La città, teatro del mondo: Canaletto, Bellotto, van Wittel e Pannini a Cuneo

0
Una delle sale espositive.

Sia lode alle mostre d’arte che distillano i capolavori presentati. A Cuneo, fino al 30 marzo 2025, nello splendido complesso monumentale di San Francesco, è visitabile una preziosa, rarefatta mostra sei-settecentesca, “Canaletto – Van Wittel – Bellotto. Il Gran Teatro della Città”, accompagnata da un ricco catalogo, a cura di Paola Nicita e Yuri Primarosa, i due curatori. Un catalogo molto ben fatto anche per quel che riguarda l’inquadramento generale delle opere e degli artisti nel loro tempo. Rarefatta: sono solo dodici, come gli apostoli, i quadri in visione, alcuni assai piccoli, come dimensioni, e ci riferiamo ai van Wittel romani che aprono la sequenza. Il catalogo – motivo di ulteriore lode – è presentato in edizione bilingue, italiano e inglese, ed è edito da Mondomostre. Le opere provengono dalle straordinarie collezioni delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma.

I motivi tuttavia per visitare questa illuminante, contenuta mostra, sono diversi, e vanno al di là delle opere presentate.

Innanzi tutto, ci si offre l’occasione per visitare Cuneo, città “decentrata”, che sta cercando con caparbia e attenzione di divenire luogo non solo d’arte, ma di cultura in generale: destino auspicabile per tutte le città italiane famose non magari per i capolavori artistici – ma la Cattedrale di Santa Maria e la “milanese” (per origini medievali) chiesa di Sant’Ambrogio, nel decumano massimo che taglia la città “incuneata” su di una collinetta, sono notevoli e ospitano parecchi capolavori, nonostante distruzioni diverse – ma spesso per motivi non cultural-artistici: dalla vastità dell’area provinciale (la provincia “granda”) alle località sciistiche, ai poderosi massicci dell’Argentera, che li dominano, e che sono i penetrabili ma arcigni e spigolosi muri che separano il Piemonte dalla Francia; ma anche per il suo ruolo fondamentale nel pur ricco contesto dell’agricoltura piemontese.

Cuneo è luogo di incanti, anche culinari, e in ripida sopraelevazione s’erge tra due modesti fiumi, con quartieri detti un tempo “isole” che testimoniano una grandezza secolare, un rinascimento e un barocco gloriosi, ed una percezione della città come elevazione nobile, come vera acropoli al di sopra del mondo agreste, dalle cui sorti pur dipendeva, e in parte dipende ancora. Allusiva a Cuneo la tela, mirabile, che chiude codesta collezioni di capolavori: la veduta di Dresda di Bellotto, una Dresda “cuneese”, con la piazza centrale della capitale sassone, che divide in due il corso principale, che assomiglia proprio a piazza Tancredi Galimberti, il cuore cittadino di Cuneo, che taglia in due corso Nizza e via Roma, insomma: una lunga strada solenne, in parte moderna, che parla, nei nomi, delle due anime, francese e italiana, della città prealpina, legata oltretutto tanto ai monti quanto al mare. In ogni senso, di confine.

Gaspar van Wittel, Veduta del Tevere a Castelsantangelo (1683, particolare).

La mostra: sono capolavori noti, ma sempre li si guarda con meraviglia. Il Settecento pittorico, ad uso spesso commerciale, trasforma lo sfondo in centro, la città è la nuova modella, eternata in geometriche certezze, reticoli che danno il gusto della perfezione. La camera ottica diviene strumento quasi necessario. Canaletto costruisce la prima Venezia da cartolina: il rigore geometrico delle Procuratie Nove, di Rialto, del Canal Grande, contrasta con l’incipiente disordine dell’amministrazione, la decadenza, la caduta politica. La Roma di van Wittel è meno geometrica, più sognante, ferma il declinare di un secolo di grandezza, anche teorica, anche scientifica, il secolo dei Barberini, dell’Accademia dei Lincei, delle “apes urbanae”, i grandi eruditi e scienziati che la caratterizzarono, spesso stranieri, gesuiti come Athanasius Kircher, amburghesi convertiti come Holste, appassionati cultori di scienze provenienti da lontano, come la regina Cristina di Svezia. Insomma provenienti da lontano, magari da mondi “eretici”, come van Wittel (alcuni poi si convertiranno anche, non solo alle bellezze italiche, ma anche alla cattolicesimo). Una Roma fiorente e attraente, quasi volesse farsi perdonare l’improvvido rogo di Bruno, con cui il secolo di apre. O l’incerto tragico destino preparato per Caravaggio, dieci anni dopo. Il secolo dei Lumi poi offre spazio anche per invenzioni – nel segno della ragione, naturalmente – come i paesaggi fatati e puntellati di rovine combinate con ruffiana consapevolezza dal piacentino Pannini, per compiacere un gusto sempre più esigente. In un secolo poi dove il passato, alla “luce della ragione”, era pragmaticamente equiparato al presente, senza nessun inquietante storicismo, come poi avverrà, per reazione, all’epoca romantica. Che presente e passato facciano tutt’uno è connotato prima del Settecento, e non solo pittorico. La storia è fotografia del passato. Ce lo insegna, ad esempio, la secchezza storiografica di un David Hume. In fondo, la natura umana è sempre la stessa.

