Le elezioni europee del 9 giugno 2024 hanno portato a un’importante sconfitta dei partiti dei Verdi. È un primo accenno a un possibile cambio di rotta da quando, dagli anni Settanta del ‘900, è andato montando l’ecologismo che, sfruttando la realtà di un mondo eccessivamente inquinato, è stato abbracciato con crescente acriticità dal mondo politico impegnato nell’ossessiva ricerca di consensi invece che nell’individuare soluzioni ai problemi. Cerchiamo di osservare come si è presentata la nuova ideologia.
Dopo il Muro
Da tempo in Occidente si parla di epoca post ideologica, e la temperie culturale emersa dopo il crollo del Muro di Berlino è stata variamente battezzata “fine della storia” o trionfo del “globalismo”, in ogni caso un’epoca ritenuta lontana dalla tramontata schiavitù ideologica. Questa era la gabbia entro la quale ogni aspetto della realtà veniva interpretato, in un quadro di matrice positivistica, come inevitabile marcia verso la trasformazione rivoluzionaria della società, ritmata dall’incedere dei passi prescritti dal materialismo dialettico.
Caduto il Muro, sembrava potesse emergere la coscienza che il reale è qualcosa di più del razionale, e può riservare sorprese. Ma – qui sta il busillis – surrettiziamente, quasi senza che alcuno se n’accorgesse, s’è venuta configurando questa nuova ideologia che quasi nessuno riconosce perché, come peraltro accadeva anche col marxismo, si innesta su tragici problemi reali e si presenta coi crismi della “scientificità” – e in quanto tale è molto coerente col sentire che domina da quando s’è accesa l’età dei lumi. Tuttavia presenta alcuni dei difetti-cardine della tramontata ideologia comunista poiché cerca di rispondere ai problemi senza tenere conto della complessità del fenomeno umano e della vastità del fenomeno ambientale.
Se sul piano del marketing s’è imposto il “greenwashing”, in politica s’è diffuso l’ubiquo uso dell’ambientalismo per ottenere voti. Nel discutere di tali problemi ovviamente va tenuto a mente che, così come l’ideologia comunista non nasce dal nulla né è un astratto frutto della filosofia hegeliana o delle analisi economiche di Adam Smith ma deriva dalle condizioni di oggettivo trauma sociale e radicale ingiustizia conseguenti al modo in cui si diffuse l’industrializzazione, del pari l’ideologia ecologista non si innesta solo su un astratto credo di stampo malthusiano né sulla semplice evoluzione delle analisi sul rapporto tra essere umano ed ecosistemi, ma sorge da condizioni di oggettiva violenza sulla natura esercitata dall’economia consumista.
Dal comunismo all’ecologismo
Se l’ideologia comunista trova il suo privilegiato momento germinale nel Manifesto del Partito Comunista redatto con geniale sintesi nel 1848 dagli allora trentenni Marx e Engels, l’ideologia ecologista prende abbrivio dal rapporto del Club di Roma I limiti dello sviluppo pubblicato nel 1972 e compilato da Donatella e Dennis Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens III (pure loro tutti attorno ai 30 anni). Come Marx e Engels rappresentavano al loro tempo la crème del mondo intellettuale tedesco, così gli autori del citato rapporto erano quanto di meglio offriva il panorama scientifico statunitense poco più di un secolo dopo. Se i primi affrontavano il problema di come i rapporti di potere nel mondo industriale incidessero sulla vita delle persone creando drammatici contrasti tra proprietari e salariati, e cavando dall’analisi di tale situazione la previsione/progetto della dittatura del proletariato, i secondi affrontavano il problema di come il mondo industriale incidesse negativamente sulle risorse naturali, e ne cavavano la previsione/progetto di una crisi ecologica globale che avrebbe portato a una drastica riduzione dei consumi e a una ridefinizione dei modi di vivere.
