di Aldo Ferrara con Maria Mantello
L’ora più buia per Roma
A pochi mesi dal rinnovo della Giunta Capitolina, si apre la ridda dei possibili candidati il cui merito unico è quello di apparire sui media senza un back-ground o un curriculum che li possa accreditare come amministratori degni non semplicemente della città di Roma, ma della Capitale del Paese. Il baratro in cui sta scadendo il Museo a Cielo Aperto di questo pianeta, lo sconcerto di fronte alla lordura, la scarsa sensibilità di fronte al giusto richiamo del rischio sanitario, pervenuto da più parti ivi compreso un organo istituzionale come l’Agenzia di controllo e qualità dei SSPPLL della Città, tutto quanto impone una riflessione sui compiti gravosi che il prossimo Sindaco avrà. Tra i possibili nomi in circolazione, uno ha dietro la scrivania il ritratto di Churchill, il leone che si battè per quello in cui credeva.
Ritornano profetiche le parole di Marco Pannella che invocava nel 1989 come Sindaco di Roma un certo Nathan. Oggi dovremmo non solo rievocarlo ma ricostruirne la figura che molti non conoscono o hanno dimenticato.
Il Sindaco d’altri tempi: Ernesto Nathan patrimonio dell’etica nella vita sociale e politica
A ben vedere, con l’ottica odierna, bene fece Marco Pannella a intitolare una sua lista a Ernesto Nathan, in occasione delle amministrative romane del 1993. Ernesto Nathan fu il primo dei Sindaci delle grandi città italiane a impronta laica, come poi avvenne a Milano con i Sindaci socialisti Greppi e Aniasi. Legò la sua opera a una concezione etica del buon governo con una serie concentrica di azioni amministrative sulle “cose da fare” che ancora oggi costituiscono esempio unico.
Sindaco di Roma dal 1907 al 1913, la sua storia e la sua concezione etico-politica hanno radici lontane che ci portano a Londra dove nacque il 5 ottobre 1845 da Sara Levi e Meyer Moses, entrambi ebrei. E dall’ebraismo apprende, fin da bambino, il dovere dell’impegno individuale a “costruire il paradiso sulla terra” (Maria Mantello, Micromega, gennaio 2013). A Londra, la famiglia Nathan diviene ben presto il punto di riferimento per tanti esuli politici italiani. Primo fra tutti i suoi riferimenti, Giuseppe Mazzini ed è lo stesso Mazzini a inviarlo a Roma perché curi la “Roma del popolo”.
Sulla base di questi insegnamenti, Ernesto Nathan sviluppa un percorso e una concezione laica dello Stato. Emancipazione dell’individuo e della società significa scontrarsi con i centri affaristici di potere e realizzare una rivoluzione progressista: dalla scuola alla sanità, dall’edilizia alla municipalizzazione delle fonti energetiche, dal trasporto pubblico ai beni culturali. Se lo sviluppo dell’individuo nella libertà e nella giustizia è il fine, la pubblica amministrazione è il mezzo per perseguirlo e realizzarlo. Concetti non solo moderni ma visionari anche oggi.
La sua visione non è dunque in antitesi con quella di Crispi che riforma lo Stato, appena nato, con la legge del 1893. Ma Crispi si scontra, o meglio lo fa Giolitti per lui, essendogli succeduto, con la bufera degli scandali che percuote il Paese. Lo scandalo della Banca Romana, l’affare Tanlongo, ne scuotono le non salde fondamenta. Né la Monarchia può molto, indirettamente sfiorata dallo scandalo stesso. Si fa strada in Nathan la necessità di uno Stato Repubblicano, mazziniano non solo in ossequio ai principi democratici di Mazzini ma per assicurargli rigore, efficienza e moralità nella Pubblica Amministrazione che la Monarchia non può garantire.
