FRONTIERE

Norvegia: dal petrolio un trampolino per l'auto elettrica

di Aldo Ferrara*

Appare forse prematuro alimentare speranze sull’auto elettrica, almeno nell’immediato. Magari in futuro sarà inevitabile, ma occorrono condizioni preliminari da rispettare e sviluppare che appaiono ancora lontane per il mercato. Non so se il paragone possa reggere ma diffondere nel mercato molte auto elettriche prima di avere l’infrastruttura necessaria per sostenerle, sarebbe come comprare un frigorifero prima di aver acquisito il contratto di energia elettrica. Oggi uno degli esempi più virtuosi è quello della Norvegia il cui Governo ha posto come strategia prioritaria la dismissione del fossile… ma attraverso il petrolio. Vediamo come.

Il riassetto virtuoso del parco auto

Nel 2017, il parco auto norvegese si è rinnovato nella misura del 40% ( o poco meno) con vetture a motorizzazione ibrida o elettrica. I numeri sono straordinari, anche in proporzione al numero di abitanti (circa 5 milioni): 140mila vetture elettriche e più di 67mila ibride o plug-in, vale a dire oltre il 6% del parco circolante. Una percentuale che è in continuo incremento. Mentre in Italia siamo ancorati al 51% di acquisti diesel e solo al 0,2% elettrico.

In Norvegia la scelta elettrica è resa possibile dal fatto che la produzione di energia è più che sufficiente anche per soddisfare le necessità di un parco auto (circa 3 milioni) completamente elettrificato, almeno secondo la norvegese Electric Vehicle Association. Dobbiamo stupirci? In effetti sembrano numeri eccezionali ma dicono ancora poco se non si esamina il funzionamento del modello energetico norvegese nel suo complesso.

Utilizzare il petrolio per dismetterlo

Grazie anche alla scoperta del petrolio nel Mare del Nord, in Norvegia esiste un fondo pensionistico d’investimento, il Fondo Sovrano Norvegese, con un budget circa 900 miliardi, che ha consentito al Paese l’acquisizione di azioni di Holding estere tra le più quotate. Ed è proprio sul mercato petrolifero che il Fondo ha fatto shopping. Ha acquisito l’1.7% dell’ENI, il 2.3% di Royal Dutch Shell, l’1.7% di Bp, l’1.6% di Total, lo 0.9% di Chevron, lo 0.8% di Exxon. Un valore complessivo di 37 miliardi di dollari, pari a circa il 6% dell’intero plafond.

Proprio la ricchezza di questo fondo consente al Governo norvegese di iniziare una strategia di progressiva dismissione dal mercato dei fossili: una politica coerentemente adottata anche per il mercato dell’auto. Infatti, entro il 2025 verranno eliminate le auto a combustione termica, sarà dismessa la produzione Volvo di motori tradizionali e sostituita con la motorizzazione interamente elettrica. Lo stoccaggio dell’energia richiesta avverrà mediante impianti idro-elettrici, che si trovano in gran numero nel Paese.

Già dal 2013 è stata creata una Società a capitale statale, l’ENOVA, che ha ricevuto nel 2017 oltre 2,3 miliardi di corone norvegesi di supporto. Di questi, 165 milioni sono destinati al riscaldamento domestico con energie rinnovabili, mentre i restanti fondi contribuiranno all’avvio di 931 progetti energetici e climatici in ambito industriale, con 108 progetti tecnologici (www.enova.no).

Questa è la principale spinta attuativa che consente al Governo norvegese un radicale riassetto del mercato automobilistico, mentre è sostanzialmente il punctum dolens dei Governi europei: solo acquisire ampie riserve di energia, con l’idro-elettrico o altra energia rinnovabile, consente la migrazione del mercato verso l’auto elettrica: viceversa l’alimentazione di questi motori su vasta scala risulterebbe impossibile, salvo ricorrere ai fossili. E questo costituirebbe un vero e proprio caput mortuum.

