Di Mario Lettieri e Paolo Raimondi
L’Undicesimo Rapporto annuale “Global monitoring report on Non Banking Financial Intermediation (NBFI) 2021” dello Stability Financial Board (SFB) ci dice che, a fine 2020, gli asset finanziari globali ammontavano a 468.700 miliardi di dollari. Nonostante la pandemia e i suoi effetti negativi vi è stato un aumento annuale del 10,9%.
Com’è noto, il FSB riunisce i rappresentanti di governi, le banche centrali e le autorità di vigilanza sui mercati per promuovere la stabilità finanziaria internazionale. Analizza soprattutto le tendenze e le vulnerabilità del NBFI, quindi fondi d’investimento di vario tipo, assicurazioni e i cosiddetti “narrow measure”. Questi ultimi sono noti anche come “sistema bancario ombra”.
Il citato rapporto rivela che il NBFI, pur aumentando il suo ammontare totale di ben 16.600 miliardi di dollari, per la prima volta è cresciuto di una percentuale inferiore a quella del sistema bancario. Esso, comunque, rappresenta il 48,3% degli asset globali. Ciò si è verificato perché nel sistema bancario tradizionale sono incluse anche le banche centrali, i cui bilanci sono cresciuti a livelli stratosferici nel 2020. Inoltre, la liquidità creata dai quantitative easing è confluita totalmente nel sistema bancario.
A differenza delle banche, il NBFI purtroppo sfugge alla supervisione degli organismi di controllo perché non è regolamentato. Nonostante ciò, questi atipici intermediari finanziari sempre più spesso si comportano come delle vere e proprie banche.
Negli ultimi anni ha spesso destabilizzato il sistema finanziario, ampliandone la sua vulnerabilità. Nel marzo del 2020 il mercato obbligazionario americano entrò in fibrillazione perché il NBFI aveva raccolto grandi quantità di liquidità, provocando un “congelamento” dei mercati, che erano già nel mezzo di un rapido deleveraging, cioè di un tentativo di ridurre i livelli d’indebitamento. Di conseguenza, la Federal Reserve fu costretta a decidere interventi di stabilizzazione maggiori rispetto a quanto programmato.
Non è un caso, quindi, che l’ultimo Quarterly Review della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea dello scorso dicembre sia stato dedicato al tema “Non Banking Financial Intermediation: systemic regulation needed”.
Infatti, la Bri sostiene che le attività del NBFI hanno notevoli implicazioni sulla protezione degli investimenti. Il loro impatto è molto rilevante. Può provocare o ampliare lo stress sui mercati e influire su come la politica monetaria viene trasmessa all’economia. Il fatto più grave è che i suoi comportamenti possono anche influenzare i mercati delle obbligazioni statali e persino i loro tassi d’interesse!
La Bri enumera una serie di problemi che il NBFI può creare, prima di tutto i disallineamenti di liquidità, i cosiddetti liquidity mismatches. Ciò è abbastanza comune per il mercato monetario e per quei fondi che promettono, su richiesta, la convertibilità in contanti degli investimenti illiquidi. Di fronte a ritiri effettivi o alla minaccia di prelievi, i gestori di tali fondi tendono ad accumulare liquidità e/o liquidare attività, aggravando così, in determinati momenti, la mancanza di liquidità a livello di sistema.
Questo problema si è esacerbato con la crescita delle criptovalute e della cosiddetta “finanza decentralizzata“ (DeFi) che, con dei meccanismi automatici e delle transazioni anonime, determinerebbe “notevoli vulnerabilità finanziarie”.
Il secondo grande problema è connesso al leverage molto elevato, soprattutto per i fondi hedge e per i manager di asset che sempre più comprano attività e titoli a debito.
Tutto ciò spinge il NBFI a una pericolosa politica di gestione del rischio. Perciò la Bri auspica degli “aggiustamenti appropriati del sistema legale” relativi al settore e in particolare raccomanda l’accantonamento di maggiori riserve. Intanto, in attesa di regole più stringenti, sarebbe opportuno porre dei limiti alla convertibilità in contanti di certi asset.