Le basi della sua etica laica
Il rigore etico si coniuga con quello intellettuale in base a quale appare fondamentale costruire una nuova generazione critica, libera da dogmi e superstizioni, educando i giovani a pensare con la propria testa. Gli sarà accanto poi Maria Montessori alla quale affiderà l’organizzazione delle scuole romane. Nathan riesce a una sinossi filosofica in cui embrica il valore etico dell’educazione scolastica con la sua organizzazione. Fu quello uno dei primi problemi del nascente Stato italiano. Il Ministro Gabrio Casati, del Governo La Marmora, elabora un primo schema di obbligo scolastico, dando vita alla scuola elementare affidata ai Comuni che a loro volta nominano i maestri. La scuola è ordinata in due bienni di cui solo il primo obbligatorio. Ma l’obbligo resta sulla carta e solo fino a 6 anni quando, con il censimento del 1871, ci si rende conto che l’analfabetismo è una piaga che coinvolge il 73% della popolazione. Il Ministro Coppino (Governo De Pretis) eleva a 9 anni l’obbligo e la piaga si riduce al 62%, ma dopo di allora non scenderà che nei decenni del secolo successivo. Promuovere l’educazione per l’emancipazione dell’individuo è un dovere, perché vi possa accedere soprattutto per chi ne era maggiormente escluso, come appunto le donne, per le quali Nathan voleva la parità di diritti.
Bisognava abituare all’esercizio dell’autonomia morale e alla gestione della libertà di scelta. Bisognava educare, insomma, all’etica laica della responsabilità, dove l’azione ha valore in se stessa e per le conseguenze individuali e sociali che implica. La consapevolezza di migliorare se stessi e la società trova ulteriore linfa nell’incontro con la Massoneria, che aveva prodotto i grandi ideali di “libertà”, “uguaglianza”, “fratellanza”, base della Rivoluzione americana e di quella francese. Nell’800, quegli ideali chiamano alla realizzazione di Nazioni libere sempre più improntate alla democrazia e alla giustizia sociale.
La Massoneria rappresenta, allora, il naturale punto di riferimento progressista del Risorgimento contro i potentati della “sacramentata” alleanza trono-altare. Pertanto, la Chiesa cattolica, quando farà i conti con l’irreversibile perdita del suo potere temporale, addita la Massoneria come la responsabile massima della sua crisi, dichiarandosi vittima delle trame giudaico-massoniche che affermano le “aberranti” idee del socialismo e propugnano la libertà di pensiero contro i dogmi cattolici.
È particolarmente Civiltà Cattolica, la rivista dei Gesuiti, a gridare al complotto definendo la Massoneria: “Sinagoga di Satana”. Ernesto Nathan entra a far parte della Massoneria nel 1887. Dal 1896 al 1903 e dal 1917 al 1919 ricoprirà anche il ruolo di Gran Maestro. L’incontro con la Massoneria è per lui la sintesi di quell’educazione alla fratellanza universale, appresa dalla cultura ebraica ed alimentatisi nell’insegnamento mazziniano.“La Massoneria – dice Nathan – il 21 aprile 1901 all’inaugurazione di palazzo Giustiniani – …vive e fiorisce per essersi di volta in volta tuffata nell’acqua lustrale del progresso, assimilando ogni nuova fase di civiltà, il più delle volte divenendone banditrice… Siamo noi, che in nome di quel principio di fratellanza, abbiamo iniziato, spinto innanzi il movimento per la pace e l’arbitrato… Siamo il germe dei vagheggiati Stati Uniti d’Europa”.
Il bene dell’individuo e la funzione pubblica della politica
L’Italia di fine Ottocento è squassata dai moti sociali. Nel 1898 il generale Bava Beccaris faceva sparare colpi di cannone sull’inerme popolazione milanese che chiedeva pane, Carmine Crocco imperversava con il fenomeno del Brigantaggio nel sud d’Italia e in Sicilia, in concomitanza con lo scandalo della Banca Romana, Napoleone Colajanni dava vita, con Giuseppe De Felice Giuffrida ai fasci siciliani nati a Catania nel 1891. La Corona reagisce con una improvvida Commissione d’Inchiesta affidata all’On. Giuseppe Massari (di cui, chi scrive porta il cognome) che cataloga il fenomeno come una povera ribellione di servi trascurando le motivazioni profonde etico-sociali e politiche di quel fenomeno. Pochi decenni dopo si fonderanno i valori socialisti a Genova, incardinati in uno sfondo ben preciso di difesa dei diritti dei lavoratori.
