I dazi di Trump e la guerra agli Houthi sono un grande favore alla Cina

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Nelle 48 ore seguite al “Liberation Day”, proclamato da Trump il 2 aprile 2025, le borse statunitensi hanno bruciato 6.600 miliardi di dollari (tre volte il Pil italiano), una delle più repentine distruzioni di ricchezza nella storia del capitalismo. Effetti simili si sono avuti in tutte le borse mondiali, mentre l’inquilino della Casa Bianca si dedicava placidamente al golf. Incurante del caos scatenato, Trump ha ribadito che non intende deflettere dalla sua politica sui dazi. Allo stesso tempo, però, ha annunciato che proseguirà l’offensiva militare contro gli Houthi che, con il sostegno dell’Iran, minacciano la navigazione nel Mar Rosso. Per colpire i ribelli yemeniti ha ordinato a una portaerei che opera nell’Indo-Pacifico di raggiungere il Mar Arabico, proprio nel momento in cui la Cina sta facendo massicce manovre interforze che simulano un blocco navale di Taiwan. A giudicare dai risultati, Trump dovrebbe forse cambiare il suo slogan in «Make China Great Again», visto che è riuscito a far apparire Pechino come una forza stabilizzatrice e a favore del libero commercio globale.

 Durante la campagna elettorale l’immobiliarista diventato presidente ha dimostrato una capacità diabolica di manipolare i fatti e guadagnare il consenso degli americani ma, una volta vinto, deve realizzare le promesse e qui cominciano i guai seri per lui. Con la brutalità del macellaio Trump ha annunciato che la vera sfida strategica per gli Stati Uniti è la Cina per cui dovranno essere gli europei a investire per la difesa del continente e per sostenere l’Ucraina perché Washington deve concentrare tutte le proprie risorse sullo scacchiere asiatico. Questa impostazione non può essere una sorpresa, visto che già il presidente Obama aveva delineato una strategia verso l’Asia orientale definita “Pivot to Asia”, che spostava gli interessi USA dall’Europa e dal Medio Oriente verso quell’area. Ma concentrarsi sulla Cina non può significare trattare l’Europa come un nemico, uno scroccone «nato per fregare l’America», abbandonare ogni forma di diplomazia e intervenire, come ha ripetutamente fatto il vicepresidente J.D. Vance, negli affari interni dell’Europa con un linguaggio rozzo e offensivo.

La trappola del Medio Oriente

Secondo tutti i principali economisti occidentali la politica dei dazi imposti al mondo da Trump è sbagliata e controproducente ma, tra qualche settimana, il fatto che non si sta creando ricchezza ma caos, sarà così evidente agli stessi americani che rinviamo l’analisi al prossimo futuro. Una   verità ormai chiara, ma negata da un bugiardo patologico come Trump, è che la politica economica della Casa Bianca rende l’America più debole e peggiora drasticamente i rapporti con gli alleati (a tutto vantaggio di Pechino). In secondo luogo, il presidente ha annunciato che gli Stati Uniti si preparano a un’offensiva che non potrà essere breve contro gli Houthi e per far questo stanno concentrando nell’area truppe e mezzi, distogliendoli però dal Pacifico Occidentale dove avrebbero dovuto operare per contenere la minaccia cinese. Secondo le promesse, Trump avrebbe posto fine alla guerra in Ucraina in 24 ore e fatto più o meno lo stesso anche in Medio Oriente ma è invece successo che sia Putin che Netanyahu hanno formalmente accettato la sua mediazione, continuando imperterriti la loro politica che fa apparire il presidente USA come un chiacchierone inconcludente.

