FRONTIERE

Un viaggio in Argentina. Immensa.

Di Manola Battaglia 

Dal libro Cuore ho preso spunto per dare il titolo al mio racconto, ma rispetto a quello del protagonista il nostro viaggio iniziato da Pisa è stato molto più agevole, comodamente seduti sull’aereo che in 14 ore ci ha portato a Buenos Aires.
Questa volta ci siamo rivolti ad occidente cambiando anche emisfero, lasciando il nostro tardo autunno per una primavera inoltrata e da lì abbiamo visto la luna… a testa in giù: non più gobba a ponente luna crescente e gobba a levante luna calante ma l’esatto contrario, e lì è anche sincera mentre da noi è… “bugiarda”.
Alle cinque del luminoso mattino la popolosa capitale Argentina (13 milioni di abitanti) già sveglia e attiva ci ha accolto con i suoi palazzoni della periferia e le sgangherate casette multipiano costruite dagli immigrati lungo la ferrovia fino alla stazione centrale.
La vista è stata però ricompensata dalla veloce visita ai luoghi più suggestivi di Buenos Aires, ma solo dopo aver  soddisfatto il gusto in un caratteristico ristorante dove ci hanno servito la famosa carne asado e le empanadas.
La Plaza de Mayo  è  stata la prima meta: teatro di importanti avvenimenti come la rivoluzione di maggio (premessa dell’indipendenza dagli spagnoli ) o come luogo di riunione delle madri dei desaparecidos è circondata da prestigio si e signorili edifici primo fra tutti la Casa Rosada, residenza presidenziale circondata da una grande cancellata di ferro fatta erigere dall’attuale presidente Macri. Passando davanti al famoso stadio della Boca siamo entrati nell’omonimo e più italiano dei quartieri di Buenos Aires con le coloratissime case in legno e lamiera della via Caminito costruite dagli immigrati genovesi che, parsimoniosi per tradizione, le avrebbero dipinte con le vernici avanzate ai cantieri del vicino porto… così ci hanno raccontato; ed in questa realtà è nato il tango che si balla ovunque anche nelle piazzette e nei locali all’aperto.
A sorpresa una statua raffigurante papa Francesco, il più conosciuto cittadino di Buenos Aires, ci ha “benedetto” dal terrazzo di una casetta multicolore…
E quel primo giorno la visita alla città è terminata in anticipo a causa di una “mini” azione terroristica al famoso cimitero della Recoleta dove fra gli altri è sepolta Evita Peron.
La mattina successiva riposti gli abiti primaverili, siamo volati nella fresca e ventosa  Patagonia Atlantica per incontrare i pinguini Magellano di Punta Tombo che arrivano ogni anno per riprodursi nella più famosa e accessibile “pinguinera” patagonica. Indifferenti alle centinaia di turisti che li osservano, si corteggiano,  si accoppiano, covano le uova in buche scavate nel brullo terreno e svezzano con cura i loro piccoli; da qui, grandi e piccini, ripartono alla fine dell’estate australe per vivere in mare aperto davanti al Brasile. Con loro condividono l’ambiente anche i guanaco animali simili ai lama, i particolari tapiri pelosi che non si sono fatti vedere e una varietà incredibile di uccelli soprattutto marini… insomma la natura nella sua più autentica espressione.
Il giorno successivo siamo partiti dalla base di Porto Madryn alla volta della  penisola Valdes, una delle più importanti riserve  di fauna marina al mondo, dichiarata da diversi anni patrimonio dell’Unesco. Con il pulmino abbiamo percorso oltre 100 chilometri immersi nel nulla apparente, territori infiniti coperti da una bassa e ispida vegetazione avvezza a sopportare i forti venti che soffiano incessantemente; ma c’è vita, eccome se c’è! Ogni tanto l’autista si soffermava per mostrarci i gruppetti di guanaco, la volpe argentina, i barbagianni mimetizzati con i cespugli, un nandù tipico struzzo sudamericano in miniatura e… tante pecore merinos al pascolo. La steppa infinita è tutta recintata ed è proprietà privata: gli ovini sono la principale risorsa della Patagonia e i gauchos a cavallo, provenienti dalle isolate ma autosufficienti fattorie, spostano le greggi  per far sì che sui terreni sfruttati possa ricrescere la tenace erba.