Marx e Engels si figuravano la rivoluzione comunista come l’effetto diretto del capitalismo: dove questo era più sviluppato, là questa si sarebbe affermata. L’inevitabile trasformazione della società era prevista su basi “scientifiche”, cioè sull’analisi della caduta tendenziale del saggio di profitto elaborata nell’ambito del ponderoso lavoro Il Capitale: con la loro fame di guadagno, i capitalisti avrebbero investito sempre di più per aumentare la loro capacità produttiva, sino a svenarsi, vittime della loro bramosia. Tutto questo non è avvenuto, anzi, i possessori di capitale hanno continuato a investire in fabbriche sempre più complesse e a produrre sempre di più; per giunta consentendo anche una maggiore diffusione di ricchezza. E la rivoluzione socialista è avvenuta non nel mondo del capitalismo avanzato, bensì nella retrograda, povera e contadina Russia. E non a seguito di una presa di coscienza proletaria, ma a seguito degli intrighi dei capitalisti tedeschi che per alleggerire il fronte orientale durante la prima guerra mondiale hanno finanziato Lenin e quello che Malaparte ha definito “colpo di stato”, grazie al quale la Russia si è ritirata dal conflitto allora in corso – ed è poi finita come si sa.
Anche il Club di Roma si figurava la rivoluzione ecologista come l’effetto diretto dell’evoluzione capitalistica: poiché il mondo industriale fagocita le risorse naturali, queste sarebbero scemate ben presto (ci si aspettava la catastrofe finale per la svolta del millennio). Ma il Club di Roma è espressione del mondo capitalistico: suo principale esponente e fondatore è stato Aurelio Peccei, illustre economista, direttore della FIAT in Argentina e dell’Olivetti, poi anche uno dei fondatori dell’International Institute for Applied System Analysis – IIASA, il cui scopo è di analizzare con matematica precisione gli sviluppi globali contribuendo così a formulare gli obiettivi dello sviluppo sostenibile che sono stati fatti propri da vari organismi delle Nazioni Unite. Si tratta di un’iniziativa intesa non a preconizzare una rivoluzione sociale, ma una rivoluzione comportamentale. Fondata su una cultura malthusiana: fermare la crescita dell’umanità. Poiché l’umanità consuma le materie prime e inquina minacciando la natura, la soluzione migliore consiste nel ridurre il numero di esseri umani che vivono sul pianeta.
Tale prospettiva, variamente ammannita dai primi anni Settanta, s’è diffusa mentre la popolazione globale, incurante di tali teorie, cresceva dai circa tre miliardi e 700 mila di quel tempo ai quasi otto miliardi dei primi anni Venti del XXI secolo; a ulteriore dimostrazione di come il maneggio interessato dei numeri serve quale strumento per vendere un prodotto ideologico, anche se in nulla corrisponde con la realtà. La matematica può essere usata in funzione non dissimile dalla magia
L’inganno dei numeri
Marx usò la matematica per dare credibilità alla sua idea di caduta tendenziale dal saggio di profitto. Il Club di Roma l’ha usata per sfornare formule che danno l’idea della certezza dell’orizzonte temporale di esaurimento delle materie prime: se la matematica è esatta, ne consegue che tutto quanto si esprime in formule numeriche dev’essere esatto. Se una decina di secoli or sono i millenaristi argomentavano con accenti teologici che sarebbe finito il mondo, i trentenni ingaggiati dal Club di Roma vollero dimostrare con l’analisi dei sistemi che si era sull’orlo della fine delle risorse. A Meadows & Co alla fine degli anni Sessanta è bastato compilare un elenco di materie prime conosciute e nelle quantità note, e della velocità di consumo allora rilevata, per desumere quanto tempo ancora il mondo sarebbe durato nelle condizioni allora esistenti.
Poi però son state trovate altre materie prime, la tecnologia ha consentito di usarle meglio e con rendimento maggiore e i loro calcoli sono andati a pallino. Ma il fantasma della fine del mondo da allora ha continuato a crescere e ad aggirarsi non solo in Europa.
Dominare la natura
L’eco-ideologia si è imposta perché è riuscita a essere percepita come reazione a una necessità incombente per la quale non sono prese in considerazione altre soluzioni oltre quelle indicate da coloro che l’hanno fondata: riduzione dei consumi, riduzione della produzione, riduzione della popolazione. Quest’ultima è intesa quale la soluzione che sana alla radice i problemi. E ovviamente nel diffondersi s’è scontrata con la visione religiosa dell’essere umano, a partire dalle basilari indicazioni bibliche.