A Roma, Ernesto Nathan ricerca l’unità delle forze progressiste liberali (liberali progressisti, radicali, repubblicani) per realizzare le riforme sociali. Nel 1888 ha ottenuto la cittadinanza italiana, pertanto può candidarsi alle elezioni. Sceglie Pesaro, città natale della madre. Dal 1889 al 1894 ricopre la carica di consigliere comunale, sempre denunciando la scarsa attenzione delle istituzioni al sociale. Amministratore attento e scrupoloso, Nathan studia la situazione della città. E denuncia il nesso esistente tra malattia, emarginazione sociale, miseria. Rileva, ad esempio, che i ricoverati all’ospedale S. Benedetto sono contadini che la pellagra aveva portato alla demenza. A Pesaro, come poi a Roma, si batte per promuovere l’istruzione, la sanità, l’edilizia popolare; per ridurre la giornata lavorativa a otto ore; per calmierare il prezzo del pane mediante l’istituzione di spacci comunali.
Dal 1895 è consigliere al Comune di Roma: denuncia le cause economico-sociali che portano tante povere donne a prostituirsi; vuole la bonifica dell’agro romano per eliminare la malaria; lotta contro la speculazione edilizia e contro lo strapotere del Vaticano nel tenere imbrigliate le coscienze. Dal 1907 e il 1913, finalmente, è Sindaco della Capitale.
Nathan Sindaco
L’Unione liberale popolare (il famoso Blocco) formata da radicali, repubblicani e socialisti ha vinto le elezioni. I cattolici non hanno partecipato alla competizione elettorale, perché il “non expedit” del papa vietava loro l’accesso alle cariche istituzionali nel giovane Stato italiano, che aveva decretato la fine del potere temporale della Chiesa romana.
Nathan fa tremare il mondo affaristico clerico-nobiliare, che lucra grazie all’intreccio tra capitale finanziario e patrimonio fondiario, nell’immobilismo di una Roma della Rendita, dove le masse popolari sono tenute nell’alfabetismo e nella miseria.“Civiltà Cattolica” lancia i suoi anatemi contro il Sindaco che scandalizzata definisce straniero, ebreo, repubblicano e massone: “è il primo sindaco non romano dopo 37 anni, quanti ne sono corsi dal 1870, anzi nemmeno italiano, perchè di origine inglese, nativo di Londra. In ogni caso repubblicano, israelita, massone. La sua presenza a capo del comune romano è misura del livello a cui siamo discesi”.
Quello “straniero” che aveva abitato a Londra, a Parigi, a Lugano, era forse troppo scomodo per rettitudine morale e visione europeista. Nel suo discorso programmatico del 2 dicembre 1907, all’atto dell’insediamento nella sua carica di Sindaco in Campidoglio, Ernesto Nathan diceva: “Guardiamo all’avvenire…a una grande Metropoli ove scienza e coscienza indirizzino… rinnovate attività artistiche, industriali, commerciali… perché guardiamo attraverso la breccia di Porta Pia.” Il crollo del muro del totalitarismo teocratico cattolico, che la Breccia di Porta Pia rappresentava, era dunque indicato con chiarezza da Nathan come la strada maestra per lo sviluppo scientifico, economico e sociale dell’umanità intera. Il 20 settembre era festività nazionale fino a quando Mussolini non la soppresse.
Nathan, ogni 20 settembre, non mancava di sottolineare l’importanza dell’evento storico, con chiarezza e coraggio: “… per la breccia di Porta Pia, entrò nella città eterna il pensiero civile ed umano, la libertà di coscienza, abbattendo per sempre, muraglia di una Bastiglia morale, il potere temporale dei papi… Quella data… da nazionale diviene, nel suo alto significato filosofico, universale, e come tale la festa del popolo per i popoli”.
I principali interventi della Giunta Nathan
La scuola: l’apporto dei tecnici accuratemnete selezionati. Le considerazioni di bilancio finanziario devono cedere il passo alle imperative esigenze del bilancio morale ed intellettuale. Le scuole devono moltiplicarsi, allargarsi, migliorarsi; rapidamente, energicamente, insieme col personale scolastico”, aveva detto Nathan nel suo discorso programmatico. Nell’agro romano le scuole rurali, che nel 1907 erano 27, nel 1911 divengono 46 e il numero degli alunni da 1183 passa a 1743. Le scuole urbane hanno un incremento di ben sedici edifici, e gli alunni, che nel 1907 erano 35.963, nel 1912 sono divenuti 42.925.