A Porto Piramide, visto che le condizioni meteo lo permettevano, abbiamo effettuato la navigazione per l’avvistamento, andato a buon fine, della balena franca australe, che staziona da giugno ai primi di dicembre in queste tranquille acque della penisola per riprodursi. E io, incosciente e indifferente al continuo dondolio, tutta presa a fotografare e filmare, ho utilizzato più volte i sacchetti messi a disposizione dai conducenti del catamarano….
Per fortuna l’esplorazione della penisola Valdes è proseguita sulle quattro ruote e poi a piedi per osservare da vicino gli elefanti marini spiaggiati sulla sabbia spazzata dal solito continuo vento ma bagnata da un mare che mostrava tutte le sfumature dell’azzurro e i leoni marini che si trascinavano sulle scivolose scogliere: per me sempre foche erano prima di conoscere la differenza.
Quasi dimenticavo di riferire che da quelle parti, nel 2013, sono stati ritrovati i resti del più grande dinosauro esistito sulla terra, vissuto 95 milioni di anni fa e battezzato Titanosauro per le sue enormi dimensioni. La Patagonia si è rivelata un inesauribile “giacimento” di fossili dei dinosauri dove hanno scavato anche i ricercatori del museo di storia naturale della Certosa di Calci che hanno poi documentato le fasi di recupero e di restauro  dei reperti.
È il momento di riprendere l’aereo, volare verso la “fin del Mundo” e atterrare a Ushuaia, ultimo avamposto abitato prima del polo sud e capoluogo della Terra del Fuoco! L’arcipelago è così chiamato per i grandi falò visti dai primi esploratori che lo raggiunsero via mare, Magellano per primo,  e che servivano ai nudi nativi per scaldarsi ma anche per comunicare fra loro.
È aumentato il grado di latitudine e sono diminuiti i gradi di temperatura: fra poco sarà estate ma dobbiamo coprirci con piumini, cappelli e impermeabili data la continua variabilità del tempo. Il paesaggio è cambiato completamente: rispetto all’arida pampa qui c’è tanto verde che si riflette nei miei occhi, dalle piccolissime foglie dei faggi australi che si spingono fino al mare  all’incredibile verde acceso delle borraccine che si estendono come prati anche sulle isolette dove vivono colonie di cormorani e di leoni marini.
La cittadina si è sviluppata rapidamente anche  per l’apporto degli italiani che nel dopoguerra si stabilirono a Ushuaia dopo aver costruito gran parte della città e, attualmente, l’80 % degli abitanti discende dai nostri immigrati.
Non so se è leggenda o verità ma ci hanno raccontato che gli italiani furono invogliati a emigrare nella terra del fuoco mostrando loro le fotografie taroccate del luogo.
Mi sono innamorata di questo posto pur essendo freddolosa: qui il fascino del mare abbraccia la fresca bellezza dei fitti boschi, salvaguardati e protetti, che si estendono per migliaia di ettari mentre la perenne neve sulle vette Andine quasi illumina il paesaggio sottostante. Con il sole è piacevole passeggiare nella cittadina e lungo il porto, ma se piove e tira vento si sta benissimo seduti al caldo in uno dei caratteristici locali a mangiare e bere le specialità del luogo.
In questo periodo le giornate sono lunghissime ma durante l’inverno il buio è padrone: forse per questo la gente del posto predilige i colori vivaci.
Fa un po’ impressione pensare che la distanza da qui all’Antartide sia di soli 1000 chilometri, praticamente a due passi dal polo sud; purtroppo domani si riparte verso nord ovest e chissà se un giorno rivedrò questi luoghi.
La meta successiva, El Calafate, ci accoglie con la pioggia ma l’indomani splende il sole e la visita al più famoso monumento naturale della Patagonia promette bene. Per raggiungerlo si viaggia per 75 chilometri costeggiando l’immenso e turchese lago Argentino attraverso colline e pianure recintate dove pascolano, anche qui, le pecore che i proprietari terrieri allevano mentre qualche condor volteggia sopra di noi.
