Con cinquanta comunità distribuite in tutto il sud Italia, dall’Abruzzo alla Sicilia, e con circa centomila persone, gli arbëreshë, ovvero gli albanesi d’Italia, costituiscono una delle principali minoranze etnico-linguistiche del nostro Paese. I flussi migratori tra le due nazioni sono durati pressappoco un secolo e mezzo a partire dal 1400 quando condottieri albanesi al soldo di signori italiani, in lotta tra loro, venivano ricompensati con concessioni di feudi. Le ondate migratorie divennero più impetuose nella seconda metà del Quattrocento dopo che Giorgio Castriota Scanderbeg, guida della lega di Alessio contro gli Ottomani e vassallo di Alfonso V d’Aragona, venne in Italia in aiuto di Ferrante I d’Aragona, figlio illegittimo di Alfonso, impegnato nella guerra di successione al trono di Napoli contro Giovanni d’Angiò. Altra corposa migrazione avvenne attorno il 1470 a seguito della morte di Skanderberg e della caduta in mano ottomana dell’Albania.

È doveroso delineare, brevemente, la figura di Skanderberg guida della resistenza albanese all’occupazione turca. Figlio del principe di Croia (Krujë), Giovanni Castriota, restio al dominio ottomano, Giorgio Castriota fu condotto in tenera età, come ostaggio alla corte di Adrianopoli (l’odierna Edirne) e qui educato. Per le capacità che dimostrò mentre prestava servizio militare al sultano Murad II fu sopranominato Iskender (Alessandro) Beg (signore), poi “albanesizato” in Skënderbej. Tale fama giunse anche in Albania fintanto che fu raggiunto segretamente da messaggeri che lo informarono della situazione in patria. Skanderberg decise di abbandonare i turchi e con un suo corpo di fidati riconquistò Croia e formò una lega di principi albanesi, della quale divenne guida, per liberare i territori occupati. Murad II furioso per il tradimento inviò, più volte, armate largamente superiori a quelle albanesi, le cronache parlano di 100.000 o addittura 150.000 uomini, ma Skanderberg ne uscì sempre vincitore, tantoché le sue gesta risuonarono a Roma e fu nominato “Athleta Christi” e “Difensore impavido della civiltà occidentale”. Ma queste imprese, oltre che a quelle turche, avevano minato anche le forze albanesi, quindi Skanderberg strinse un’alleanza con Alfonso V d’Aragona. Conscio del pericolo che questa alleanza poteva rappresentare e di una paventata crociata cristiana Maometto II, erede di Murad II, intensificò gli sforzi militari in Albania ma subì sempre pesanti disfatte. Nel 1468 Skanderberg morì di malaria e dieci anni dopo cadde Croia, baluardo della resistenza albanese.

Le memorie vogliono che alla notizia della morte di Skanderberg Maometto II esclamò:

“Se non fosse vissuto Skanderbeg, io avrei sposato il Bosforo con Venezia, avrei posto il turbante sul capo del Papa ed avrei posto la mezzaluna sulla cupola della Chiesa di S. Pietro a Roma”

Da notare che da questo periodo in poi, quella che tutto il mondo identifica come Albania, gli albanesi, quelli rimasti nella loro terra di origine, inizieranno a chiamare Shqipëria, lemma dall’etimologia ancora dibattuta che potrebbe significare “Paese delle aquile” in omaggio all’aquila bicefala dell’emblema di Skanderberg, ancora in uso nella bandiera albanese, e in un certo qual modo rappresenterebbe una sorta di resistenza ottomana.

Ancora oggi queste comunità arbëreshë conservano la loro lingua, che ha affinità con l’albanese, ma si differenzia in quanto priva di termini astratti, e contaminata in parte da neologismi e prestiti dall’italiano e dai dialetti locali. Per questo è stata riconosciuta ufficialmente dallo Stato come minoranza linguistica e quindi soggetta a tutela grazie alla legge del dicembre del 1999. Mediante tale norma sono stati avviati corsi di studio e valorizzazione nonché riviste e pubblicazioni di un idioma che precedentemente era tramandato quasi unicamente per via orale. Anche dal punto di vista religioso parte delle comunità arbëreshë è riuscita a difendere la propria fede cristiano-ortodossa. Difatti se in un primo momento la Chiesa ha cercato di far passare al rito latino queste popolazioni, in seguito, nel 1700, fondò seminari per l’istruzione al rito greco. Inoltre nella prima metà del Novecento, istituì due eparchie immediatamente soggette alla Santa Sede di rito orientale, quella di Piana degli Albanesi per i fedeli siciliani, e quella di Lungro, in Calabria, per gli arbëreshë della penisola.

L’identità culturale si ritrova anche nel folclore, specie nei canti, dove oltre ai temi di amore romantico, fanno da padrone motivi nostalgici per la terra natia e canzoni sulle gesta di Skanderberg. L’identità di appartenere ad uno stesso popolo, seppur diviso, si avverte nel saluto tra arbëreshë di diverse comunità: “Gjaku inë i shprishur” ovvero “Sangue nostro sparso”. Tale saluto trasuda emozioni malinconiche per la patria perduta, ma allo stesso tempo sentimenti di orgoglio di un popolo che nonostante oltre cinque secoli di diaspora riesce ancora a sentirsi vivo e unito.

[caption id="attachment_2269" align="aligncenter" width="709"]Mappa degli Arbereshe Mappa degli Arbereshe[/caption]  

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