Umberto Federico D’Amato: il grande tessitore delle più inconfessabili trame italiane

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2015

 
All’interno del G7, il nostro è stato l’unico Paese a essere ripetutamente colpito da ondate di destabilizzazione di forze estremistiche di destra e di sinistra, con vari collegamenti sia domestici che internazionali. Il prezzo in vite umane è stato enorme, come pure le ripercussioni in termini sociali ed economici. Molti degli eventi che hanno sconvolto e insanguinato l’Italia possono essere ricondotti a un potentissimo ufficio del ministero degli Interni e a un funzionario: Federico Umberto D’Amato. Un nuovo libro, fattuale e rigoroso, ci aiuta a comprendere un periodo storico su cui gravano ancora ombre profonde che non sarà semplice dissipare.
Un importante teologo ha detto che il più grande capolavoro del diavolo è stato di convincerci che lui non esiste. Parafrasando quella affermazione, potremmo dire che le cospirazioni non esistono e che i cataclismi epocali, le cadute degli imperi e dei governi, le rivoluzioni, le drammatiche crisi economiche, gli assassinî politici, le migrazioni forzate sono soltanto il frutto dello scontro aperto di forze che si ripropongono obiettivi contrastanti. Purtroppo, questa visione superficialmente ottimistica viene spesso contraddetta dalla realtà. E, per capire meglio questo punto, dovremmo riflettere sull’operato di un personaggio a cui Giacomo Pacini ha dedicato un saggio che analizza, alla luce della documentazione attualmente a disposizione, la carriera e l’operato di un dirigente statale che è stato al centro di una fitta rete di interessi, italiani e internazionali, che hanno segnato profondamente un periodo tragico della nostra storia.

Un funzionario affidabile e fedele. Ma a chi?

Sarebbe stato interessante leggere Memorie e contromemorie di un questore a riposo, l’autobiografia che Federico Umberto D’Amato aveva cominciato a redigere, buttando giù molti appunti basati su una documentazione riservatissima che era riuscito ad accumulare durante la sua lunga carriera. Sfortunatamente, la morte l’ha colto prima che potesse portare a termine la sua fatica, per cui ci si può basare soltanto sulle annotazioni parziali che aveva iniziato a scrivere. Nei suoi appunti, D’Amato evidenzia l’estrazione antifascista della sua famiglia, sottolineando che il padre, a causa della scarsa simpatia verso il regime, aveva avuto “non pochi problemi” per la sua carriera nelle forze di polizia, mentre la madre, figlia di un muratore socialista, “di tanto in tanto metteva nel grammofono un vecchio disco dell’Internazionale, che faceva suonare a basso tono, ma comunque percettibile all’esterno”. Ma nel fascismo egli deprecava più la “grossolana stupidità” che la “feroce dittatura” e faceva un’analisi edulcorata della politica del regime.
Entrato in polizia poco più che ventenne, seguendo le orme del padre, D’Amato fa il suo primo incontro col complesso mondo dell’intelligence dopo l’8 settembre 1943 quando, sotto l’ala protettiva di James Jesus Angleton, tra i più influenti agenti USA, diventa uno degli ufficiali di collegamento fra la polizia italiana e i servizi segreti americani. D’Amato si mostra abilissimo nel reperire informazioni che consentono agli americani di debellare la rete spionistica tedesca in Italia, e per questo riceve i complimenti dal generale Harold Alexander. “Fu in seguito a questa serie di operazioni segrete–scrive Pacini- che nacque la collaborazione fra il nucleo dell’Ufficio di PS di Castro Pretorio e il Comando americano dell’Oss denominato Sci-Unit Z situato a Roma in via Sicilia, diretto da Angleton (che avrebbe guidato le attività di counter-intelligence della Cia fino a metà degli anni Settanta) e fu certamente in quel momento che D’Amato strinse stretti rapporti coi servizi segreti americani e con lo stesso Angleton con il quale sarebbe rimasto legato da una decennale amicizia”. Un’ulteriore prova di quanto rilevante dovette essere il contributo che D’Amato forní agli Alleati sta poi nel fatto che a inizio 1946, proprio in virtú dei servigi resi all’intelligence statunitense, gli americani lo insignirono di una onorificenza di indiscutibile valore come la Medaglia della Libertà.
La carriera di D’Amato inizia quindi sotto la stella americana, prima all’interno della polizia e

James Jesus Angleton (1917-1987), in una foto degli anni ’60. A lungo capo del controspionaggio della CIA, ebbe un ruolo determinante nello schiudere a D’Amato le porte dello spionaggio internazionale.

