di Michela Beatrice Ferri
Le mie recenti visite allo Holocaust Memorial di Miami Beach – progettato da Kenneth Treister – e poi allo Denkmal für die ermordeten Juden Europas al Mitte di Berlino – progettato da Peter Eisenman – mi hanno dato modo di riflettere nuovamente, e in maniera ancora più approfondita, sul concetto di “memoria”.
[caption id="attachment_10005" align="aligncenter" width="1280"]Parlare di “memoria” significa gettare un ponte tra passato e futuro, passando per un presente che necessita di un insegnamento, di essere educato a questo tema. Parlare di “memoria” in relazione alla Shoah significa sfidare l’oblio e mantenere vivo il ricordo di ciò che è accaduto. Il dialogo con la storica Liliana Picciotto (Il Cairo, 1947, direttrice dell’archivio storico del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano) è per me di profondo significato: è un dialogo con la Storia, con una ricerca “mai finita” – così la definisce Liliana Picciotto – su un tema, quello della Storia della Shoah, difficile da affrontare, e lo indico come difficile perché il mondo delle testimonianze, dei ricordi, non si ferma per attendere il lavoro dello storico, ma segue il corso di una esistenza: vita, morte.
Liliana Picciotto indica che gli ebrei “sfuggiti alla Shoah in Italia furono addirittura più dell’ottantuno per cento”. Il suo recentissimo libro, intitolato “Salvarsi. Gli ebrei d’Italia sfuggiti alla Shoah. 1943-1945” (Einaudi, 2017) presenta i risultati del progetto intitolato «Memoria della salvezza» realizzato in collaborazione con il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, volto a riflettere su come gli Ebrei Italiani abbiano potuto salvarsi malgrado le ricerche, gli arresti, le deportazioni, da parte delle autorità fasciste e naziste. Si tratta, indica Liliana Picciotto, “di un lungo lavoro, frutto di circa dieci anni di ricerche, un lavoro che si può dire io abbia avviato negli anni successivi alla pubblicazione del celebre testo intitolato Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia. 1943-1945”.
Non vi era stato alcuno studio che, in precedenza, si era posto in modo sistematico e scientifico la questione di chi fossero i salvi e sul motivo per cui si fossero salvati. Si toccano qui temi quali: che cosa sapevano gli ebrei in Italia della Shoah che infuriava già nell’Europa nazista? Che cosa ne sapeva la gente comune? Qual era il rischio per un normale cittadino che desse soccorso agli ebrei? Può questo soccorso definirsi come resistenza civile? Vi era differenza tra il soccorso agli ebrei e quello ad altre parti sociali ugualmente bisognose di passare nella clandestinità: renitenti alla leva, soldati dell’esercito alleato evasi, antifascisti? Come il fatto di essere perseguitati per famiglie intere ha influito sulla scelta delle modalità di cercare salvezza?
Vi sono molti fattori che vanno presi in considerazione per spiegare questo fenomeno di “salvezza”. Si tratta degli elementi su cui si è basata la ricostruzione storiografica elaborata da Liliana Picciotto. La buona integrazione degli ebrei nella società italiana del tempo, la generosità di molti cittadini, le infinite soluzioni che quegli ebrei hanno saputo mettere in campo per evitare a se stessi e alle proprie famiglie l’arresto e la deportazione. Quest’opera è anche un omaggio a quei capifamiglia ebrei di allora che seppero usare preveggenza, coraggio e capacità di affrontare uno stato di emergenza permanente.
Sono state indagate le circostanze esterne obiettive che hanno giocato in favore della salvezza: il caso, il periodo temporale, la geografia, il contesto sociale, la cerchia amicale, trovarsi in città o in campagna, avere certi legami professionali, avere conoscenze nel mondo ecclesiastico cattolico, disporre di denaro e altro ancora.
La pubblicazione è stata sostenuta dalla Viterbi Family Foundation, nella persona di Andrew Viterbi, ingegnere nato in Italia, naturalizzato statunitense, in onore della moglie Erna Finci Viterbi, alla cui famiglia Liliana Picciotto ha dedicato il saggio intitolato “I Finci. Una famiglia ebraica in fuga da Sarajevo a Parma al Monte Bisbino (1941-1944)”.
Ebrei scampati al pericolo. Ebrei fuggiti verso la salvezza – come nel caso del medico oftalmologo Achille Viterbi, da Bergamo. “Si tratta di un libro interamente dedicato alle vite, alle vicende, vissute in quegli anni tremendi dagli Ebrei Italiani che si sono potuti salvare” dice Liliana Picciotto. Il suo lavoro è stato lungo e scientificamente meticoloso: circa 700 interviste, la disamina di decine di migliaia di documenti di archivio, di testi di memorie.
Questo libro è stato presentato per la prima volta il 24 ottobre 2017 nel luogo cui in un certo senso è profondamente legato: il memoriale – Binario 21, di Milano. Successivamente presentato in diverse città italiane, il venerdì 26 gennaio è illustrato allo Yad Vashem di Gerusalemme da Yael Nidam Orvieto (Yad Vashem) e da Cecilia Nizza (Hevrat Yehudei Italia).
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