La crisi economica si ripercuote anche in malcontento sociale. Scioperi, proteste, disordini di piazza già sono diffusi in Grecia e in Spagna. Un’opera come il Corridoio Transeurasiatico di sviluppo può cambiare qualcosa al riguardo? Ne parliamo con Lanfranco Senn, docente alla Bocconi, esperto di trasporti ed economie regionali, già presidente della Metropolitana Milanese.
«Un’iniziativa come questa sull’immediato non può avere un’incidenza diretta sulla situazione economica. Ma certamente costituisce una prospettiva nuova che apre un cammino di speranza autentica e quindi può avere un’efficacia sociale e culturale: se oggi chi guarda al futuro lo vede incerto, oscuro e preoccupante, una volta che si metta in atto questo programma potrà nutrire aspettative migliori. Certamente prima che una nuova infrastruttura come la ferrovia trensaeuroasiatica possa attivare un concreto sviluppo economico dei territori attraversati ci vorrà del tempo. Purtroppo ci si è abituati a pensare all’economia sul brevissimo periodo: questo è uno degli effetti distorti dell’eccessiva attenzione sugli aspetti finanziari. L’economia reale, quella che riguarda la produzione e il commercio di beni, ha bisogno di orizzonti più ampi. La costruzione di infrastrutture richiede un orizzonte di medio e lungo periodo. Le ferrovie non sono un fatto in sé: per comprenderne il significato, si pensi a quel che hanno rappresentato per lo sviluppo del lontano West degli Stati Uniti, nel corso dell’Ottocento: lungo i binari si sono stese le linee del telegrafo e del telefono, i cavi elettrici, sono sorte città dove prima non c’era nulla, fattorie dove prima la terra era brulla, miniere, industrie…».
Come si può impostare un progetto di queste dimensioni senza aumentare i debiti pubblici?
«Bisogna tassare l’economia non ex post, come avviene ora allo scopo di ripianare i debiti, ma ex ante: per aprire nuove prospettive. E per un’opera di queste dimensioni è necessario coinvolgere subito il settore privato. Certo il privato tende a investire dove ha possibilità di ritorni maggiori e rapidi. Ma sulla base di un progetto ben elaborato e condiviso può maturare sin dall’inizio una partnership tra pubblico e privati».
Le dimensioni sono tali da richiedere che gli stati abbiano una parte fondamentale…
«Il ruolo statale dev’essere quello di dare un chiaro indirizzo “strategico”, così che ai privati sia garantito che i loro investimenti saranno fruttiferi. Quando si parla di un corridoio di sviluppo che va da Lisbona a Vladivostok forse qualcuno può pensare a un tragitto lungo diecimila chilometri che pochissimi percorrerebbero. Ma questo “corridoio” è in realtà un assieme di tanti tratti lungo i quali vi sono centinaia di centri urbani tra i quali si faciliteranno gli scambi, e spazi liberi di impressionante vastità sui quali potranno sorgere nuovi insediamenti e nuove opportunità di sviluppo agricolo, industriale, turistico. Chi programma un’operazione come quella del corridoio di sviluppo dovrà aver cura di rendere palese come tutti potranno trarne beneficio: perché genererà nuova ricchezza».
Il mondo della finanza, proclive all’investimento sul brevissimo periodo, potrà accettare tutto ciò? «Non è un settore del quale ho grande esperienza. Ma oggi c’è una distorsione del concetto di finanza: questa implica – lo dice la parola stessa – di compiere investimenti “finalizzati” a realizzare qualcosa. E questo qualcosa dev’essere un maggior benessere diffuso, non un trasferimento del potere di acquisto dalle tasche dei molti alle tasche di pochi. Una politica di incentivi ben congegnata può riportare la finanzia sulla buona strada».
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