FRONTIERE

Storici inglesi medievali: autori e materiali da riscoprire

Re Artù nel Chetham Ms. 6712 dei Flores. Foto Matteo Paris - Chetham MS 6712 (A.6.89), fol. 53/Wikimedia

di Davide Arecco*

Quando si pensa alla storiografia britannica del Medioevo la mente va sempre e giustamente a Gildas, Nennius, Beda il Venerabile, Goffredo di Monmouth e Guglielmo di Malmesbury. Tuttavia, anche Enrico di Huntingdon (1080-1160) e Ruggero di Wendover (scomparso nel 1236) sono fonti, al riguardo, meritevoli di attenzione. Il primo, storico e religioso, scrisse una Historia Anglorum che andava dall’invasione romana della Britannia nel 43 d.C. all’ascesa sul trono d’Inghilterra di Enrico II, nel 1154. Huntingdon, con dovizia di citazioni, sintetizzò e tradusse varie opere precedenti, nella fattispecie rispettivamente inglesi e francesi. Per la fase storica più antica, si basò, soprattutto, sulla Historia ecclesiastica gentis Anglorum di Beda. Decisamente originale ed utile invece la parte della Historia Anglorum che ricopriva il periodo dal 1126 in poi: con un taglio annalistico e facendo pure tesoro di testimonianze personali, Enrico fornisce molte notizie sul regno di Enrico I e sull’anarchia di Re Stefano. Lo stile tende sovente a drammatizzare il racconto storico con non poche concessioni a elementi superstiziosi (magia naturale, eventi miracolosi, miti, leggende) – com’era usuale d’altra parte all’epoca – ma sul piano documentario la Historia Anglorum resta importante ed apprezzabile, da riconsiderare e tornare a consultare (T. Forester, The Chronicle of Henry of Huntingdon, London, Bell, 1876; D. Greenway, Henry, Archdeacon of Huntingdon. The History of the English People, 1000-1154, Oxford, Oxford University Press, 2002). Fu Huntingdon il primo storico inglese a usare fra l’altro nelle vicende anglosassoni il termine di eptarchia, entrato da allora a fare parte del lessico storiografico.

Enrico di Huntingdon scrisse la sua storia dell’Inghilterra suddividendola per invasioni, ossia le cinque (in ordine cronologico) di Romani, Pitti e Scoti, Anglosassoni, Vichinghi e Normanni. La storia della Britannia fu da lui ripartita, nella versione manoscritta del 1135, in sette Libri, dedicati a occupazione romana dell’isola, arrivo degli Angli, loro conversione al cristianesimo, regno inglese, guerre danesi, arrivo dei Normanni, nascita della dinastia anglo-normanna. Esemplari più tardi della Historia Anglorum comprendono altri tre Libri su vite e miracoli dei santi, e una selezione di estratti dalla Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth. La cosa non è indizio, solamente, della propensione, comune ai due storici, di inserire nella narrazione elementi fantasiosi o fantastici, ma, anche e soprattutto, dell’attenzione al dato religioso: la parte più antica dell’opera di Enrico si può ricollegare infatti anche alla penetrazione della fede cristiana in Inghilterra, nel V secolo, e agli echi britannici delle iniziative di San Germano d’Auxerre, studioso delle sette arti liberali e di diritto sia a Roma sia a Ravenna, grande filantropo, vescovo franco di Lione, che durante il proprio episcopato – aiutato da Ilario di Arles – combatté, coi suoi numerosi discepoli, il diffondersi del pelagianesimo (tracce, secoli dopo, nelle carte teologiche manoscritte di Newton): eresia che venne sradicata dalle terre britanniche e da quelle francesi del nord verso la metà del 400.

Altro storico importante del Medioevo inglese – pure lui incline a accettare elementi di natura leggendaria – fu il cronista Ruggero di Wendover, vissuto fra il XII ed il XIII secolo. Originario del Buckinghamshire, monaco benedettino presso l’Abbazia di St. Albans, poi Priore del Monastero di Belvoir, nemico di Re Enrico III, Ruggero compose i Flores Historiarum impiegando, nella prima parte dell’opera, anche la precedente compilazione del monaco cristiano inglese dell’Hertfordshire Giovanni di Wallingford, che fu l’abate di St. Albans, dal 1195 al 1214, dopo avere guidato la Holy Trinity Priory della natia Wallingford e avere studiato grammatica e fisica a Parigi, filosofo naturale a cui molto di rado gli storici della scienza e della chiesa hanno rivolto la propria attenzione.

Ruggero cominciò a stendere la sua cronaca nel 1188 scegliendo i materiali – come si legge in sede di prefazione – dai libri manoscritti degli scrittori cristiani a lui precedenti e dai fiori dai vari colori provenienti dai diversi campi del sapere. Da qui, il titolo dell’opera. La prima parte di essa fu scritta a St. Albans, a partire dal nucleo iniziale della Chronica di Wallingford (che andava dal 449 al 1036). I Flores, a tutti gli effetti un’opera storiografica a più voci, sono una narrazione dettagliata e assai vivace degli eventi inglesi, culminanti della concessione della Magna Carta e nel periodo di cui Ruggero di Wendover fu contemporaneo, dal 1216 al 1235. Troviamo descritte le azioni militari dell’esercito di Giovanni d’Inghilterra nella guerra che caratterizzò gli ultimi anni del suo regno: al riguardo, Ruggero dipinge a tinte forti massacri e distruzioni – ai suoi occhi di monaco, qualcosa di demoniaco – che non risparmiarono niente e nessuno. Propria questa parte dei Flores, scritta senza dubbio da Ruggero, rimane oggi la più apprezzata dagli specialisti (J.A. Giles, Roger of Wendover’s Flowers of History, from the Descent of the Saxons to A. D. 1235, London, Bohn, 1849; H.C. Davis, Roger of Wendover, in Encyclopaedia Britannica, XXIII, 1911, p. 445; H. Grundmann, Monumenta Germaniae Historica Scriptores, XXVIII, Berlin, Weidmann, 1964; W.L. Warren, King John, New Haven, Yale University Press, 1997).