Le scuole statali, come sosteneva il coraggioso sindaco, hanno il compito: “d’insegnare per sviluppare l’intelletto, d’educare per sviluppare il cuore, addestrando all’esercizio della virtù quale dovere civile. Quindi insegnamento laico fondato su educazione morale”.Nathan si avvale di pedagogisti, medici, scienziati, specialisti nella cura della malaria (imperversava nell’agro romano). Alcuni nomi: Maria Montessori, Sibilla Aleramo, Carlo Segrè, Giovanni Cena, Alessandro Marcucci, Angelo Lolli. La giunta Nathan eroga fondi perché le scuole elementari siano dotate di refezione, di piccole biblioteche, di essenziali laboratori scientifici, di cinematografo adibito a scopo didattico.
Ma assolvano anche al fondamentale servizio di Medicina preventiva. Nei quartieri popolari, come ad esempio Testaccio e S. Lorenzo, sono costituite le sezioni estive, per sostenere i più deboli nell’apprendimento. L’impegno di Nathan nella creazione di scuole pubbliche si allarga agli asili: nascono i “giardini d’infanzia” comunali in Via Appia Nuova, Via Galvani, Via Regina Margherita, Via Novara; al Portico d’Ottavia e a Borgo s. Spirito. E le loro sezioni si triplicano: nel 1907 sono 50, nel 1911 ben 154.
“Più scuole e meno chiese” era il suo motto e a conclusione del suo mandato poteva affermare con orgoglio: “Là dove in passato necessitava ricorrere alle scuole confessionali, oggi il Comune ha reso la deleteria loro opera inutile”.
I servizi pubblici, una prima visione dei Beni Comuni
“Sottrarre i pubblici servizi dal monopolio privato; renderli soggetti alla sorveglianza, alla revisione, all’approvazione del Consiglio, preparare la via al più assoluto controllo che la cittadinanza deve acquisire su quei gelosi elementi primordiali di ogni civiltà urbana”. Così si era espresso Ernesto Nathan nel discorso programmatico del 2 dicembre 1907. Pensava alla municipalizzazione di luce, gas, acqua; pensava alla realizzazione di linee tramviarie pubbliche. Vale appena ricordare, ad esempio, che prima di Nathan, l’acqua Marcia era un fondo del Vaticano, che proprio in quegli anni stava cercando di accaparrarsi anche il controllo dell’acqua Vergine.
Acqua, luce, gas, linee di trasporto sono beni di tutti, quindi solo un organismo statale, come il Comune, può e deve gestirli in nome dell’interesse collettivo. E Nathan chiama la cittadinanza a scegliere tra gestione privata e gestione pubblica. Una giunta popolare può reggersi solo sull’appoggio popolare, era il suo leit-motiv, che per la prima volta in Italia, il 20 settembre 1909, in concomitanza della ricorrenza di Porta Pia, chiama i romani a votare. Dei 44.595 aventi diritto, si recano alle urne in 21.460. I contrari alla gestione comunale dei servizi sono poco più di trecento. Nascono così l’Azienda elettrica municipale (AEM) e L’Azienda Autonoma Tranvie Municipali. Le zone del Centro, del Salario, di Porta Pia, di Santa Croce in Gerusalemme e di San Giovanni, sono attraversate da ben 200 tram. Per tutto questo fondamentale è l’apporto professionale dell’ingegner Giovanni Montemartini, che dirigeva l’Ufficio Servizi Tecnologici.
Alla data del 1912 ormai la coalizione aveva compiuto le sue opere politiche più importati, tra cui l’avvio della municipalizzazione del trasporto pubblico e della distribuzione dell’elettricità con la relativa costituzione delle aziende comunali Atm e Aem. I servizi erano svolti dalle due monopoliste Società anglo-romana e «Società tramways ed omnibus» ma erano inefficienti e già dalla giunta precedente del moderato Enrico Cruciani Alibrandi, si discuteva sulle modifiche adottabili.
Tanto maturi che anche i cattolici furono a favore della municipalizzazione, partecipando attivamente alla campagna per il referendum del 1909 (perfino l’Osservatore Romano invitò a recarsi a votare).
Le modalità che si proponevano erano differenti, ma a definire la soluzione fu Montemartini: per l’economista socialista si doveva affrontare la questione osservandone i vantaggi nelle specifiche situazioni. E a Roma in quel frangente la soluzione doveva essere quella del «municipio concorrente», che prima avrebbe creato un suo servizio a fianco ai monopolisti, per poi procedere gradualmente alla municipalizzazione completa. Senza questo scatto di concretezza di Montemartini la città sarebbe rimasta ancora a lungo impantanata nella difficile situazione creata dai due monopoli. L’artefice ne fu il socialista Montemartini assessore ai Servizi tecnologici. Fu il teorico più autorevole sulla materia, contribuendo a creare il contesto culturale nazionale necessario e a definire il piano normativo della legge n. 103/1903, Assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni.
