La Corte Costituzionale tedesca evidenzia le ambiguità europee

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Mario Lettieri e Paolo Raimondi

Non è la prima volta nella storia della Germania che i più alti giudici tedeschi si trovano a dover prendere delle decisioni i cui effetti vanno ben oltre la mera valutazione giuridica. Negli anni Trenta, Carl Schmitt, l’allora giurista capo della Germania, purtroppo, scelleratamente giustificò l’adozione delle Notverordnungen, “le leggi di emergenza” che furono poi utilizzate per imporre la dittatura nazista.

Sia chiaro non c’è la benché minima intenzione di paragonare la Germania di oggi con quella del passato. Vogliamo semplicemente evidenziare che le più importanti decisioni economiche e politiche in tutte le parti del mondo sono di assoluta prerogativa dei governi. Per le quali devono assumersi la totale responsabilità, senza delegarla ad altre istituzioni.

Non per sua iniziativa, la Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe è stata chiamata a pronunciarsi sulla piena legittimità delle misure monetarie non convenzionali di allentamento quantitativo, attuate negli anni passati dalla Banca centrale europea.

Nella sentenza di questi giorni, Karlsruhe non ha espresso criticità sul quantitative easing, ma ha chiesto al Governo tedesco di fornire, entro tre mesi, gli elementi che possano dimostrare che gli obiettivi di politica monetaria relativa all’acquisto di titoli pubblici dei paesi membri della Bce siano proporzionati rispetto agli effetti di politica economica e fiscale del programma in questione.

Le parole usate sono molto forti. Si afferma che le misure prese da un organo europeo “non sono coperte dalle competenze europee” e per questo “non potrebbero avere validità in Germania”.

Dalla risposta del governo tedesco dipenderà anche l’eventuale partecipazione futura della Bundesbank al programma di acquisti della Bce.

Quest’ultima, in verità, non dovrebbe avere molte difficoltà nel dimostrare la proporzionalità finora attuata con il programma PSPP (Publich Sector Purchase Program). Si ricordi che tra marzo 2015 e la fine del 2018, la Banca centrale europea ha investito circa 2.600 miliardi di euro in titoli di stato e in altri titoli.

In merito, la Banca d’Italia afferma di acquistare sul mercato secondario titoli pubblici italiani, con rischio interamente a carico del bilancio dell’Istituto. Per gli acquisti effettuati dalla Bce in titoli di Stato, sia italiani sia di altri paesi dell’area euro, e per gli acquisti di titoli emessi da entità europee sovranazionali, che complessivamente rappresentano il 20 per cento del totale del programma PSPP, vige il principio della condivisione dei rischi tra le banche centrali nazionali dell’euro-sistema in base alla propria quota capitale.

La sentenza risponde a un ricorso del 2015, firmato da alcuni politici apertamente critici dell’Unione europea, tra cui anche il fondatore del partito di estrema destra AfD, che sollevava la questione dell’incostituzionalità delle politiche di acquisto di titoli pubblici iniziata da Draghi. Secondo costoro, Francoforte avrebbe violato i vincoli dei Trattati europei contravvenendo al divieto di finanziamento del debito dei paesi membri.

La Corte, a nostro avviso, ha preso l’unica decisione possibile: chiamare in causa direttamente Berlino affinché esprima, con piena responsabilità politica, le sue intenzioni passate e future rispetto alla politica economica dell’Unione europea e al ruolo sovrano della Bce nella definizione della politica monetaria unitaria europea.

Adesso il governo tedesco ma, di fatto, anche tutti gli altri paesi europei, sono obbligati a pronunciarsi in modo concreto sul futuro dell’Ue. In primo luogo non si può continuare con una politica monetaria congiunta e con una moneta unica mantenendo una politica fiscale completamente nazionale.

La sentenza di Karlsruhe, non è entrata nel merito del nuovo programma, a carattere temporaneo, denominato Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP) che ha l’obiettivo di contrastare i rischi per la politica monetaria e per le prospettive di crescita derivanti dalla diffusione del coronavirus. Il PEPP prevede acquisti aggiuntivi di titoli pubblici e privati per complessivi 750 miliardi per tutto il 2020.

In ogni caso, poiché l’acquisto futuro di titoli sovrani nazionali di qualsiasi paese dell’Unione potrebbe essere sempre visto come una violazione dei Trattati, la risposta, secondo noi, starebbe proprio nella realizzazione del cosiddetto Recovery Fund, con il potere di emettere bond. Non più, quindi, titoli di singoli Stati ma titoli comuni, europei a tutti gli effetti. Essi sarebbero strumenti di debito adeguati che la Bce potrebbe acquistare senza problemi e senza rischi d’incostituzionalità.

Un secondo aspetto rilevante riguarda la prevalenza o meno della giurisdizione europea rispetto a quelle nazionali. Infatti, se il diritto nazionale fosse ritenuto superiore a quello europeo, vi sarebbe il rischio di un conflitto continuo relativo ai poteri decisionali a livello europeo. Allora l’Ue sarebbe continuamente a rischio di sopravvivenza. In questo caso è stato proprio così. La Corte di Karlsruhe non ha riconosciuto, poiché “assolutamente non comprensibile”, una sentenza preliminare della Corte di giustizia europea (CGUE), che nel dicembre 2018 aveva, invece, approvato il programma di acquisto di obbligazioni.

Se dovesse malauguratamente affermarsi il primato delle costituzioni nazionali, si affermerebbe che i singoli Stati membri dell’Ue resterebbero, di fatto, i “padroni” dei Trattati europei. Di conseguenza l’Unione europea rimarrebbe un’entità confederale, non federale. Sarebbe fondata sul principio della concorrenza e non più della solidarietà. È esattamente il contrario di quanto sarebbe necessario per affrontare anche l’attuale emergenza della pandemia. Sarebbe il fallimento dell’idea stessa di Europa unita che in poco tempo finirebbe inevitabilmente per implodere. Sarebbe una iattura, anche per la Germania.

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