Mentre Biden fingeva di condannare la politica genocida di Israele a Gaza, lasciando sostanzialmente mano libera a Netanyahu, Trump non ha nessuno scrupolo a teorizzare la deportazione dei palestinesi, andando addirittura oltre quelli che sono i disegni di Tel Aviv di rioccupare Gaza e la Cisgiordania. Netanyahu è arrivato a Washington il 7 aprile per discutere con Trump di dazi, Gaza, della «minaccia iraniana» e della «lotta contro la Corte penale internazionale». Ma il tema che sta più a cuore al primo ministro israeliano è l’Iran, dipinto come una forza satanica e potentissima, minacciosamente armata fino ai denti che si prefigge di distruggere Israele. I fatti dimostrano che le feroci milizie armate dall’Iran a Gaza e in Libano sono state spazzate via dalla potenza militare israeliana che conta costantemente sull’intelligence statunitense e sulla sua rete satellitare. Lo stesso Iran, indebolito da forti proteste popolari contro il regime e da una profonda crisi economica, ha subìto rovesci militari in Siria e Iraq e, se può evitarlo, non ha nessuna intenzione di affrontare uno scontro diretto con Israele e Stati Uniti. Netanyahu sa che se vuole rimanere al potere deve costantemente allargare il conflitto e, da tempo, vuole colpire l’Iran, cercando di coinvolgere anche gli USA nell’operazione. L’obiettivo è distruggere gli impianti nucleari iraniani, far crollare il regime degli ayatollah anche a costo di destabilizzare l’intera area. Il giochino potrebbe riuscirgli con Trump. Una politica di questo tipo in Iraq ha contribuito alla nascita dello Stato islamico che ha devastato il Medio Oriente e compiuto attentati terroristici in Europa con molte centinaia di vittime.

Gli Houthi e la guerra infinita

Come è stato ripetutamente riferito dalla stampa israeliana, Netanyahu ha sempre ritenuto vantaggioso favorire l’ascesa di Hamas all’interno del movimento palestinese, in modo da scongiurare ogni ipotesi di Stato palestinese democratico che potesse convivere pacificamente con Israele. Per rafforzare Hamas ha consentito che il Qatar lo finanziasse con milioni di dollari che arrivavano a Gaza sotto la supervisione del Mossad. Il risultato di questa strategia che giocava col fuoco è stato il massacro del 7 ottobre 2023, costato la vita a 1200 cittadini israeliani. Le diverse inchieste sul più grave attentato contro Israele dalla fine della Seconda guerra mondiale hanno appurato le gravi carenze dell’intelligence, incapace di leggere i tanti allarmi che erano stati lanciati, e dell’esercito (il grosso delle truppe era stato spostato in Cisgiordania per spalleggiare le violenze dei coloni contro i residenti palestinesi). Stranamente, però, nessuna inchiesta ha fatto luce sulle responsabilità politiche. Il principale colpevole è, ovviamente, Netanyahu, capo assoluto di tutti gli apparati e dominus incontrastato di Israele che, da quel momento in poi, ha messo in pratica una cinica strategia di allargamento dei conflitti in modo tale che, da comandante in capo, nessuno potesse metterlo sotto accusa. La strategia ha funzionato perfettamente.

Dopo aver bombardato a tappeto la Striscia di Gaza, Israele ha occupato una fascia di territorio in Libano e un’area in Siria, distruggendo anche le infrastrutture dell’esercito siriano. In solidarietà con i palestinesi, le milizie Houthi, finanziate e addestrate dall’Iran, hanno reagito colpendo le navi collegate a Israele e agli Stati Uniti nel Mar Rosso ma, in pratica, hanno danneggiato anche imbarcazioni di molti altri Paesi. Questo ha fatto aumentare enormemente i costi delle assicurazioni per le navi dirette verso lo stretto di Suez, tanto che molte compagnie hanno deciso di tornare a circumnavigare l’Africa, con conseguente aumento dei costi. Ciò ha danneggiato principalmente l’Europa e l’Egitto. A questo punto, con la motivazione formale della «difesa della libertà del traffico internazionale», Washington ha intensificato la sua campagna di bombardamenti contro le infrastrutture controllate dagli Houthi. Non stiamo ancora parlando di un’operazione massiccia, come quella che si svolse tra il 2014 e il 2015 contro lo Stato islamico, ma si è passati da un bombardamento a settimana a operazioni giornaliere, con grande dispiacere del vicepresidente J.D. Vance, contrario a un’operazione che avvantaggia soprattutto quegli “scrocconi” di europei che non pagano un centesimo. In realtà, è soprattutto Israele che preme per un intervento contro gli Houthi, visto come prodromo dell’offensiva militare contro l’Iran.

