“Lui ha guardato fuori dalla finestra – riferisce Yanis Varoufakis – ed era un caldo giorno di sole, diverso dal tipico clima di Berlino. Poi mi si è rivolto e, lasciandomi a bocca aperta, ha detto ‘No, come patriota non firmerei. Sarebbe un danno per la tua gente'”. È l’8 giugno 2015, e Varoufakis da cinque mesi è il ministro delle Finanze del nuovo governo greco di Syriza, il partito di recente costituzione che raccoglie la sinistra “radicale” greca, vincitore delle elezioni svoltesi il 25 gennaio di quell’anno, ed è guidato da Alexis Tsipras. La vittoria di Syriza è dovuta al fatto che la popolazione ha accolto il suo progetto di dare un taglio al circuito infernale del rifinanziamento dell’enorme debito pubblico, nel quale la Grecia era peraltro già stata impegnata a seguito delle decisioni prese dal precedente governo conservatore del partito Nuova Democrazia, guidato da Antoni Samaras, cui erano state imposte dalla cosiddetta Troika (composta dalla Commissione Europea presieduta da Jean-Claude Junker, dalla BCE, Banca Centrale Europea diretta da Mario Draghi, dal FMI, Fondo Monetario Internazionale diretto da Christine Lagarde). Il problema è che incombe la scadenza, a distanza di poche settimane, e la ricetta della Troika è quella consueta dell’ortodossia finanziaria: il debito viene rifinanziato purché il paese beneficiario accetti le condizioni che lo accompagnano. Sono quelle contenute nel “memorandum d’intesa”: e sono austerità, aumento delle imposte, aumento delle privatizzazioni. Non le accetti? Molto semplice, in quanto terminale centrale delle banche centrali nazionali, la BCE chiude i rubinetti e gli istituti di credito del paese colpito si trovano a corto di liquidità: ne consegue panico, corsa della gente al tentativo di mungere qualche soldo dai bancomat, paralisi dei flussi economici interni, miseria crescente. Nulla di nuovo, è il verbo del “libero mercato” di cui il FMI è il sommo propugnatore e garante a livello mondiale e che la BCE ha fatto proprio, con la particolare accentuazione rivolta al controllo dell’inflazione entro un massimo del 2 percento. Ma oltre a questi organismi “tecnici”, la Troika include esponenti della politica europea, rappresentata dalla Commissione Europea, e il forum nel quale avvengono i negoziati è il cosiddetto Eurogruppo, al quale partecipano i ministri delle Finanze dei paesi membri. Varoufakis, docente di economia, non un politico, è stato coinvolto da Syriza perché si è mostrato polemico verso l’ortodossia dominante. Manterrà la carica per poco più di cinque mesi, durante i quali la crisi greca sarà al centro del dibattito politico internazionale, soprattutto grazie al suo coraggioso tentativo, non solo di risolverla per una volta a favore delle condizioni di vita del proprio popolo, ma anche di farne il chiavistello con cui cambiare l’impalcatura dell’ideologia che domina la politica economica internazionale. Varoufakis racconta quella sua esperienza nel libro “Audults in the Room. My battle with Europe’s deep establishment” (recentemente tradotto anche in italiano). La racconta guardandola in ogni dettaglio da un punto di vista esterno, pur partecipandovi dall’interno, perché non si identifica con i diversi personaggi con cui tratta, che son poi quelli che dominano e definiscono la scena della politica economica mondiale. Ha evidentemente l’abitudine di registrare col suo telefonino i molteplici incontri cui partecipa, perché è in grado di citare tra virgolette le tante persone con cui dialoga, dalla Lagarde a Tsipras, da Macron (era ministro dell’Economia francese) a Barak Obama. Varoufakis ha uno spiccato senso del dramma nel quale si trova a essere partecipe e la sua descrizione degli eventi si sviluppa proprio come una tragedia classica: c’è l’intreccio che poderosamente incede trascinando con sé i diversi protagonisti e