Se nella Bibbia compare il comandamento: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gen 1, 28) ecco che queste parole vengono stravolte come se intendessero che il fine dell’essere umano sia di rovinare il mondo consumandolo per fini egoistici. Dato tale presupposto, l’approccio ecologista si erge a contrastare la tradizione giudaico cristiana e finisce col cercare di sopprimerla. Incorrendo così nel solito problema di voler gettare il bambino con l’acqua sporca e rifiutando di prendere in considerazione le soluzioni che permetterebbero di gettare l’acqua sporca senza recar danno al bambino.
Tali soluzioni possono essere prese in considerazione solo se si accetta il concetto di base su cui s’è andata sviluppando la civiltà: la sacralità dell’essere umano inteso quale vertice del mondo naturale.
Se, nella visione biblica, l’essere umano è responsabile della natura (questo è il senso dei versetti citati sopra), allora egli dovrà operare non solo per la sua conservazione, ma per aiutarne l’evoluzione. Utilizzando con creatività gli strumenti che gli sono propri, ovvero la tecnologia. Esempio: rinverdire i deserti, rendere abitabili le affollate città, riciclare i materiali usati per non aver bisogno di estrarne di nuovi, produrre energia senza consumare risorse. Perché la creatività umana non è costretta da limiti quantitativi simili a quelli che si trovano nel mondo fisico.
Quale energia
Il tema dell’energia è centrale, e per solito nel discuterne non si considera un aspetto sostanziale dell’evoluzione delle tecniche che l’accompagnano, cioè che queste progrediscono in ragione dell’aumento della densità di flusso. Il flusso di energia derivante dalla combustione del legno è più basso di quello derivante dal carbone, a sua volta inferiore rispetto a quello del petrolio. Seguendo su tale linea necessariamente si approda alla tecnologia nucleare, visto che tutti gli altri sistemi, per utili che siano in particolari circostanze (es. pannelli fotovoltaici sui tetti nelle città o sulle astronavi), comportano densità di flusso inferiori. La tecnica nucleare non è inquinante in quanto non produttrice di scarti che si diffondono nell’ambiente (questi sono in quantità minime rispetto agli scarti di altre forme di produzione energetica e in prospettiva potranno essere usati per continuare a produrre energia), né di gas-serra.
Notevole è che, così com’è oggi impostata, la visione del mondo ecologista tenda a far passare per progressiste, proposte politiche radicalmente regressive. A partire dalla politica antinucleare, ch’è la versione contemporanea del luddismo.
Il nucleo della soluzione
Se l’ecologismo fosse il modo per rispondere alle crisi causate dall’economia di sfruttamento portata avanti dal mondo capitalistico, darebbe luogo a un pacato dibattito su quali sono le soluzioni più opportune per i problemi ambientali. Invece il dibattito che domina sul proscenio politico e mass mediale è tutto un affannato rincorrersi di allarmi: effetto serra, inquinamento urbano, edifici e strumenti che ingigantiscono i suddetti effetti, leggi e regolamenti atti a contenere quelli che paiono come comportamenti avversi. Ne nasce una politica del divieto in cui sono assenti le soluzioni positive.
Il caso dell’energia nucleare è la cartina al tornasole che evidenzia l’assurdità di tale situazione. Un paese come la Francia da decenni punta tutte le proprie carte su di essa. Anche altri paesi come la Russia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti o la Cina, insistono almeno in parte su tale soluzione per generare l’elettricità dalla quale sempre di più il mondo dipende. Mentre dove i movimenti “verdi” hanno preso forte consistenza, come in Germania o in Spagna, s’è diffusa la tendenza ad abbandonare tale sistema per unirsi all’Italia nella denuclearizzazione, pur mentre la necessità di elettricità continua a crescere, con le prospettive di aumenti ancora maggiori nell’immediato futuro per via dell’estendersi dell’intelligenza artificiale (forte consumatrice di elettricità) e dei veicoli mossi da motori elettrici.
Da che cosa nasce l’opposizione all’uso dell’energia nucleare? Se su un piano strettamente economico si potrebbe dire che tale fonte è ancora relativamente costosa, si tratta in realtà perlopiù di opposizione preconcetta, come s’è visto in Italia sin dal referendum del 1987, condotto con demagogico opportunismo sull’onda emotiva dell’incidente di Chernobyl.