La conferma di questa ipotesi è arrivata il 31 marzo 2025 da un messaggio di Trump, pubblicato su Truth Social, in cui il presidente avverte che il “vero dolore” per gli Houthi deve ancora arrivare e conclude che un destino simile potrebbe colpire anche Teheran, principale fornitore degli armamenti usati dalle milizie yemenite. L’operazione, denominata ”Rough Rider”, è iniziata il 15 marzo 2025 e ha colpito sistemi radar, difese antiaeree e siti utilizzati per lanciare missili e droni, sia contro le navi che verso Israele. Finora in Yemen ci sono state circa 100 vittime civili ma l’operazione è destinata a proseguire e indica che, contrariamente a quanto viene dichiarato ufficialmente, Trump sta impelagando ancora una volta gli Stati Uniti in un conflitto in Medio Oriente che non può essere risolto soltanto con mezzi militari. A fine marzo la USS Carl Vinson, una portaerei a propulsione nucleare che opera nel Pacifico occidentale, ha ricevuto l’ordine di spostarsi nel Mar Arabico per sostenere l’offensiva contro gli Houthi, andandosi ad aggiungere alla USS Harry S. Truman già presente nell’area.

Il B-2 Spirit è un bombardiere strategico in grado di trasportare armi sia convenzionali sia termonucleari. Opererà in funzione anti-Houthi dalla base di Diego Garcia, nell’Oceano indiano.

Un altro segnale che l’operazione non sarà breve è rappresentato dal fatto che, come riferito da Defence News  il 2 aprile 2025, tra il 24 e il 26 marzo l’aviazione USA ha inviato in Medio Oriente altri F-35A, un caccia di quinta generazione con caratteristiche Stealth, e dispiegato nella base di Diego Garcia, un’isola nell’arcipelago delle Chagos a 1800 chilometri a sud dell’India, tra 6 e 9 bombardieri strategici Stealth B-2 Spirit, provenienti dalla base di Whiteman nel Missouri. I voli, tracciati parzialmente attraverso fonti aperte, sono stati supportati da almeno quattro aerei cisterna KC-135 Stratotanker per il rifornimento in volo. Le immagini satellitari confermano anche la presenza di una decina di navi cisterna e di più velivoli da trasporto C-17 Globemaster III, suggerendo un’operazione logistica complessa. Emanuele Rossi ha scritto su Formiche del 1 aprile 2025 che «sebbene non esistano conferme ufficiali è plausibile che gli Stati Uniti stiano ridistribuendo assetti dalla Corea del Sud verso la regione mediorientale, con la catena logistica statunitense dell’area di responsabilità di CentCom che viene rinvigorita da est. Diversi cargo C-17 e aerei cisterna americani hanno viaggiato verso il Medio Oriente e l’Europa probabilmente portando pezzi di ricambio, sistemi d’arma o munizionamenti».

La base di Diego Garcia, che dista 4842 chilometri dall’Iran e 3659 dallo Yemen, si sta trasformando in un hub operativo per il Medio Oriente, tenendosi teoricamente fuori della portata delle eventuali ritorsioni iraniane. Alcuni esperti hanno però fatto notare che Teheran potrebbe usare vettori come il Khorramshahr-4 o servirsi di sistemi navali avanzati che potrebbero essere modificati per eventuali ritorsioni. Ma, come ha messo in evidenza un comandante delle forze missilistiche iraniane, l’intero Medio Oriente è punteggiato da decine di basi operative americane che ospitano 50.000 militari e si trovano a distanze perfettamente raggiungibili dai sistemi d’arma iraniani. Il problema non sono le eventuali ritorsioni di Teheran ma il fatto che la marina e l’aviazione statunitensi stiano muovendo navi e aerei dal quadrante orientale (dove avrebbero dovuto fronteggiare la Cina) verso il Mar Arabico, in un’operazione che si profila come lunga e complessa. Trump, che nella campagna presidenziale si presentava come “candidato della pace”, sta intervenendo nella lunga guerra civile dello Yemen dopo che anni di bombardamenti da parte di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti non sono riusciti a indebolire le milizie Houthi. Alla fine del 2021, l’ONU aveva calcolato che il conflitto avesse ucciso 377mila persone, col il 60 per cento morto per cause indirette, come carestie, colera e distruzione del sistema sanitario. Dopo ogni attacco, gli Houthi sono emersi più forti di quanto fossero prima.