Il Settecento, maestro nell’arte della visione “esatta”, non inventa certo il mercato dell’arte, ma lo allarga ai nuovi clienti alto-borghesi, ove erano presenti, soprattutto ovviamente in Inghilterra, il mercato privilegiato per Canaletto, ma anche in Francia e in Germania.

Bernardo Bellotto, La piazza del mercato ella città nuova di Dresda (1750-1759, particolare).

Bellotto poi rappresenta a Dresda un esotico uomo col turbante in primo piano: in fondo è la Firenze sull’Elba, i mercati fioriscono e i mercati devono essere per natura liberi, per tutte le genti, e religioni del mondo. Le architetture barocche e rococò sembrano quasi esser nate solo per essere dipinte. Quando a Dresda cominciò ad imperare il neoclassico, Bellotto cercò rifugio a Nord, a Varsavia. Dove morì.

Bernardo Bellotto, La piazza del mercato ella città nuova di Dresda (1750-1759, particolare).

E le città tutte – come la ben consolidata Parigi, l’emergente Londra, la neonata (a qual prezzo di vite umane!) San Pietroburgo, sono legate – e l’antica Venezia è modello per tutte, insuperato, per questo rispetto – all’acqua. La Senna, il Tamigi, la Neva. E qui, la laguna, con tutti i fiumi che vi si riversano, il Tevere, e l’Elba, tanto maestosa quanto sinuosa via d’acqua che taglia la Germania e la collega al Mare del Nord, sostando e trionfando ad Amburgo (la patria del geografo Holste – ovvero Luca Olstenio – prima citato). Anche Cuneo ha i suoi due fiumi che la fiancheggiano, uno, lo Stura, soverchiato da un ponte lugubre ma affascinante, percorribile anche a piedi, che è parte della SS20 Cuneo-Fossano, con un’enigmatica Madonna che gira le spalle alle Alpi Marittime, quasi sdegnosa.

Insomma, la piccola Cuneo omaggia Venezia e Roma e Dresda. Una linea ideale congiunge le tre città nel Settecento, una sola, Dresda, conobbe l’assoluta distruzione nel secondo conflitto mondiale. Ma allora fioriva, eccome, ospitando una gran quantità di italiani, tra cui il fratello di Casanova, celebre pittore. L’eloquenza dell’audioguida, l’ingresso gratuito, la magnificenza degli spazi, recuperati quasi totalmente, richiamano molto pubblico, non solo locale. Usare poi l’inglese è essenziale, ormai. Altrimenti ci si chiude una grande fetta di visitatori.

Felice destino – per concludere con una nota curiosa – nelle piccole città, dei luoghi storici riutilizzati che portano il nome del santo di Assisi. Pensiamo, quasi immediatamente, al complesso di San Francesco che a Lucca ospita una delle scuole d’eccellenza italiane, l’IMT (Istituto Mercati Tecnologie), ove la secolarizzazione degli spazi un tempo sacri è stata compiuta con tutto il rispetto e le cautele.

Questa mostra, insieme a diverse altre, pone Cuneo e il territorio circostante nella direzione della rivalutazione e celebrazione della cultura, il patrimonio primo dell’Italia, per tanti rispetti.

 

_________________________________________________________________________

Pubblicazione gratuita di libera circolazione Gli Autori non sono soggetti a compensi per le loro opere Se per errore qualche testo o immagine fosse pubblicato in via inappropriata chiediamo agli Autori di segnalarci il fatto e provvederemo alla sua cancellazione dal sito Qualsiasi richiesta ingiustificata verrà considerata un abuso e potrà essere segnalata alle autorità competenti

Previous articleDonald Trump e “il complotto contro l’America”
Next articleIl pericoloso gioco di Milei con le cripto e i suoi effetti brucianti
Paolo Luca Bernardini
Paolo Luca Bernardini (Genova, 31 marzo 1963) è uno storico italiano. Direttore e primo proponente del Dipartimento di Scienze Umane e dell'Innovazione per il Territorio presso la Università degli Studi dell'Insubria. È stato fellow presso la Accademia dei Lincei di Roma, al Centro Linceo Interdisciplinare Beniamino Segre, per il triennio accademico 2016-2019 ed è professore ordinario presso la Università degli Studi dell'Insubria, a Como, dal 2006. Le sue opere si possono raggruppare in tre settori principali: - gli studi sui rapporti sociali, intellettuali e politici tra ebrei e cristiani nel periodo moderno e contemporaneo, soprattutto in Italia e in Europa; - gli studi su Settecento e Illuminismo, - gli studi di teoria politica e di storia degli Stati Uniti d'America.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

3 × 1 =