I BRICS verso la de-dollarizzazione. E i riflessi nel mercato delle fonti di energia

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Autostrade a Gedda, Arabia Saudita. Foto Backer Sha/Unsplash

Il primo gennaio sei nuovi paesi (Iran, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e la complicata Argentina) sono entrati a far parte del gruppo dei Brics. Ce ne sono altri 40 pronti ad aderire, di cui la metà ha già presentato la richiesta ufficiale. Tra questi vi sono molte nazioni africane: la Nigeria, l’Algeria, la Tunisia, il Kenya, il Senegal. E tante importanti nazioni asiatiche quali l’Indonesia, le Filippine, il Vietnam, il Pakistan, il Kuwait e molte dell’America Latina hanno chiesto l’adesione.  Pure la Turchia e la Palestina vorrebbero aderire.

Non si tratta solo di numeri. La prospettiva è il cambiamento del modello economico e finanziario globale e la sua governance. Oltre ad accelerare il processo della de-dollarizzazione attraverso l’immediato utilizzo delle monete locali nei rapporti commerciali, il crescente gruppo di paesi sarà dominante soprattutto nel settore energetico e in quello delle materie prime, a partire dalle cosiddette terre rare.

Lo spostamento verso la de-dollarizzazione non riguarda solo la diversificazione nell’utilizzo della valuta nel commercio internazionale, ma naturalmente riflette anche il cambiamento degli allineamenti geopolitici. Man mano che il gruppo guadagna più membri e slancio, si dovrebbe inaugurare una nuova era di multipolarità economica, cambiando in modo rilevante le tradizionali strutture di potere politico e finanziario che da lungo tempo dominano la scena mondiale.

La popolazione dei Brics-11 rappresenta oggi il 45,6% di quella mondiale e il il loro tettitorio il 31,5% della superficie terrestre. Il gruppo allargato conta già quasi il 37% del Pil mondiale. Se si calcolasse il Pil con il metodo della parità di potere d’acquisto, (ppa) esso già supererebbe il G7.

Oggi, essi rappresentano il 41-44% della produzione e del consumo globale di petrolio, il 36% della produzione e del consumo di gas, il 70% della produzione di acciaio e il 65% del consumo di acciaio, il 44% della produzione di fertilizzanti e il 46% del consumo di fertilizzanti, il 57% della produzione e del consumo alimentare e il 48% della produzione automobilistica.

L’adesione dell’Arabia Saudita, che è il secondo produttore mondiale di petrolio e il più grande attore sul mercato energetico con il suo 19% delle riserve globali, insieme agli Eau e all’Iran, rispettivamente il settimo e l’ottavo paese produttore al mondo, rappresenterebbe un cambiamento importante sul fronte energetico. In effetti, anche i dati del governo statunitense evidenziano che, dopo la recente espansione, la quota dei Brics nella produzione globale di petrolio è passata dal 19% al 41%.

La proiezione del suo peso non si ferma soltanto alle nuove adesioni. Attraverso l’Egitto, gli Eau e l’Arabia Saudita, il gruppo avrà un accesso ampliato alla Grande Area Araba di Libero Scambio.

Inoltre, con le prossime adesioni l’influenza dei Brics si estenderebbe ad altre organizzazioni regionali come il Mercosur dell’America Latina, l’Area Continentale Africana di Libero Scambio, l’Unione Economica Eurasiatica e l’Asean. Purtroppo, l’Unione Europea appare molto rigida nei confronti dei Brics. Assomiglia a un mercato chiuso piuttosto che aperto. In questo modo, i Brics possono essere visti dagli altri paesi del cosiddetto Global South come un antidoto ai sistemi dei gruppi commerciali occidentali, dove i negoziati si misurano in decenni e le condizioni politiche sono imposte in cambio dell’accesso al mercato occidentale.

Molti esperti americani hanno evidenziato con preoccupazione che, con l’adesione futura del Sudan, il Mar Rosso sarebbe totalmente controllato da paesi aderenti al Brics. Forse è per questa ragione che, in risposta alle minacce di attacchi da parte degli Houthi dello Yemen, gli Usa, con il sostegno di altri paesi della Nato, hanno, preventivamente, preso il controllo militare del Mar Rosso, snodo di importanza strategica, commerciale e geopolitica.

Com’è già successo in passato a rimetterci sarà, purtroppo, l’economia europea. Perciò non si comprende la rigidità dell’approccio verso i Brics da parte della Ue. Non si vuol comprendere che il futuro dell’Europa riguarda anche la dipendenza dalle materie prime, essenziali per la transizione digitale e ambientale, la cui produzione è concentrata in pochi paesi extra Ue. Perciò anziché rimpiangere la grande globalizzazione, sarebbe meglio prendere atto dell’evoluzione che oggettivamente i nuovi Brics portano nelle filiere produttive, negli assetti e nelle catene commerciali nel mondo.

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