poi al ministero degli Interni, in cui operava una struttura che funzionava come un servizio segreto senza averne però il riconoscimento giuridico. Questo organismo era nato nel 1948 con la denominazione Divisione Affari Riservati, quando il ministro degli Interni era Mario Scelba e con personale proveniente dalle vecchie strutture fasciste. Dopo varie vicissitudini, crisi e scioglimenti, viene ridenominato Ufficio Affari Riservati (UAR) ed è qui che il 23 novembre del 1960 arriva Federico Umberto D’Amato, sotto il patrocinio del potente ministro democristiano Paolo Emilio Taviani. Anche se appena arrivato, D’Amato fa in tempo a essere inserito in una delegazione che, nell’agosto del 1961, si reca negli Stati Uniti per incontrare presso la sede di Langley i massimi dirigenti della CIA, tra cui l’allora direttore Allen Dulles. Questo incontro sancisce una “rinata e rinnovata fiducia tra l’UAR e la CIA”.
In breve, D’Amato riesce a diventare il dominus dello spionaggio italiano, prima come vice direttore e poi come direttore dell’UAR, in costante competizione con i servizi segreti militari con cui ha diversi scontri e con molto sgarbi reciproci. In effetti, non è lontano dal vero affermare che egli fu uno dei più raffinati e competenti dirigenti della comunità di intelligence, abilissimo nel trovare fonti all’interno del PCI, del PSI, dei sindacati, ma anche nei gruppi eversivi neonazisti, o della sinistra rivoluzionaria. D’Amato tiene disinvoltamente i contatti con estremisti di destra accusati di atti di terrorismo, ma arriva anche a proporre all’allora dirigente di Lotta Continua Adriano Sofri “un patto scellerato in base al quale, con la copertura del ministero dell’Interno e per mano di Lotta Continua, si sarebbe dovuto procedere addirittura alla eliminazione fisica dei principali componenti dei Nuclei armati proletari”,  uno dei tanti gruppuscoli del terrorismo di sinistra. Ma le sue frequentazioni con i neonazisti non gli impedivano di collaborare con uno pseudonimo a una seguitissima rubrica di cucina sul settimanale L’Espresso, esplicitamente schierato a sinistra o addirittura di curare dal 1978 al 1995 la Guida ai ristoranti italiani, pubblicata ogni anno ancora dall’Espresso.

Gli anni della strategia della tensione

Prima di farci affascinare da questa abilissima e ambigua figura di spione-gourmet, dobbiamo riflettere sul fatto che egli si trova a dirigere l’UAR durante i terribili anni della strategia della tensione. Nel 1981, quando il ministro degli Interni Virginio Rognoni chiede conto a D’Amato, passato in quel momento a dirigere la polizia di frontiera, delle ragioni per cui il suo nominativo appare sulla lista della loggia massonica P2 guidata da Licio Gelli, l’ex capo degli Affari Riservati risponde in tono polemico che ha sempre agito in totale accordo con le direttive dei vari ministri che si erano succeduti al Viminale e che la decisione di avvicinare Gelli era scaturita dalla necessità di capire le ragioni di alcuni attacchi a mezzo stampa rivolti ai vertici della polizia. L’argomentazione di D’Amato è che, nell’espletamento del suo lavoro che ha lo scopo di garantire la sicurezza, lui ha contatti con tutti nel superiore interesse dello Stato. Pacini riferisce però svariati episodi in cui le indagini e le informazioni raccolte dall’UAR portano alla luce fatti e personaggi che vengono taciuti e mai portati a conoscenza della magistratura, tanto da farci chiedere quali fossero le vere finalità delle scelte compiute.

Federico Umberto D’Amato (1919-1996) in una foto degli anni ’80. Potentissima spia e appassionato di cucina, teneva contemporaneamente i contatti con gli stragisti fascisti (senza informare la magistratura) e con ambienti della sinistra radical-chic. Nessuno è mai riuscito a provare qualcosa di penalmente rilevante nei suoi confronti.

Questo avviene ad esempio nel dicembre 1969, dopo l’esplosione di una potente bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano, che causa un totale di 17 morti  e 87 feriti. L’Ufficio Affari Riservati ha un ruolo determinante nell’avallare la pista anarchica che porta all’arresto di Pietro Valpreda e all’accusa al movimento anarchico di aver fatto esplodere varie bombe in tutta Italia. Oggi sappiamo che i responsabili di quel gesto, come pure di molte altre bombe, furono estremisti di destra ben conosciuti e protetti dai servizi segreti italiani e dobbiamo chiederci come mai all’interno del Club di Berna, un gruppo proposto proprio da D’Amato che riunisce le principali polizie europee, egli non abbia fatto nessuna menzione del più grave attentato contro civili avvenuto dopo il 1945 e fino a quel momento in Italia. Inoltre, funzionari dell’UAR avevano nascosto ai magistrati una serie di prove che avrebbero condotto molto prima alla scoperta del ruolo dell’estremismo di destra nella bomba di piazza Fontana. Sulla base di un esame rigoroso degli elementi a disposizione, Pacini ritiene plausibile l’ipotesi avanzata dall’ex presidente della Commissione stragi, Giovanni Pellegrino, che va proprio in questa direzione. Lo stesso giudice Gerardo D’ambrosio, il magistrato che condusse l’istruttoria sulla strage di Piazza Fontana, ha sostenuto che in quegli anni l’UAR “si muoveva in modo spregiudicato e occultò le prove concernenti diversi attentati”, perché “i suoi uomini filtravano i risultati delle indagini di polizia e facevano arrivare ai magistrati quello che volevano”.
L’immagine del diabolico spione-gourmet dall’apparente bonomia, che tira i fili di operazioni segrete e protegge criminali di vario tipo, è certamente affascinante ma Pacini non si lascia coinvolgere troppo da questo stereotipo e, in diverse occasioni, ammette che, nonostante vari elementi sembrino condurre verso certe deduzioni, il giudizio va sospeso perché, anche se plausibili, non esistono riscontri fattuali alle ipotesi fatte. Per questa ragione, nonostante sia un po’ faticoso, per capire appieno bisogna leggere le numerosissime note del saggio che forniscono fonti e atti processuali di quegli anni in modo da avere un quadro più esaustivo possibile su un personaggio, completamente sconosciuto ai più giovani, ma che ha giocato un ruolo centrale in un delicatissimo periodo della nostra storia nazionale.
Giacomo Pacini
La spia intoccabile.
Federico Umberto D’Amato e
l’Ufficio Affari Riservati
Einaudi, pp. XX, 268, 28 euro
di Galliano Maria Speri

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