Il restauro ieri e oggi. La tecnologia e le capacità operative

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Smithsonian Museum, Washington. The Lunder Conservation Center Laboratory. This image was originally posted to Flickr by davidgalestudios at https://www.flickr.com/photos/23668591@N00/2142660230. It was reviewed on 14 October 2008 by FlickreviewR and was confirmed to be licensed under the terms of the cc-by-sa-2.0. - G9_IMG_2354.JPG

di Mariarosa Lanfranchi*

In cosa consista il restauro di un’opera d’arte si può sintetizzare in poche parole: significa conoscere e conservare. Sono queste le due principali direttrici lungo le quali si muovono le fatiche dei restauratori e di tutti gli altri professionisti che li accompagnano, perché un restauro è sempre frutto degli sforzi congiunti di vari specialisti: in particolare gli storici dell’arte che esaminano la storia dell’opera e giudicano e indirizzano le scelte di chi eseguirà il lavoro, e gli esperti scientifici che indagano la materia di cui è composta. E il ruolo di questi ultimi nel corso degli anni recenti si va sempre più ampliando.

Sfatiamo subito il mito che il restauro riporti l’opera al “primitivo splendore”, come spesso viene detto. Si tratta invece di un’azione che tende a fermare, contenere, o rallentare il degrado, cioè l’azione continua, e più o meno lenta, che il tempo produce su ogni cosa che sta sotto il cielo. Ne consegue che l’opera restaurata sarà sempre e inevitabilmente diversa in qualche misura da quella che era in origine e il restauro cercherà di conservarne per quanto possibile i valori originali. Ai tempi nostri disponiamo di molte tecnologie per la conoscenza delle cause del degrado e ciò è molto importante perché se queste non vengono individuate e interrotte, gli effetti del restauro divengono vani o relativamente effimeri.

Oggi disponiamo anche di tanti nuovi strumenti per affrontare l’intervento di restauro e, anzitutto, per capire cosa dobbiamo fare: per riconoscere i materiali di cui è fatta l’opera originaria e per distinguere quelli che si sono sovrapposti nel tempo, a seguito di interventi precedenti o a conseguenza dei depositi generati dall’ambiente che la circonda. Quindi il restauratore può scegliere tra vari mezzi e materiali, ben più numerosi e raffinati rispetto al passato, perché i progressi della ricerca sono veloci e frequentemente si propongono strumenti e metodi inediti, o si perfezionano quelli già noti.

Conservatrice al lavoro. Foto di Austrian Archaeological Institute – Austrian Archaeological Institute, CC BY-SA 3.0, https-//commons.wikimedia.org

Ci sono istituti di ricerca che si dedicano alla conservazione e vi contribuiscono sottoponendo a prove i materiali, progettandone di nuovi, mettendo a punto apparecchiature sempre più efficienti; ci sono centri di restauro che mettono a punto e applicano metodi prima ignoti; ci sono tanti professionisti appassionati che sempre si aggiornano per poter scegliere come lavorare nel migliore dei modi.

Per dar conto dei progressi compiuti possiamo ricorrere ad alcuni esempi, tra gli innumerevoli di cui si potrebbe dire. Un tempo per asportare la polvere e i depositi più incoerenti si usava la mollica di pane, poi si è usata la gomma pane, oggi si usano spugne di lattice; per pulire e rimuovere le ridipinture si utilizzavano liquidi come la potassa o la soda, sostanze molto aggressive la cui azione era difficile da fermare, oggi invece abbiamo dei sistemi più misurati e materiali atti a trattenere i solventi sulla superficie così da non farli penetrare, se vi sono strati sottostanti e delicati. Per rimuovere gli strati coprenti che nascondono la pittura, come le imbiancature delle pareti che nella storia hanno nascosto varie decorazioni preziose fino a farne perdere la memoria, si usavano un tempo raschietti affilati, martelline, coltelli; oggi, oltre al bisturi e ai sistemi solventi, abbiamo la grande risorsa del laser. Questa potente apparecchiatura è fornita in una serie di varianti, tali da renderla applicabile su più tipi di opere: dipinti, sculture in pietra, bronzi, tessili, ecc. ed è capace di rimuovere strati della natura più varia, dalla polvere ai materiali più duri.

Ma, pur tra le tante cose nuove, una rimane invariata: la capacità degli operatori, di agire bene e di capire come ottenere i risultati migliori. Il restauratore è sempre chiamato ad avvicinare l’opera con attenzione, prudenza, spirito critico, capacità di analisi e apertura verso le nuove possibilità della tecnica. La nostra professione, lungi dall’essere improvvisata, prevede invece sempre di più una profonda preparazione specifica e un continuo aggiornamento: per poter collaborare al meglio con gli altri specialisti, e per saper porre loro le domande giuste.

*Restauratrice, opificio delle Pietre Dure

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