La Galleria “Medina” di Roma ospita dal 3 al 16 maggio 2019 una mostra del pittore Antonio Finelli, nato e cresciuto nella capitale, che dedica alla sua città e al quartiere in cui vive, una serie di dipinti che ci forniscono un’immagine inconsueta e poetica di una delle metropoli più antiche e complicate del mondo.
Nelle note introduttive del catalogo, il pittore definisce un azzardo parlare della propria opera e ricorda correttamente come il termine derivi dal francese hazard ma, ancor più, dall’arabo zahr, dado. Ma nel caso di Finelli, che ha compiuto approfonditi studi filosofici e per alcuni mesi all’anno risiede e lavora sia in Marocco che a Berlino, io parlerei di coraggio dello sguardo perché, lo sappiamo tutti, Roma non è più la meta agognata del Grand Tour dei gentiluomini inglesi. Non ci sono più gli eventi e le figurine femminili celebrati da Goethe, i viaggiatori colti e animati da spirito di conoscenza sono stati sostituiti da turisti famelici che divorano visivamente i monumenti mentre praticano il rito del selfie frenetico, senza avere il tempo e la curiosità intellettuale di capire quello che fotografano. Le strade che hanno accolto i carri trionfali degli antichi sono oggi sporche e deturpate e hanno ormai poco a vedere con gli splendori imperiali. Nel suo poemetto La terra desolata il grande Thomas Stearns Eliot rappresenta in modo lancinante la terribile e stridente differenza tra la grandezza della tradizione culturale del passato e la sterile vacuità del mondo contemporaneo. Oggi, forse, non c’è un luogo come Roma che rappresenti meglio il contrasto drammatico tra la gloria dei secoli scorsi e l’avvilente condizione di oggi.
Una luce particolare
Ma questo non si percepisce nei dipinti di Finelli perché la Roma che ritrae ha una dimensione atemporale, placida e gradevole da guardare, non è la città che dovrebbe essere ma la città che potrebbe essere, se venisse governata saggiamente, se gli abitanti fossero invasi da quel sacro furore civico che arricchì e rese splendide di arte e cultura le città italiane dal Trecento in poi. Come è ben noto, oltre a essere la capitale e la sede del cattolicesimo universale, Roma ospita anche la FAO, l’ente delle Nazioni Unite che si occupa di lotta alla fame nel mondo, è quindi a pieno titolo un centro di rilevanza internazionale. L’artista sceglie però di rappresentare un aspetto più intimo di Roma e si concentra soprattutto sull’Esquilino, il quartiere dove abita, e sulle aree limitrofe, colte in una condizione particolare, inondate da una luce tenue ma persistente, come sorprese dallo sguardo del pittore in un orario mattutino, prima dell’inizio delle convulse attività della giornata. La mostra si intitola giustamente “la luce di Roma” perché è la luce a rappresentare l’elemento fondamentale dei dipinti e ci consente così di riscoprire luoghi e monumenti visti in un’ottica molto diversa da quella di tutti i giorni.
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