La differenza tra l’approccio ideologico e quello ragionevole al problema ecologico si ravvisa anche nel modo in cui si prospetta il futuro. L’approccio ideologico lo vede nero, macchiato dalla continua presenza dell’essere umano sulla Terra di cui auspica la riduzione numerica, secondo la stessa logica per la quale il sistema più sicuro per sconfiggere la malattia è sopprimere il malato. L’approccio realistico vede nella crisi attuale l’opportunità per mettere in campo la creatività che ha sempre accompagnato il cammino della nostra specie: cercare soluzioni nuove, quali l’energia di fusione. E così il futuro può essere visto come roseo.
Tecnologia e vita
La differenza: se prevale la visione nera del futuro, perché perpetuare la vita umana? Il fatto che nei Paesi avanzati, nei quali questa visione s’è imposta, siano anche quelli dove si generano meno figli, probabilmente ha qualcosa a che fare anche con questa visione negativa del momento storico e dell’essere umano. Perché generare figli se così facendo prepariamo un futuro tragico? Ecologismo e anti umanesimo si saldano tra loro.
In paesi come l’Italia o la Spagna, che attualmente si contendono il primato negativo del numero di nuovi nati, è evidente che l’unica risposta possibile sia quella di accogliere nuovi cittadini immigrati per sanare il deficit crescente del saldo demografico. Sperando che gli immigrati recepiscano la cultura dell’umanesimo cristiano che ha reso importanti questi due paesi nel mondo, e non quella dell’antiumanesimo anticristiano che è andata crescendo con l’ideologia ecologista di questi ultimi lustri.
Dopo la sconfitta dei Verdi alle elezioni europee del 2024, si tratta di vedere se si può restaurare una tendenza informata a una visione umanistica della politica, e non alla congerie degli pseudo ecologismi che sinora hanno imperversato. Così che la prospettiva di equilibrio tra essere umano e ambiente non si fondi su una visione statica intrisa di smanie di accaparramento, ma su una visione dinamica di co-evoluzione. Recuperando la cultura dell’umanesimo cristiano che le varie ideologie hanno voluto ostracizzare e che, per inciso, è alla base dell’Unione europea voluta dai suoi Padri fondatori.
Non a caso l’istituzione della Comunità Europea dell’Energia Atomica (Euratom) avvenuta in Roma nel 1957, è stato uno dei primi e più importanti passi sulla strada della formazione dell’Unione Europea. Il relativo trattato nel preambolo evidenzia che i suoi fondatori sono:
“Coscienti che l’energia nucleare costituisce la risorsa essenziale che assicurerà lo sviluppo e il rinnovo delle produzioni e permetterà il progresso delle opere di pace,
“Convinti che soltanto da uno sforzo comune intrapreso senza indugio è possibile ripromettersi realizzazioni commisurate alla capacità creativa dei loro paesi,
“Risoluti a creare le premesse per lo sviluppo di una potente industria nucleare, fonte di vaste disponibilità di energia e di un ammodernamento delle tecniche, e così pure di altre e molteplici applicazioni che contribuiscono al benessere dei loro popoli,
“Solleciti d’instaurare condizioni di sicurezza che allontanino i pericoli per la vita e la salute delle popolazioni,
“Desiderosi di associare altri paesi alla loro opera e di cooperare con le organizzazioni internazionali interessate allo sviluppo pacifico dell’energia atomica” [enfasi aggiunte].
Si tratta sostanzialmente una dichiarazione di principio ancora valida, tanto che la citazione qui riportata è ripresa dal testo rivisto nel 2012.
L’auspicio quindi è che la cospicua riduzione del peso politico dei movimenti ispirati all’uso ideologico dell’ecologia in funzione anti progresso e in particolare avversi all’energia nucleare, possa portare a una vigorosa ripresa dell’impegno dell’Unione per la Ricerca e lo Sviluppo in questo campo di basilare importanza. Sarebbe un passo concreto per migliorare il servizio reso dall’Unione ai paesi che la compongono e per rilanciare quella visione fattiva e ottimista grazie alla quale il continente fu ricostruito dopo il disastro della seconda guerra mondiale, prima che insorgesse il nuovo disastro dell’eco-ideologismo.