I lavori di stesura dei Flores Historiarum terminarono nell’Abbazia di Westminster, traendo i materiali per l’ultima parte dalla Chronica di Matteo Paris, il leggendario Matteo di Westminster, in realtà mai esistito. Esempio di cronaca medievale latina, composta di fatto da più autori, i Flores si proponevano come opera ambiziosa, mirante a delineare la storia inglese dalla creazione al 1326. La parte relativa al periodo 1306-1326 fu compilata a Westminster da Roberto di Reading. A stampa, i Flores videro la luce per la prima volta – per volere di Matthew Parker, arcivescovo di Canterbury – nel 1567 e, oggetto di attenzione da parte degli storiografi moderni, vennero ripubblicati, ancora nel 1890, a Londra, nelle Rolls Series, da Henry Richard Luard e recensiti, l’anno seguente, sulla Revue critique d’histoire da Charles Bémont. La stessa storia editoriale dell’opera è interessante. Ne esiste una copia manoscritta duecentesca alla Bodleian Library (Douce Ms. 207), che custodisce pure una copia mutila trecentesca (Cotton Ms. Otho B.V.) e la versione preparata da Paris, che costituisce la prima parte della Chronica Majora. Su tali materiali, nel XIX secolo, basarono le loro edizioni sia Coxe (in quattro volumi a Londra, fra il 1841 e il 1844) sia Hewlett (in tre tomi, 1886-1889).

Gli interessi di Ruggero di Wendover non furono solo insulari e per così dire nazionali. Egli, infatti, scrisse anche in merito alla famigerata Setta degli Assassini, da lui collocata, in Fenicia, a Tiro, ricavando, probabilmente, le proprie informazioni dai viaggiatori che visitavano St. Albans di ritorno dal Medioriente, oppure da quei pellegrini inglesi che rientravano dalla Terra Santa (non si dimentichi che il XII e il XIII furono secoli di Crociate, a seguito delle quali molte notizie di ordine religioso, militare, politico e culturale si riversarono dal mondo arabo-islamico in Europa).

Nei Flores Historiarum confluì inoltre, in versione ridotta e voltata in latino, la Revelation of St. Nicholas to a monk of Evesham, un manoscritto del 1196 di autore inglese ignoto. Si tratta di una curiosa allegoria religiosa, che racconta del pellegrinaggio di un’anima, dopo la morte, attraverso il Purgatorio, sino a raggiungere la dimora celeste del Paradiso. Il monaco della narrazione, guidato da San Nicola, visita vari luoghi del Purgatorio, dove incontra e conversa con figure di vario rango, ascoltandone storie e sofferenze personali, sino ad oltrepassare i cancelli del cielo. Un cammino di tipo iniziativo e spirituale, un viaggio dell’anima alla ricerca di Dio, caratteristico della mentalità e cultura medievali anche in Europa settentrionale.

Ruggero di Wendover ed Enrico di Huntingdon, in maniera non dissimile da Beda e Goffredo di Monmouth, costruiscono ed assemblano storie composite e affascinanti della Britannia, e antica e medievale. Lo fanno unendo i registri della storia politico-dinastica e di quella religioso-militare, il tutto con non poche aperture e generose concessioni a elementi che sono oggi leggenda storica, miti che entrano a far parte della storia per sostanziarne la cronaca. Una compresenza di fattori, quindi, che si perdono fra le nebbie del tempo. Non è un caso, in proposito, che nel Manoscritto Chetham 6712 dei Flores Historiarum di Ruggero sia raffigurato, in una miniatura, Re Artù, la cui concreta identificazione storica da sempre rappresenta un serio problema.

Ruggero, riprendendola dal Liber Eliensis (XII secolo), diede anche voce anche alla figura di Lady Godiva (990-1067), la nobildonna anglosassone di Coventry immortalata anche dal Domesday Book e dalla tradizione popolare, sposa di Leofrico e con lui fondatrice di monasteri a Leominster, Worcester, Chester, Much Wenlock, Spalding, Evesham ed in generale nei territori del Lincolnshire all’alba dell’XI secolo. La geografia storica della cristianità inglese alla Rinascita dell’anno Mille e il simbolo di essa. Un simbolo la cui presenza non poteva sfuggire a chi, come Ruggero, ancora più di Huntingdon, era nel Medioevo inglese un instancabile collezionista e raccoglitore di aneddoti sul confine allora sempre mobile fra storia e leggenda.

* Davide Arecco è Ricercatore presso il Diprtimento di antichità, filosofia e storia – DAFIST dell’Università degli Studi di Genova

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