Il perito Moreno (così chiamato in onore dell’esploratore argentino Francisco Pascasio Moreno qualificato come esperto, specialista ovvero perito) si mostra fin dalle prime curve del parco ed è già emozionante; non è il più esteso dei ghiacciai della zona andina a sud ovest del paese ma senz’altro il più accessibile e lo spettacolo che ci regala dai vari belvedere e dal battello è mozzafiato: dalle imponenti pareti  che sembrano adagiate nei due laghi davanti ad esso, si staccano fragorosamente enormi blocchi di ghiaccio lasciando scoperte  sempre nuove e azzurre geometrie. E per fortuna queste formazioni estese centinaia di chilometri quadrati sono inesauribili: l’incontro dei costanti e forti venti provenienti dai  due oceani provoca abbondanti nevicate che solidificando, incrementano continuamente i ghiacciai, una delle maggiori riserve d’acqua dolce
 del pianeta.
Lasciarsi alle spalle tanta bellezza è doloroso ma inevitabile e così ci consoliamo andando alla scoperta della simpatica cittadina:  una visita al museo del ghiaccio per istruirci e una bevuta sotto zero in un caratteristico quanto assurdo locale per divertirci.
Un arbusto spontaneo, le cui bacche blu sono commestibili e i cui rami servivano per fessurare le imbarcazioni, ha dato il nome a questa cittadina che, nata negli anni venti per il commercio della lana, si è sviluppata in maniera esponenziale solo recentemente da quando è stato istituito il parco nazionale dei ghiacciai ed è stato costruito l’aeroporto.
E, per non perderci niente, abbiamo sorbito un gelato al piacevole gusto delle bacche di El Calafate!
Prima di raggiungere la nostra ultima meta, siamo ripassati dalla capitale per assistere, in un caratteristico locale, ad un vivace e bello spettacolo di tango argentino consumando una buona cena a base di asado.
La mattina dopo si vola ai confini con il Brasile e il Paraguay, nel Parco  Nazionale creato intorno alle cascate Iguazù anzi passiamo subito la frontiera per ammirarle dal punto di vista brasiliano, volendo anche dal cielo con l’elicottero.
Il fiume omonimo, lungo i quasi tre chilometri del suo percorso, ne forma ben 275 e attraverso sentieri e passerelle, all’interno di una rigogliosa foresta tropicale, è possibile immergersi in questo paesaggio umido e vaporoso.
E se non ti ripari adeguatamente esci fuori bagnata da capo a piedi ma, visto il clima, si richiede pure!
Con un caratteristico trenino siamo entrati, il giorno successivo, nel versante argentino del parco  “esplorandolo” per diversi chilometri attraverso  passerelle sopraelevate che solcano anche il rio Iguazù, costruite in mezzo alla verdissima “giungla” brulicante di animali e di orchidee. E anche qui lo spettacolo degli innumerevoli salti ci ha ripagato della fatica e della stanchezza accumulata durante tutto il viaggio. In particolare l’acqua che si tuffa per 70 metri nella gola del diavolo genera una cascata che è nello stesso tempo spaventosa e affascinante. Come affascinanti sono le specie animali che qui vivono liberi e ogni tanto si palesano durante la nostra passeggiata: dall’alligatore immobile in un fiumiciattolo alle scimmie che saltellano fra i rami o ai numerosi e dispettosi coati, della famiglia dei procioni, che circolano fra i turisti per “rubare” quanto più cibo possibile.
Ancora con i capelli e i vestiti estivi bagnati siamo ripartiti alla volta di Buenos Aires per prendere il volo che ci avrebbe riportato nell’inverno del nostro emisfero.
Non dimenticherò questa avventura vissuta dal freddo subantartico della terra del fuoco al caldo umido subtropicale (oltre 4.500 chilometri in linea d’aria), insieme a otto compagni di viaggio che hanno contribuito a renderla piacevole.
Grazie alle preparate e competenti guide che ci hanno accolto in ogni località, ho avuto l’opportunità di dare voce e informazioni preziose ai luoghi visitati: la burbera Francesca nella penisola Valdes, Alejandra alla “fin del mondo”, Inès a El Calafate, Piazza a Iguazù nei panni del mitico Indiana Jones; con la guida di Buenos Aires, invece, abbiamo avuto meno fortuna.
Pur avendo visitato solo una piccola parte dell’immensa Argentina, ho l’impressione di essere stata non in una ma in molte nazioni, dove le notevoli distanze rendono ogni luogo unico e diverso e dove le migliaia di italiani, con la loro intraprendenza e il loro sacrificio che poco li ha ripagati, hanno contribuito a popolare e a far sviluppare.
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