Mentre si accavallano informazioni, pseudoinformazioni e controinformazioni nell’abito della guerra psicologica che accompagna la guerra guerreggiata in Ucraina, ci sono solo due certezze. La guerra avrà un perdente certo: l’Unione Europea; e un vincitore certo: la Cina.
La UE già dopo la prima settimana di combattimenti ha risentito dell’aumento del prezzo del gas , che a sua volta si riflette su tutti gli altri prezzi. Se prima della guerra poteva ambire a godere di una certa tranquillità sul piano dei rifornimenti di energia, la riduzione dei rifornimenti di gas russo e la prospettiva di una loro interruzione nel caso che il conflitto contini a lungo, grava e continuerà a gravare sull’economia di tutti i Paesi UE. I quali diventano proporzionalmente più dipendenti dal più costoso gas statunitense che giunge da oltre oceano a prezzi elevatissimi e comunque in quantità non tali da soddisfare le esigenze del vecchio continente.
Su un altro fronte, già la UE soffrì non poco l’afflusso di profughi dalla Siria in particolare nel 2015, ora l’ondata di profughi dall’Ucraina avrà a sua volta un nuovo effetto destabilizzante: e c’è da attendersi che tra le tante famiglie in fuga dall’Ucraina si insinueranno anche elementi criminali a cui nella confusione della guerra saranno giunte armi da combattimento che potrebbero essere usare per rapine o atti di terrorismo.
La Cina invece ha mantenuto un atteggiamento equidistante e si avvantaggerà del fatto che la Russia, nella misura in cui sarà emarginata dall’Europa, avrà sempre più bisogno di trovare sbocchi in Oriente per le proprie materie prime (a partire dal gas e dal petrolio) e per i propri prodotti. Non solo: provata dal conflitto, l’economia russa sarà disponibile agli investitori cinesi che potranno acquistare a prezzi ribassati le attività abbandonate dagli occidentali.
Consideriamo poi gli scenari possibili di uscita dal conflitto.
Quello più auspicabile (e probabile) è che prima o poi Russia e Ucraina trovino un accordo. Questo potrebbe implicare, per esempio, per la Russia di assicurarsi l’indipendenza del Donbass e la garanzia che l’Ucraina non entrerà nella NATO. E per l’Ucraina di mantenere una certa indipendenza respingendo l’imposizione di un capo di governo filorusso. Una soluzione di questo tenore potrebbe essere presentata da entrambi come una vittoria e vi si giungerebbe una volta che ai Russi sia chiaro di aver assoggettato tutte le postazioni di rilevanza strategica (aeroporti e centrali di produzione di energia) e agli Ucraini sia chiaro di avere la capacità di mantenere il controllo delle loro principali città ma di non poter fare a meno di rientrare in possesso delle centrali di produzione di energia, e di non riuscire a farlo manu militari.
Meno auspicabile sarebbe lo scenario che conseguirebbe da un protrarsi a lungo del conflitto. Questo potrebbe infatti dare agli Stati Uniti l’idea di poter affossare la Russia e di cambiarne il regime sfruttando l’effetto negativo che avrebbe in questo Paese una situazione simile a quella generatasi con il lungo conflitto in Afghanistan. In questo caso la Russia sarebbe costretta a lasciare l’Ucraina in condizioni non per lei soddisfacenti e, anche se venisse scalzato Putin dal potere, prima o poi emergerebbe un altro governante nazionalista simile a Putin che di nuovo avanzerebbe pretese in tutta quella che la Russia ritiene essere la propria sfera di influenza, generando una condizione di nuove tensioni. E inoltre, in questo caso la UE tornerebbe a essere totalmente dipendente dagli USA, come lo fu nel secondo dopoguerra: con la differenza che quegli Stati Uniti che vinsero la seconda guerra mondiale avevano un peso economico e morale molto diverso da quello degli USA di oggi, che sono in gran parte preda della finanza speculativa e del complesso militare industriale.
Non solo, il protrarsi del conflitto aumenterebbe i rischi di un attrito diretto tra NATO e Russia con la relativa possibile degenerazione in una guerra nucleare. Questa sembra impensabile, un limite invalicabile. Ma per forza di cose i Comandi militari invece ci pensano e hanno strategie ad hoc. L’evitarla è demandato al buon senso e alla buona volontà dei Governi. Il problema essendo che nel gioco di reciproche minacce, sul filo del rasoio qualcosa può andare storto. Anche in questo caso la UE sarebbe la prima vittima, per via della forte densità della popolazione sul proprio territorio, e la Cina sarebbe il vincitore perché la sua posizione relativamente defilata le consentirebbe di eludere almeno in parte gli scambi nucleari e comunque il suo peso demografico e i vantaggi derivanti dalla sua struttura di potere, centralizzata ma articolata, la metterebbero nelle condizioni migliori per prevalere una volta che il conflitto cessi.
Dunque se si considerano le possibili soluzioni del conflitto sembra evidente che la UE non ha alcun interesse oggettivo al suo protrarsi. Possono invece pensare di averne gli USA, che comunque dal conflitto ricaveranno una posizione ancor più dominante sull’Europa e dal suo protrarsi immaginano di ottenere un indebolimento del governo russo attuale.
Forse sarebbe meglio che la UE, invece di appiattirsi sull’atteggiamento di provenienza transatlantica, pensasse a cogliere questo tragico momento come impulso per rafforzare la propria autonomia di difesa e la propria posizione di potenza di peso mondiale ma propensa alla ricerca di accordi diplomatici ed economici più che a quell’avventurismo militarista che ha caratterizzato la politica estera statunitense di questi ultimi decenni. E, soprattutto, per formulare un chiaro piano di politica estera comune lungo il quale muoversi nei prossimi anni, per evitare che emergano ancora conflitti simili a quello che oggi sconvolge il popolo ucraino e la sua terra. E per porsi come elemento di dialogo credibile e affidabile di fronte a una Cina la cui crescita economica e strategica forse rallenta, ma certo non cessa nel futuro prevedibile.