Il 24 maggio 2022 Salvador Ramos, un ragazzo di 18 anni appena compiuti, è entrato nella scuola elementare di Uvalde, in Texas, e ha ucciso con un fucile d’assalto 19 bambini e due maestre. Negli USA, dove comprare un’arma da guerra è facile come acquistare delle caramelle, ci sono state più di duecento sparatorie di massa dall’inizio dell’anno. Essere raggiunti da colpi di armi da fuoco è la principale causa di morte nelle scuole americane. La potentissima lobby delle armi è finora riuscita a bloccare con successo ogni limitazione alla libera vendita. Le madri che baciano con affetto il capo dei loro bimbi che vanno a scuola si rendono conto che quella stessa testa potrebbe essere fatta esplodere dal pazzo di turno?
Dal gennaio di quest’anno, nelle scuole americane ci sono state 39 sparatorie. Due settimane fa, un altro diciottenne ha ucciso 10 persone in un supermercato a Buffalo, nello Stato di New York. Dopo ogni strage il copione si ripete identico: il Presidente invita gli americani a rimanere uniti e condividere il cordoglio e le preghiere, gli amici delle vittime si recano dolenti sul luogo del crimine e depongono fiori e messaggi, se ci sono bambini ammazzati i compagni di scuola in lacrime portano pelouche e regalini, gli attivisti favorevoli alle armi vanno in televisione a dire che se i professori e gli impiegati della scuola fossero stati armati avrebbero potuto neutralizzare l’aggressore, i gruppi contrari alla libera diffusione di fucili da guerra dicono invece che è arrivato il momento di regolamentarne la vendita. Passato il clamore, tutto torna come prima, fino alla prossima strage che fa ripartire la giostra. Sembra cinico? Nel momento in cui scrivo, qualcuno con un’arma in mano sta uccidendo qualcun altro negli Stati Uniti. Se il numero delle vittime rimane sotto il cinque, la notizia non verrà nemmeno riportata in Italia.
C’è del metodo in quella follia
Il vero problema è che gli USA hanno una popolazione di 330 milioni di persone, mentre le armi in circolazione raggiungono i 400 milioni, molto più di un fucile a testa, inclusi neonati e moribondi. La metà delle famiglie bianche possiede una pistola, un terzo di quelle nere e una su quattro di quelle ispaniche si sente protetta se ha un’arma a portata di mano. Solo il 20 per cento delle famiglie asiatiche si è armato, ma non possiamo escludere che, ben presto, anche loro parteciperanno entusiasti allo sport nazionale. Negli Stati Uniti per acquistare bevande alcoliche è necessario aver compiuto 21 anni, ma se intendi regalarti per il tuo diciottesimo compleanno un fucile mitragliatore AR-15 e 375 pallottole, come ha fatto Salvador Ramos, non ci sono problemi.
Uno dei gruppi di interesse più influenti a Washington è la potentissima National Rifle
Association (NRA, Associazione nazionale per i fucili), grande foraggiatrice di politici repubblicani ma che non disdegna di allungare somme sostanziose anche ai democratici. Nessun deputato o senatore ha mai osato fare la propria campagna elettorale sostenendo che la libera vendita di fucili mitragliatori è una follia che non si verifica in nessun altro Paese del mondo. La questione è totalmente politica e non ha niente a che vedere con un malinteso concetto di “libertà”, lo stesso utilizzato dalle orde trumpiane per invadere e saccheggiare il Campidoglio il 6 gennaio 2021. Gli sgherri prezzolati dalla NRA sostengono che il diritto a comprare liberamente armi è sancito dal secondo emendamento della Costituzione americana e che limitarlo è un inaccettabile attacco alle sacre “libertà” individuali.
È vero che il 15 dicembre del 1791 (non proprio l’altro ieri) il Congresso degli Stati Uniti ratificò il secondo emendamento che afferma: “Essendo una milizia ben organizzata necessaria alla sicurezza di uno stato libero, il diritto del popolo a possedere e portare armi non potrà essere violato”. Ma gli Stati Uniti, che allora si erano da poco dichiarati indipendenti dalla corona britannica, oggi non hanno certo bisogno di milizie popolari per difendersi, visto che hanno il più potente e moderno esercito al mondo. In ogni caso, la definizione del secondo emendamento parla di “armi” senza ulteriori specificazioni, quindi non si vede alcuna ragione per cui non si possa vietare o limitare fortemente l’acquisto e la detenzione di armi da guerra, in grado di sparare centinaia di colpi a ripetizione, che non possono essere giustificati né per la difesa personale né per quella dello stato. Se è necessario rispettare la “libertà” di detenere e portare armi, anche una pistola o un fucile non a ripetizione vanno bene, non serve certo una mitragliatrice pesante. Il vero motivo per cui il lucrosissimo affare delle armi non può essere ridimensionato è che i profitti della lobby più potente degli Stati Uniti sono più importanti delle vite umane. Ricordiamoci che nel Paese che si è orgogliosamente proclamato “faro di speranza” ogni anno perdono la vita, per colpi di armi da fuoco, quasi 60mila persone, lo stesso numero dei caduti nella guerra del Vietnam, che durò dal 1955 al 1975.
