di Silvana Rapposelli
Tutto per chi scrive è cominciato con la visione di un film da cui è nato un grande interesse e il desiderio di saperne di più. Il film è La vita nascosta uscito nel 2019, opera del regista americano Terrence Malik. Racconta la storia di Franz Jägerstätter, un contadino austriaco cattolico, obiettore di coscienza, condannato a morte nel 1943, all’età di 36 anni, per essersi rifiutato di prestare il giuramento di fedeltà al Reich a cui tutti i militari erano tenuti. Nel 2007 è stato riconosciuto martire da papa Benedetto XVI nonché beato.
Il film è un capolavoro: al festival di Cannes del 2019 ha ricevuto due premi. Le ben tre intense ore di proiezione, lungi dall’annoiare, incantano lo spettatore, immergendolo negli splendidi paesaggi alpini e calandolo nelle scene di una vita familiare fatta di dedizione reciproca e di gioia, per renderlo successivamente partecipe delle crudeltà di cui fu capace il Reich.
Sono degne di nota la finezza e la discrezione con cui vengono narrati aspetti o momenti difficili, senza mai cadere nel sensazionalismo né nella retorica. Così come è presente – ma senza esibizione – la profonda motivazione religiosa che unisce i due coniugi. Nel film sono stati inseriti alcuni brani delle molte bellissime lettere che essi si scambiarono a partire dal servizio militare di lui fino all’esecuzione della condanna. Si possono leggere nel volume a cura di G. Girardi e L. Togni, Una storia d’amore, di fede e di coraggio (Il pozzo di Giacobbe).
Ma cosa è successo a Franz? Maturata la convinzione che il nazionalsocialismo fosse incompatibile con la sua fede cattolica – riscoperta e vissuta intensamente anche grazie alla moglie Franziska – dopo l’Anschluss dell’Austria alla Germania nazista rifiutò l’incarico di sindaco che gli veniva offerto e in occasione del plebiscito sull’annessione, il 10 aprile del 1938, fu l’unico nel suo paese a votare “no”.
Nel corso del tremendo conflitto scatenato da Hitler, venne arruolato nell’esercito ma per ben due volte rinviato a casa in quanto sostegno di famiglia. Nel frattempo infatti aveva avuto tre figlie dalla moglie, con la quale viveva un’intesa perfetta anche nella conduzione della fattoria e nel duro lavoro dei campi. Alla terza chiamata alle armi, nel 1943, Franz rifiutò di prestare giuramento al Führer e di combattere, andando incontro con coraggio alla sua prevedibile sorte. Dopo alcuni mesi di carcerazione e dopo un processo dall’esito scontato, il 9 agosto fu eseguita la condanna a morte per decapitazione. Egli però non era un super-eroe, né un invasato, perché capiva che gli sarebbe costato caro l’anteporre alla mera obbedienza agli ordini la libera – pur se sofferta – decisione personale e la fedeltà alla propria coscienza illuminata dalla fede. Solo la moglie, che comprendeva e condivideva perfettamente la decisione del marito, rimase a sostenerlo fino alla fine. Tale primato rimase ovviamente del tutto sconosciuto ai collaboratori – più o meno entusiasti – del nazismo, i quali a guerra finita difenderanno il loro operato asserendo di “avere solo obbedito agli ordini”.
In occasione del Meeting tenutosi a Rimini nell’agosto 2024 è stata allestita una importante mostra dal titolo Franz e Franziska, non c’è amore più grande che presenta la luminosa esperienza di fede e di resistenza non-violenta al regime nazista del giovane austriaco. La mostra è trasferibile e quindi può essere visitata anche in altre sedi. Nel novembe 2024 è allestita a Milano, nei locali della centrale chiesa di Santa Maria della Passione. L’evento è preceduto da una presentazione nella vicina chiesa di San Vincenzo de’ Paoli il 14 novembre con gli interventi del prof. Giorgio Cavalli, uno dei curatori della mostra, e del giornalista Luigi Geninazzi. Il catalogo, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, si apre con la prefazione del cardinale Zuppi e offre una ricca documentazione di prima mano e varie eloquenti testimonianze anche iconografiche.
Nell’agosto 2024 il periodico online LineaTempo nel n. 37 ha pubblicato un ricco dossier intitolato Primato della coscienza e resistenza al nazismo, con l’intento di allargare il quadro di riferimento storico della mostra e approfondire alcuni temi di riflessione culturale fondamentali per comprendere meglio il senso della vicenda di Jägerstätter.
Vi si documenta tra l’altro che Franz non era solo. Sono infatti migliaia le persone che nel mondo austro-tedesco hanno saputo vivere un’esperienza centrata sul primato della coscienza in rapporto con l’infinito e testimoniare che il valore della persona e l’amore alla verità erano superiori al fascino dell’ideologia nazista: ciò rimette evidentemente in discussione il pregiudizio di una Chiesa in qualche modo “accondiscendente” con il nazismo. Il giornalista e docente Francesco Comina, che si definisce cacciatore di storie, ha trovato e raccolto recentemente nel volume La lama e la croce – Storie di cattolici che si opposero a Hitler (Libreria Editrice Vaticana, 2024) diverse vicende di persone accomunate dalla resistenza al regime e dall’immancabile spietata condanna. Sono storie a volte rimaste nascoste a lungo, come appunto quella di Franz Jägerstätter, la cui tragica vicenda ha iniziato ad essere riscoperta casualmente dopo ben trent’anni di silenzio grazie al libro di un sociologo americano, Gordon Zahn. Tra i tanti testimoni di cui si parla nel libro, citiamo la figura Eva-Maria Buch, ventunenne di Berlino, una delle giovani donne finite sul patibolo per l’attività di resistenza in seno all’organizzazione Orchestra Rossa (Rote Kapelle). Eva continua a ripetere le beatitudini mentre indomita va incontro al boia. In una lettera ai genitori scrive di morire felice per aver vissuto con dignità e coraggio e afferma di essere pronta a rifare tutto ciò che ha fatto.
Le rassicurazioni rivolte alla famiglia circa la propria condizione di prigionieri o sul proprio stato d’animo di condannati a morte sono, si può dire, una costante se si pensa che costoro non intendevano accrescere il dolore dei loro cari, già provati, elencando le proprie sofferenze.