Il Dragone sorride

Il 2 aprile 2025, lo stesso giorno dell’annuncio dei dazi di Trump, Pechino ha iniziato massicce manovre militari nello Stretto di Taiwan che avevano lo scopo di testare la capacità della marina cinese di mettere in atto un blocco navale e colpire bersagli specifici. Secondo il colonnello Shi Yi le «esercitazioni  includevano attacchi di precisione su obiettivi simulati come porti e centrali elettriche e hanno raggiunto gli obiettivi prefissati».  Oltre a mostrare i muscoli, Pechino sta cercando di tessere una rete con tutti i Paesi asiatici che si sentono sotto attacco per la politica dei dazi della Casa Bianca. Il 30 marzo, durante una sua visita in Giappone e Corea del Sud il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha dichiarato che entrambi i Paesi sono “partner indispensabili” per contenere l’espansionismo cinese, dichiarazione che fa a pugni col fatto che il Giappone dovrà pagare il 24 per cento di dazi sulle merci esportate negli USA e la Cortea del Sud il 28 per cento. Non sembra una strategia geniale. Lo stesso giorno delle dichiarazioni di Hegseth, quindi prima ancora che i dazi fossero annunciati, i ministri del Commercio di Cina, Giappone e Corea del Sud si incontravano a Seul e si dichiaravano d’accordo per promuovere discussioni di alto livello tra i tre Paesi per favorire il «commercio regionale e globale».

Ahn Duk-geun, ministro del Commercio sudcoreano ha dichiarato che Giappone, Cina e Corea del Sud devono intensificare la propria cooperazione per espandere gli scambi commerciali all’interno del Regional Comprehensive  Economic Partnership (RCEP) di cui sono membri. Il RCEP è un accordo di libero scambio tra 15 Paesi dell’Asia-Pacifico entrato in vigore il 1 gennaio 2022 con lo scopo di abbassare le barriere tariffarie negli scambi tra gli aderenti. Per decenni il Giappone e la Corea del Sud hanno avuto pessimi rapporti, a causa delle brutalità compiute dai giapponesi durante la Seconda guerra mondiale, fino a quando, negli ultimi anni, c’è stato un riavvicinamento patrocinato dagli USA, interessati a una cooperazione reciproca in funzione anticinese. Trump, che minaccia di uscire dalla NATO perché ha bisogno di concentrare le sue forze su Pechino, sta riuscendo nel capolavoro di far ulteriormente riavvicinare Tokyo e Seul a Pechino. I tre ministri del Commercio hanno concordato di tenere il prossimo incontro in Giappone. Dopo il Messico, la Corea del Sud è il principale esportatore di veicoli verso gli Stati Uniti, seguito dal Giappone.

Lunedì 7 aprile 2025 all’apertura dei mercati la borsa di Tokyo ha perso il 7,7 per cento, Hong-Kong il 13 per cento, Shanghai il 7,3 per cento, Taiwan il 9,7 per cento.  L’indice Ftse Mib di Milano ha chiuso a -5,2 per cento, l’indice tedesco ha fatto segnare un -10 per cento per poi recuperare qualche punto, mentre quello di Londra è sceso a -3,8 per cento. Tra le macerie finanziarie, prodotte dalla sua politica incompetente e velleitaria, Trump è emerso sorridente dichiarando che questo è un ottimo momento per arricchirsi e che le cose potrebbero andar male prima di incamminarsi verso un futuro radioso. Nello scorso fine settimana ci sono state centinaia di manifestazioni di protesta negli Stati Uniti, molti politici repubblicani, bombardati dalle telefonate inferocite dei propri elettori, cominciano a temere un bagno di sangue nelle elezioni di mid-term del prossimo anno. Si vocifera di possibili dimissioni di qualche membro del governo. I quotidiani economici Wall Street Journal e Financial Times (entrambi conservatori) pubblicano articoli a raffica dove denunciano gli effetti devastanti della politica economica imposta dalla Casa Bianca. Un numero crescente di analisti politici concorda che le elezioni di mid-term dovrebbero ridimensionare drasticamente l’attuale presidente, ma il 3 novembre del 2026 potrebbe essere troppo tardi. Donald Trump assomiglia sempre di più a un imperatore romano come Caligola (regnò dal 37 al 41 d.C.) e, come lui, rischia di fare la stessa fine. (Nel caso non conosciate la storia di Caligola consultate un buon libro di storia e scoprirete cose molto interessanti).

(L’immagine di copertina riproduce la portaerei USS Carl Vinson, spostata dal Pacifico occidentale al Mar Arabico)

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