Di fatto con le sue riflessioni, argomentazioni e soluzioni che coniugavano sviluppo economico e libertà democratiche, impostò una cultura metropolitana moderna, fino allora quasi assente in Italia.
Tra i servizi urbani, “gelosi elementi primordiali di ogni civiltà”, come Nathan li aveva definiti, rientrano la centrale del latte, il mattatoio, l’acquario, i mercati e i magazzini generali. Le nuove strutture garantiscono igiene alimentare, ma anche risparmio economico.
Ma occorre cibo anche per la mente. Così, oltre alle scuole, Nathan si impegna a sviluppare i beni museali per la cittadinanza. Nel discorso tenuto in occasione dell’Esposizione internazionale del 1911, nell’apposito palazzo delle Esposizioni a via Nazionale a Roma, voluta per il 50° anniversario di Roma capitale, è il Sindaco stesso a ricordare questi interventi culturali: Castel S. Angelo, trasformato da fortezza papalina in “museo di ricordi d’arte medievale per insegnamento ed affinamento dei cittadini”; le Terme di Diocleziano “ridotte a fienili, magazzini e sconci abituri. Ora si circonda di giardini e ritorna in vita (…) impareggiabile Museo Nazionale”; il palazzo di Valle Giulia, “acquistato dal Comune perché divenga Galleria d’arte contemporanea”.
La Salute e la Casa
Non c’era allora il Titolo V, né l’art 117 e al Sindaco competevano competenze come la tutela della salute. “Molto è da fare per perfezionare l’assistenza sanitaria, coordinarla ad una rigorosa osservanza dei precetti igienici contemplati dalla scienza (…) adoperarsi affinché tanto nella città, come fuori dalle mura, sia provveduto alla pronta assistenza, sia prevenuta dall’igiene la terapeutica. Né in questo doveroso ufficio di umana civiltà (…) anteporre interessi e lucri”. Ecco cosa aveva affermato il 2 dicembre 1907 nel suo discorso programmatico. Obiettivo prioritario sono i quartieri poveri e le borgate. L’agro romano, con i suoi rifugi malsani, desta le maggiori preoccupazioni.
Bisogna dettare quindi norme igieniche di abitabilità (decreto 25 giugno 1908) perché non sia più possibile che i latifondisti continuino a destinare porticati, grotte, capanne con tetti fatti con paglia o con foglie di granturco ad uso abitativo per contadini e braccianti.
Nell’agro romano nascono case cantoniere e presidi medici che forniscono assistenza gratuita. Nella città sono istituite pubbliche guardie ostetriche, presidi per l’assistenza sanitaria e la profilassi delle malattie infettive. La salute con Nathan non è più assistenza caritatevole che la Chiesa elargiva con bonaria sussistenza, o un priviliegio per i ricchi, ma un pubblico dovere.
Gli interventi edilizi
A Roma prima di Nathan il sommario piano regolatore del 1883, era continuamente eluso dalle “convenzioni fuori piano”. Così, la già ricca proprietà fondiaria continuava a fare affari d’oro. “Bisogna promuovere, organizzare, integrare le diverse iniziative”- aveva detto Nathan nel suo discordo programmatico “…né potremo plaudire ad un piano regolatore che raddoppia l’estensione della città senza esattezza di tracciato e senza la scorta indispensabile dei provvedimenti atti a salvare il vastissimo demanio fabbricabile dalle sapienti astuzie dell’aggiotaggio edilizio”.
L’Ufficio edilizio è diretto personalmente dal Sindaco, che può contare sulla professionalità dell’architetto Sanjust di Teulada. È questi l’autore del nuovo piano regolatore cittadino del 10 febbraio 1909, improntato alla varietà edilizia (fabbricati, villini, aree di verde pubblico). I fabbricati non possono superare i 24 metri d’altezza; i villini, costituiti da un pianterreno con giardinetto, non possono superare i due piani. Ma è la Rendita fondiaria che Nathan colpisce: impone tasse sulle aree fabbricabili e procede agli espropri, applicando quanto il governo Giolitti aveva già stabilito a livello statale.
