizione un bus per i viaggi in Italia.
Non sto a raccontare il calore dell’accoglienza tra il goliardico e il giovanile, quando arrivavamo a scuola noi italiani con i tecnici delle ditte specializzate per eseguire i lavori, con i volontari, con gli insegnanti. Una festa finanche esagerata con applausi, esaltazioni dell’Italia come il paese più democratico e avanzato del mondo, ecc. Qualche volta non potevamo entrare in una classe di scuola per il tifo pro Italia e gli applausi caciaroni che esplodevano.
Per me fu un bagno di entusiasmo, anche se il lavoro era molto duro e delicato. Si trattò di tre gare d’appalto pubbliche con tutta la progettazione e i dettagli tecnici da fornire su cui ho passato più notti a scrivere e disegnare. Non mancarono i mafiosi e i corrotti di turno da affrontare ma ci riuscimmo con successo, grazie soprattutto alla grande collaborazione della popolazione locale e dei militari della KFOR con i loro tecnici.
In conclusione questa è la mia testimonianza e una domanda mi sorge spontanea: abbiamo bisogno di più armi per sciogliere le tensioni e creare relazioni tra i popoli, o ci sono vie più importanti ed empatiche come le scuole, gli ospedali, le strade, i servizi alla persona, il mutualismo, lo scambio di lavoro, di idee, di esperienze?
Leggevo in un articolo che gli USA in Afganistan avrebbero speso circa un milione di dollari per abitante e poi se ne son andati in fretta e furia lasciando un disastro e tanto odio.
Con la cooperazione non sarebbero certo avvenuti dei miracoli in Afganistan ma oserei dire, diamo un decimo di quei denari a delle serie associazioni e sono sicuro che uscirebbero dei buoni lavori e delle buone relazioni.
Lo stesso vale per tutti gli altri conflitti del mondo e il maggior nemico è sempre l’indifferenza.
Cosa possiamo fare?
Forse è una domanda scontata. C’è tanto da fare anche intorno a noi, anche invitando a cena il vicino di casa, magari un emarginato.
Ma la domanda più importante è, cosa dobbiamo cambiare dentro di noi per non essere più indifferenti al grido di giustizia del mondo, per trasformare il mondo liquido dell’umanità in un viaggio: con una meta, con delle tappe intermedie da fissare insieme, con delle condizioni di “leggerezza” del carico per poter viaggiare meglio. Con delle attese, dei compagni di viaggio, con una simbolica, una poesia, una bellezza, un’arte, una liturgia per chi ci crede, una gioia.
Questa è vita.
Non mi scandalizzo dell’uso della forza, non siamo ipocriti. Mi scandalizzo molto di più per l’assenza di un viaggio importante. Un solo viaggio dobbiamo fare nella vita e su questa rotta non possiamo mancare.
Buona strada, buona ricerca, buona amicizia,
Domenico Poeta