Ma i figli so’ piezz’e core anche in America?
Abbiamo imparato a scuola che può essere molto pericoloso avvicinarsi a un’orsa in un parco quando ci sono anche i piccoli perché, se li crede in pericolo, l’orsa affronta chiunque per proteggere la sua prole, a rischio della propria vita. Gli esseri umani sono mammiferi e anche le madri hanno un forte istinto di protezione, ovviamente molto più complesso e articolato rispetto a quello di un’orsa o di una tigre. Dopo la feroce dittatura che dominò l’Argentina dal 1976 al 1983, diverse madri di dissidenti spariti nel nulla, si mobilitarono per far luce sulla scomparsa dei loro figli e ottenere almeno la restituzione dei cadaveri. Con coraggio indomito, fondarono un’associazione che prese il nome dalla piazza di Buenos Aires dove si ritrovavano ogni giovedì pomeriggio per percorrerla in cerchio, per circa mezz’ora, per ricordare alle autorità che il frutto del loro ventre, portato amorevolmente per nove mesi, era stato brutalmente massacrato e fatto scomparire. Le Madres de Plaza de Mayo divennero famose in tutto il mondo e, grazie alla loro sofferta determinazione, in molti casi riuscirono a farsi restituire i resti mortali dei loro figli.
Voglio ricordare anche il caso di Felicia Bartolotta, una donna siciliana di altissime doti umane e sociali, che condusse un’eroica battaglia contro la mafia che le aveva ucciso il figlio, Peppino Impastato, militante di sinistra che aveva osato sfidare il potere di Tano Badalamenti, il boss mafioso di Cinisi, vicino a Palermo. Il 9 maggio del 1978, Peppino era stato ucciso con dei candelotti di dinamite per far sembrare che fosse rimasto vittima di un attentato organizzato da lui stesso. Felicia rifiutò la linea ufficiale, sottoscritta in un primo momento anche dal locale comando dei carabinieri, e con un cuore da leonessa si batté, insieme all’altro figlio Giovanni e alla nuora, chiamata anch’essa Felicia, fino a quando la verità non venne a galla e Tano Badalamenti fu riconosciuto come mandante e condannato dopo un lungo calvario giudiziario. Felicia era una semplice casalinga che sapeva appena leggere e scrivere ma, per difendere la memoria di un figlio amatissimo, tirò fuori il coraggio di un’eroina biblica e affrontò il potere invisibile e spietato di Cosa nostra, riuscendo a trionfare. La vicenda di Peppino Impastato è stata splendidamente raccontata da Marco Tullio Giordana nel film I cento passi.
Ogni madre americana sa che quando saluta i figli nel mandarli a scuola potrebbe non rivederli mai più vivi. Purtroppo, alla base di questa affermazione non c’è una cupa e distruttiva preveggenza ma, semplicemente, la statistica. Certo, le madri delle vittime, come pure molte altre persone sensibili al problema, protestano e chiedono leggi che limitino la facilità con cui si possono acquistare, senza documentazione alcuna, armi altamente letali. Ma finito il clamore, spenti i riflettori, calata l’attenzione pubblica, il dolore atroce per la perdita di un figlio piccolo ridiventa un dolore personale, da accettare e sopportare nella cerchia ristretta della famiglia, con l’aiuto della rassegnazione e della preghiera. Ma questa non era la mentalità delle Madres de Plaza de Mayo; Felicia Impastato sapeva benissimo che attaccando pubblicamente Cosa nostra rischiava la vita ma non ha certo esitato. Piccoli gruppetti radicali, liberal che si battono per le cause più diverse, giovani militanti attivi nelle scuole, reduci dalle stragi precedenti hanno tutti combattuto contro la lobby delle armi, ma senza alcun successo. E le madri degli studenti, ma anche delle migliaia di altre vittime, vogliono scendere in campo per fermare la carneficina? Se non ora quando?
Galliano Maria Speri