Gian Maria Tosatti (Roma, 1980) si sta ritagliando un ruolo importante all’interno del panorama dell’arte contemporanea italiana, soprattutto dopo il successo dell’istallazione Storia della notte e destino delle comete, visitata da un milione di persone e unica opera che rappresentava l’Italia alla 59esima Biennale d’arte di Venezia. La mostra personale NOw/here, una retrospettiva dei lavori degli ultimi vent’anni, è ospitata nello spazio dello Shed, nel complesso dell’HangarBicocca, un enorme capannone industriale in cui, dalla fine dell’800, la Breda ha prodotto soprattutto componenti per locomotive elettriche e a vapore, e macchine agricole fino a quando, nel 2004, questo spazio è stato trasformato in un centro di gravità permanente dell’arte contemporanea. Lo Shed è un edificio tipicamente industriale, con mattoni a vista, tetti a doppio spiovente e ampi lucernari.
È importante conoscere la storia dell’ambiente che ospita la mostra per capire la sottile alchimia che viene a stabilirsi tra i grandi lavori di “pura pittura” proposti per la “prima volta in quarantatré anni” dall’artista. Il vasto capannone, saturato un tempo dai rumori assordanti della produzione industriale, accoglie ora in un silenzio sospeso opere di grandi dimensioni che appartengono al ciclo Ritratti, realizzato a partire dal 2020 in foglia d’oro e ruggine su ferro, e la recentissima serie NOw/here, campiture di grafite e carboncino bianco su tela. Mentre i dipinti su pannelli di ferro sono montati su solide strutture in tubo giunto e sono collocati lungo lo spazio dello Shed, quelli su tela sono sospesi al soffitto e appaiono come visioni improvvise nella penombra. La sapiente illuminazione esalta ancora di più il contrasto tra il bagliore brunito dell’oro e la dimessa eleganza delle variegate sfumature di grigio.
Il legame con la tradizione
La contrapposizione, l’ambiguità e il continuo riferimento a valori nascosti sono una cifra caratteristica della mostra, a cominciare dal nome stesso, formulato in modo da evocare sia la tangibile immediatezza dell’hic et nunc, ma anche l’impalpabile sostanza del non presente. L’uso dell’inglese, la lingua della modernità e del mondo globale, apre però una complessa serie di rimandi al grande Shakespeare, maestro dei pun, i raffinati giochi di parole del periodo elisabettiano. E se il titolo viene letto come Nowhere, non possiamo non cogliere un riferimento a Utopia (che significa proprio in nessun luogo) di Thomas More, l’isola dove il grande umanista inglese colloca la sua società ideale che, se letto attentamente, non ha proprio nulla di utopistico.
C’è però un prezioso fil rouge che collega i progetti che l’artista ha realizzato nel corso degli anni in vari continenti ed è il tema dello specchio. Si chiama infatti Il mio cuore è vuoto come uno specchio un work in progress iniziato nel 2018, che si sviluppa in vari Paesi, tra cui l’Ucraina. Inoltre, in una conversazione con Stefano Bucci del Corriere della Sera Tosatti ha affermato: “L’artista è uno specchio vuoto che riflette il sentimento del tempo. Le opere di questa mostra sono la fotografia di una generazione, la mia, la nostra. La domanda che voglio fare a chi la vedrà è questa: come ci sentiamo guardando questo specchio?”. Definendosi uno specchio, Tosatti sembra porsi coscientemente nella scia della tradizione dello speculum principis, il principio secondo il quale era compito del filosofo (e, implicitamente, dell’artista) educare il principe per farne a sua volta un filosofo atto a governare. Questa tradizione, nata nell’antichità classica attraversò il Medioevo e fu fatta rifiorire dagli umanisti del Rinascimento. L’opera più nota di questa scuola è senz’altro Il Principe di Niccolò Machiavelli, preceduta nei primi anni del 1500 dall’Enchiridion militis Christiani di Erasmo da Rotterdam.
Oro e ruggine
Il collegamento con la tradizione classica è ulteriormente sottolineato dalla scelta del supporto e dei colori. Il ciclo Ritratti è infatti realizzato in foglia d’oro e ruggine. Se il metallo giallo è un esplicito riferimento a una nuova Età dell’Oro, come pure un’evocazione diretta dei mosaici bizantini e delle tavole del Due e Trecento, il suo accostamento alla ruggine sembra esprimere un giudizio etico sulla società industriale che, in passato, ha creato enormi ricchezze ma ha anche saccheggiato brutalmente la natura, fino alle terribili conseguenze che possiamo vedere oggi. L’effetto è ulteriormente esaltato dal contesto espositivo dove, sino a qualche decennio fa, ferveva il lavoro produttivo che usava proprio il ferro, diventato ormai ruggine, come materia prima per le proprie realizzazioni. Se nelle tavole medievali l’uso dell’oro era un richiamo al sacro e alla divinità, il suo utilizzo come semplice materiale pittorico assume il tono di una contestazione esplicita all’oro come feticcio e segno di potenza. L’artista sembra dire che l’oro non deve diventare il metro di misura della società, come ammoniva il saggio Thomas More in Utopia.
I dipinti di NOw/here, che sono sospesi dall’alto, intendono invece privilegiare la dimensione dell’immaginario, con una ricca gamma di grigi che sfumano da un colore più intenso a uno più tenue, ma con una linea di demarcazione che separa i due campi. Possiamo immaginare che le campiture in basso siano la linea dell’orizzonte, mentre quelle superiori rappresentino un cielo inquieto e nuvoloso. Ma i dischetti bianchi che emergono prepotenti dal fondo non possono certo essere la luna. Forse, siamo su un pianeta di una galassia infinitamente distante, il cui cielo è punteggiato da innumerevoli lune che occhieggiano indifferenti nello spazio infinito e non ispirano poeti o amanti appassionati, ma si limitano a riflettere lo sguardo perplesso di chi le osserva, ancora una volta, uno specchio.
Gian Maria Tosatti
NOw/here
a cura di Vicente Todolí
Pirelli HangarBicocca
Milano
Ingresso gratuito
da giovedì a domenica 10.30-20.30
fino al 30 luglio 2023