Nathan aveva anche ottenuto grazie alla seconda legge Giolitti in materia (legge n. 502, 11 luglio 1907), che la città di Roma potesse elevare la tassa sulle aree fabbricabili dall’1 % al 3%. La coraggiosa Giunta Nathan prevede che il valore di ogni area sia stabilito dallo stesso proprietario, che pagherà l’imposta su quanto dichiarato, e su questa base verrà risarcito in caso di esproprio da parte del Comune.
Nonostante la virulenta opposizione dei potentati della rendita, che intanto hanno avviato contro il Comune una miriade di ricorsi contro gli espropri, la giunta Nathan avvia il primo piano di edilizia economica e popolare. Case igieniche e dignitose con cortile e giardinetto interno sorgono a S. Giovanni, a Porta Metronia, a Testaccio, ma anche nelle campagne dell’Agro romano. Dopo Nathan, tutto tornerà come prima. Decaduto il non expedit del papa, grazie all’accordo in funzione antisocialista di Giolitti con Ottorino Gentiloni (patto Gentiloni del 1913), i cattolici sono eletti nelle liste dei Liberali. In nome della nuova alleanza tra liberali e cattolici, si consuma anche il sacrificio politico del nostro Sindaco.
A Roma, il 14 giugno 1914, la cattolica “Unione romana” vince. Il principe Prospero Colonna subentra a Nathan. La tassa sulle aree fabbricabili, coraggiosamente applicata da Nathan, sarà progressivamente ridotta fino alla sua definitiva abolizione con Mussolini (regio decreto n° 2538, 18 novembre 1923). Nel 1915, la Società italiana per le Imprese fondiarie del Vaticano giunge a possedere azioni per quasi due milioni di valore nominale. E tra il 1918 e il 1919, amplia straordinariamente il suo giro d’affari attraverso la Società Immobiliare.
Fine del sogno
Nel gennaio-febbraio 1912 uscirono dall’esecutivo i repubblicani, in disaccordo sulla nuova convenzione con la Società anglo-romana che gestiva la distribuzione dell’energia elettrica.
Questa si rendeva indispensabile per garantire l’elettricità necessaria all’avvio delle linee tranviarie municipali. In agosto uscirono i socialisti, ufficialmente per ragioni di politica nazionale, ma che in realtà avevano soltanto corroborato i ben più importanti accadimenti nell’attività amministrativa (accuse alla giunta di aver deluso le aspettative, tempi lunghi per una nuova legge per Roma, lunghe attese per i fondi necessari alle case popolari e alle municipalizzazioni, problema del caroviveri, rivendicazioni operaie del 1908-1909, e saluto allo zar). Così il sindaco e quel che restava della giunta diedero le dimissioni nel dicembre 1913.
Il periodo della giunta Nathan è importante nella storia di Roma perché coincide con l’evoluzione che nel resto del paese e dell’Europa si stava attuando. Ma mentre l’Europa guardava alla rivoluzione industriale come mezzo capitalistico per sanare i guasti del Novecento sviluppando proprio il capitale, Nathan aveva privilegiato lo sviluppo del pensiero etico quale fondamento strutturale del processo socio-politico.
Aveva cioè applicato quasi alla lettera l’insegnamento di Mazzini, anteponendo il bene e la crescita dell’individuo su quella del blocco sociale. Un percorso che lo aveva portato ben lontano dalle idee marxiste della lotta di classe e dall’altro lato dal capitalismo, così poco umano e lontano dai suoi ideali.
Oggi non c’è più Nathan con il suo pensiero visionario e illuminato, con la sua prospettiva umana e umanitaria, restano i problemi di sempre, l’intreccio di poteri che ha fatto della Capitale quel nodo che rende inscindibile l’amministrazione delle “cose da fare” con i problemi nazionali. Di questo si rese conto Giolitti nel suo aforisma, poi ripreso o attribuito all’uomo di Predappio: governare gli italiani (romani) non è difficile. È inutile!
Aldo Ferrara con Maria Mantello
Riferimenti bibliografici
1- Mantello Maria Giustizia, libertà e laicità: la lezione di Ernesto Nathan, Micromega, 2013
2- A.Ferrara, P. Nicotri, F. Besostri. Dai partiti di massa ai Sindaci ” fuori dal Comune”. AGORA&CO, Lugano, 2014