Il libro di Wolff e l'equilibrio di Trump

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di Domenico Maceri

“Se lui stesso non si dichiara un genio, nessun altro lo farà”. Così Lindsey Graham, senatore repubblicano del South Carolina, rispondeva a una domanda nel programma “The View” della Abc sulla questione di Donald Trump e la sua affermazione di essere un genio. In realtà Graham si sbagliava dato che Stephen Miller, uno dei più fedeli consiglieri dell’attuale inquilino alla Casa Bianca, ha detto a Jake Tapper della Cnn che il suo capo è affettivamente “un genio”, come dimostrato dalla campagna elettorale del 2016. Miller è stato il miglior difensore di Trump dopo le notizie eclatanti di “Fire and Fury”, il  libro di Michael Wolff che dipinge il Presidente come un bambino capriccioso, alla Casa Bianca circondato da persone che si sforzano a capire che cosa vuole. Wolff asserisce che quasi tutti i collaboratori di Trump lo vedono come incompetente e stentano a capire quali saranno i suoi prossimi capricci, stanti i suoi bisogni di gratificazione continua. Wolff cita spesso gli atteggiamenti di Trump come meritevoli di azioni da “25esimo emendamento”: quello che permetterebbe al governo di deporre il Presidente per incapacità fisica o mentale. Wolff basa quanto dice nel suo libro su interviste con funzionari condotte alla Casa Bianca, dove è riuscito ad ottenere l’accesso per parecchi mesi. Come vi è riuscito? A differenza di altri giornalisti che ricevono un badge grigio per accedere alla sala stampa, Wolff aveva un badge blu, ottenuto dal “secret service” (la guardia di sicurezza presidenziale) che gli dava accesso a quasi tutte le aree della residenza. Chi glie lo ha dato? Ma Steve Bannon! E ovviamente con l’assenso del Presidente. Le osservazioni di Wolff dunque sono credibili, perché sono ottenute dal di dentro del mondo di Trump, con quasi 200 interviste, tra le quali una di 3 ore con il presidente stesso. Wolff è stato etichettato da Miller “un autore di spazzatura”. La difesa di Miller ha fatto piacere al suo capo il quale ha subito mandato un tweet complimentando il suo consigliere per avere sconfitto Tapper nel loro focoso dibattito. Tapper a sua volta, non ricevendo risposte alle sue domande, ha perso la pazienza e ha bruscamente posto fine all’intervista. Allora Miller si è rifiutato di lasciare gli uffici della Cnn e alla fine è stato portato via dalle forze di sicurezza. Nel corso dell’intertvista Miller non ha fatto altro che ripetere le frasi con cui Trump si era difeso dalle dichiarazioni di Wolff. Trump, dopo avere attaccato la credibilità del giornalista, si era vantato di essere un uomo di grande successo dopo essere stato “a very excellent student” (sic), (uno studente molto eccellente). Inoltre, Trump aveva continuato a vantare le sue capacità imprenditoriali, i miliardi guadagnati, il successo alla televisione e la vittoria della Presidenza al primo tentativo. Trump, come spesso fa, storpia la grammatica e evita la verità. Si ricordi infatti, che ha conquistato la Casa Bianca al secondo e non al primo tentativo: era stato già candidato alla presidenza nel 2000 con il Reform Party, che peraltro abbandonò dopo pochi mesi. Ma, al di là delle menzogne che il New York Times e il Washington Post evidenziano quasi quotidianamente, la difesa tipica di Trump è di attaccare la veridicità dei suoi detrattori. Quindi  dopo avere tentato di impedire la pubblicazione del libro di Wolff agendo per le vie legali, come sarebbe potuto avvenire in un Paese di Terzo Mondo, il 45esimo presidente ha aperto la campagna di diffamazione. Lo ha fatto mediante i suoi tweet e spedendo i suoi fedeli collaboratori ai programmi televisivi per smentire Wolff e cercare di rassicurare gli americani e il mondo che la sua personalità è stabile. L’altra strategia di Trump quando le cose vanno male è di addossare la colpa a qualcun altro. In questo caso Bannon è stato il bersaglio. È vero che l’ex suo “stratega” aveva concesso numerose interviste a Wolff. Trump però lo ha licenziato nell’agosto del 2017, quindi “lo sciatto Bannon” aveva tutta la responsabilità per l’ingresso di Wolff alla Casa Bianca senza la cui assistenza il libro non avrebbe mai visto luce. Ma bisognava anche colpire Wolff per intorbidire le acque  sul tema della stabilità mentale di Trump, e di questo si è incaricato Miller nella sua intervista alla Cnn. Altri collaboratori hanno preso le difese del loro capo per cercare di smentire le pericolose asserzioni di Wolff sulla competenza di Trump. Rex Tillerson, segretario di Stato, che solo pochi mesi fa aveva etichettato Trump come “deficiente”, ora ha detto di non avere mai messo  in dubbio “le capacità mentali” del boss. Anche Mike Pompeo, direttore della Cia, ha difeso Trump dichiarando “assurde” le asserzioni sulla sua incapacità mentale. E Nicky Haley, l’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, ha detto che “nessuno mette in dubbio la stabilità del presidente”.

Non è strano questo mondo in cui i collaboratori del Presidente devono difendere le sue capacità mentali? Trump dovrà sottomettersi a una visita medica di routine. Potrebbe togliere tutti i dubbi includendo un’analisi psichiatrica. Ma come ha fatto riguardo alle sue dichiarazioni delle tasse e a tante altre cose, preferisce che lo si creda “sulla parola”.

Il problema è che, come ha detto Wolff, Trump “è l’individuo che probabilmente ha meno credibilità di tutti”.

(in copertina: Steve Bannon)
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