Tra ‘ndrangheta e logge, multinazionale del crimine

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Di Galliano Maria Speri

Il 15 agosto 2007 nella città tedesca di Duisburg vengono assassinate sei persone nell’ambito di una faida tra cosche calabresi. Dietro motivi apparentemente riconducibili a rivalità territoriali in Calabria, si celano invece gli interessi legati al grade traffico internazionale di droga e agli investimenti in Germania. La ‘ndrangheta assurge all’onore delle cronache nazionali e internazionali.

Il Los Angeles Times la definisce “regina del narcotraffico”, mentre il britannico Guardian ne parla come di una mafia ancora più potente di Cosa Nostra. È la fine dei tentativi di sottovalutazione e di quell’atteggiamento pavido o colluso di coloro che affermavano “la mafia non esiste”. Purtroppo, la ‘ndrangheta calabrese non soltanto esiste ma è diventata rapidamente uno dei gruppi più pericolosi della criminalità organizzata internazionale. Questo argomento viene affrontato di petto da Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, e dal giornalista Antonio Nicaso in Padrini e padroni che ha come sottotitolo Come la ‘ndrangheta è diventata classe dirigente. La definizione calza perfettamente e riflette pedissequamente la realtà, come è dimostrato in modo rigoroso dalle ricostruzioni delle attività criminali e dalle sentenze dei giudici citate nel libro. Se è vero che la ‘ndrangheta mostra una ferocia quasi inconcepibile per la nostra società di oggi, come rivelato dall’episodio di una vittima uccisa dai sicari e che è stata poi decapitata in mezzo alla strada, essa ha anche mostrato una capacità tutta moderna di sapersi legare a politici e professionisti per inserirsi in una posizione dominante all’interno delle attività economiche legali. La denuncia drammatica è che siamo arrivati alla fase in cui non è la criminalità organizzata a cercare di corrompere i politici, ma sono questi e i professionisti che si rivolgono alla ‘ndrangheta per farsi largo nella società. La ‘ndrangheta è diventata così forte da “ creare” propri politici che vengono eletti prima nelle liste comunali e regionali e poi, se danno buona prova di sé, in quelle nazionali.

Il salto di qualità avviene a metà degli anni Settanta quando la ‘ndrangheta entra con forza nel traffico internazionale di droga e, nello stesso tempo, stringe una stretta alleanza con la massoneria. Secondo il memoriale che il pentito Giacomo Lauro consegnò alla Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria nel febbraio del 1993, le due organizzazioni erano legate, tanto che la massoneria riceveva una percentuale su tutti gli affari che negoziava per conto della ‘ndrangheta grazie ai suoi contatti nelle istituzioni, ma anche tra politici, imprenditori, magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine e bancari. I vincenti della cosiddetta prima guerra di ‘ndrangheta “Paolo De Stefano, Santo Araniti, Antonio, Giuseppe e Francesco Nirta, Antonio Mammoliti, Natale Iamonte ed altri entrarono nella massoneria”. Molti anni dopo, un altro collaboratore di giustizia, Filippo Barreca, conferma l’esistenza in Calabria di una loggia coperta a cui appartenevano professionisti, rappresentanti delle istituzioni, politici e ‘ndranghetisti. “La loggia – racconta Barreca – si costituì in occasione della latitanza a Reggio Calabria di Franco Freda, e cioè nei primi mesi del 1979; anzi, fu proprio Franco Freda a formare questa loggia, uno dei cui principali fini istituzionali era l’eversione dell’ordine democratico”. Nell’agosto del 2016 viene arrestato il senatore Antonio Caridi, nell’ambito dell’inchiesta “Mammasantissima”, per il suo ruolo di cavallo di Troia all’interno delle istituzioni. È significativo il commento del generale Giuseppe Governale, comandante del raggruppamento speciale operativo dei carabinieri: “Per la prima volta, non è la politica che si è messa a disposizione. Qui siamo in presenza di un’altra cosa: è la struttura che, managerialmente, costruisce uomini per infiltrare ai vari livelli il mondo istituzionale. E lo fa al Comune di Reggio Calabria, alla provincia, alla regione, tenta di farlo al parlamento nazionale e tenta di farlo addirittura al parlamento europeo”. Alla luce di questi sviluppi, fanno quasi sorridere le dichiarazioni di Giuliano Di Bernardo, ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia (GOI), interrogato dal pm Lombardo durante la già citata operazione “Mammasantissima”. Di Bernardo ricorda che nel 1993 indisse una riunione d’urgenza dopo le indagini del dott. Cordova sulla massoneria e su sua precisa richiesta Ettore Loizzo, ingegnere di Cosenza e suo vice nel GOI, “disse che poteva affermare con certezza che in Calabria, su 32 logge, 28 erano controllate dalla ‘ndrangheta. Io feci un salto sulla sedia”. Nel corso della stessa testimonianza, Di Bernardo racconta di aver esposto il problema al duca di Kent, che era al vertice della massoneria inglese: “Lui mi disse che già sapeva questa situazione tramite notizie da lui avute dall’ambasciata in Italia e dai servizi di sicurezza inglesi”.

La ‘ndrangheta ha propri professionisti sulle principali piazze finanziarie mondiali, Londra in primis, che si occupano di riciclare il denaro sporco e di reinvestirlo in attività legali, principalmente nei settori più promettenti. Uno di questi settori è il calcio che è enormemente popolare a livello mondiale e ha un vastissimo giro di affari. Secondo la relazione della Commissione antimafia del 2016 “l’interesse delle organizzazioni mafiose nel mondo del calcio non è limitato solo al giro delle scommesse e delle partite truccate, bensì rappresenta un utile volano per acquisire consenso elettorale, economico e finanziario”. Un altro strumento di riciclaggio per la ‘ndrangheta è il gioco internazionale, dove, come scrive il giudice per le indagini preliminari Caterina Catalano, ha saputo infiltrarsi con grande abilità “operando e agendo, per il tramite dei suoi esponenti, a tratti in modo apparentemente lecito, secondo le logiche imprenditoriali di massimizzazione del profitto tipiche delle multinazionali del settore”. Secondo un’indagine del 2014 condotta dall’istituto Demoskopea, il fatturato della ‘ndrangheta sarebbe pari a quelli di Deutsche Bank e McDonald sommati, vale a dire 53 miliardi di euro l’anno, l’equivalente del 3,5 per cento del Pil italiano del 2013. Nelle conclusioni finali, gli autori ricordano un’affermazione di Giovanni Falcone. Secondo il giudice, assassinato dalla mafia nel 1992 insieme alla moglie e alla scorta, le mafie sono fenomeni criminali del tutto reversibili, a patto che ci sia la volontà politica di combatterle. “Questa volontà – scrivono gli autori – in Italia, purtroppo, non c’è mai stata. Mentre le mafie continuano ad allearsi con chiunque sia disposto al compromesso, lo Stato continua a dimostrarsi debole, permettendo alle mafie di esistere. Succede dalla prima metà dell’Ottocento”.

Nicola Gratteri/Antonio Nicaso, Padrini e padroni,

207 pagg, 18 euro, Mondadori

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