Tuttavia tale comportamento virtuoso non impedisce una politica di esportazione dei fossili, considerata la richiesta sempre in aumento nel continente europeo e asiatico. Ne sono consapevoli i norvegesi che calcolano, anche per i propri interessi, una richiesta planetaria di 70 milioni di barili al giorno fino al 2040. Sembrerebbe un comportamento poco coerente, invece risulta in linea con i principi di sostenibilità globale in virtù di nuove tecnologie adottate.

La nuova tecnica del CCS

Dunque, se da un lato i norvegesi attivano un percorso virtuoso interno, dall’altro, esportando gas e oil, possono includersi tra i responsabili del cambiamento climatico per incremento di CO2? La risposta, per quanto audace, è negativa e, secondo le affermazioni del Ministro Soviknes, ciò è dovuto alle nuove tecnologie che consentono cattura, stoccaggio (Carbur Capture and Storage, CCS) e liquefazione dell’anidride carbonica anziché la sua dissoluzione aerea. Con effetti salutari non solo sull’ambiente ma anche sull’economia, non aggravando l’Emission Trading, ossia la spesa di compensazione per eccesso di CO2 prodotta. La tecnica del CCS, collaudata da anni nel giacimento di gas offshore Sleipner, dovrebbe essere esportata nei Paesi nei quali la sofferenza da inquinamento atmosferico è maggiore, ossia Paesi Asiatici in fase di incessante industrializzazione mediante fossili e nei Paesi Europei Consumers con l’irrisolto problema del traffico e della produzione di gas tossici oltre che di CO2.

In pratica, una domestic policy di riconversione all’elettrico in toto ed una politica di esportazione dei fossili con metodiche rispettose dell’ambiente. Politica che non impedisce nuove perforazioni e investimenti su nuovi siti di estrazione. Diversificazione sì ma sempre eco-sostenibile!

Su questa stregua, la compagnia petrolifera svedese Lundin Petroleum sta verificando la consistenza di un ampio giacimento nel Mare di Barents, sempre più affollato (http://www.frontiere.eu/partita-poker-nellartico-la-posta-greggio-gas/) a 160 km dalla costa norvegese, con una stima presuntiva di circa 250 milioni di barili, sito destinato dunque ad arricchire la già consistente riserva del Brent.

Una nazione con circa 5 milioni di abitanti e una densità di circa 12 ab/kmq potrebbe largamente evitare di impegnarsi in schemi virtuosi. Al contrario, è da tempo antesignana di un processo di dismissione del fossile da cui l’Europa, con una densità abitativa ai limiti del tollerabile (50 ab/ kmq) e con un rapporto tra abitanti e auto vicino all’unità, dovrebbe prendere esempio.

Riferimenti bibliografici

Bellomo S. La Norvegia, gigante dell’oil&gas, vuole vendere i titoli dell’energia. Il sole24h, 17 novembre 2017

Tarquini A. Il fondo sovrano norvegese in fuga da petrolio e gas: disinvestiti oltre 35 miliardi di titoli, Repubblica, E&F, 17.11.2017

Teffer P. Norway oil minister: we’ll keep drilling because we do it greener, EuObserver.com, 26.03.2018

http://www.repubblica.it/economia/2017/11/17/news/il_fondo_sovrano_norvegese_in_fuga_da_petrolio_e_gas_disinvestiti_oltre_35_miliardi_di_titoli-181344202/

http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2017-11-16/la-norvegia-gigante-petrolio-e-gas-punta-cedere-azioni-settore-183144.shtml?uuid=AEwvjBDD

http://www.adnkronos.com/sostenibilita/best-practices/2018/03/05/norvegia-paese-delle-auto-elettriche_l8pfEPejjg1gH67Lftj76N.html

*Aldo Ferrara, Professore f.r. di malattie Respiratorie, Università di Milano e Siena, Executive Manager dell’European Res. Group on Automotive Medicine

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