comprimari, ci sono i singoli personaggi con i loro pregi e difetti, ci sono le istituzioni con le loro regole e le loro consuetudini che incanalano gli eventi. C’è il destino che incombe e sovrasta, indifferente a coloro che si agitano per sopravvivere dignitosamente, immancabilmente favorevole a coloro che si ingegnano di sopraffare gli altri approfittando delle loro debolezze. Tutto sorge dal fatto che Syriza, vinte le elezioni, cerca di cambiare le cose. E Varoufakis, sostenuto da una serie di personaggi che lo aiutano, tra i quali spiccano James Kenneth Galbraith e Jeffrey Sachs, elabora la proposta di non riciclare il debito greco, ma di ristrutturarlo. Partendo dal riconoscere lo stato di bancarotta del paese, da risolversi con la riduzione del debito stesso, con vendita delle sue banche (che sono ampiamente corrotte) ad altri istituti bancari soprattutto tedeschi, così da contribuire a contenere il tasso di corruzione interno del paese. E con il costituirsi di nuove forme di finanziamento, a partire dalla formazione di una nuova banca europea per lo sviluppo (che sarebbe rispetto alla BCE un po’ l’equivalente della Banca Mondiale rispetto al FMI, ma con un taglio non dissimile a quello dell’AIIB Banca asiatica per l’investimento nelle infrastrutture voluta da Pechino nel 2014). Il semplice riciclaggio del debito in cambio di successive ondate di condizioni di austerità, spiega Varoufakis, è solo una nuova forma di schiavitù: attraverso tale meccanismo infatti i creditori non verranno mai ripagati (come può un’economia debilitata, riuscire a ricavare nuova ricchezza per cancellare i propri debiti se viene schiacciata in una condizione di miseria sempre maggiore?). Loro lo sanno e non gli interessa. Ma in quel modo essi, i creditori (banche tedesche in primis), riaffermano il loro potere. Attraverso lo schermo dei rapporti contabili si vedono solo cifre del resto, non le persone che perdono il lavoro e la salute, che si riducono in miseria, che sono spinte al suicidio. Un grande merito di Varoufakis è che, essendo egli un economista di professione, non perde mai di vista le persone e le condizioni in cui vivono. Ovviamente le sue proposte urtano contro l’ortodossia: lo sviluppo giorno per giorno degli incontri, dei dialoghi che egli intrattiene all’interno del proprio governo e con altri personaggi all’estero, rende conto di una semplice verità: l’establishment contro il quale egli, e con lui la Grecia, si trova a lottare non è un’istituzione, ma l’insieme di abitudini e pregiudizi che informano l’azione dei potenti di turno, incapaci di uscire dal personaggio, dalla maschera, che hanno ritagliato addosso. La figura di Schäuble è particolarmente illustrativa: questi insiste perché la Grecia firmi il memorandum d’intesa, per il semplice fatto che non sa che altro fare. È intrappolato: da un lato sa che la Grecia non può pagare i suoi debiti e pertanto vede come unica soluzione che questa esca dall’euro. Tornando alla dracma avrà uno shock, ma poi potrà ricorrere alle svalutazioni competitive e, dopo essere affondata, pian piano riprendersi. Tanto che propone addirittura di finanziare la Grecia per un periodo pur limitato di uscita dall’euro (un “time off” lo chiama, con gergo sportivo), in attesa che la sua economia torni a funzionare, ma sorvolando sul fatto che l’operazione di uscita è di per sé onerosa, gravosa, drammatica per un’economia già strizzata ai minimi termini. Ma Schäuble, ministro delle Finanze tedesco, non può né imporre né discutere la sua idea, perché la cancelliera Merkel, orientata da una visione più politica e meno economicistica, non vuole causare lo sfaldamento dell’euro e con esso mettere in pericolo l’unità europea: per quanto la stessa cancelliera non sia proclive a cambiare la politica finanziaria dominante in quest’Europa dominata dalla sua Germania. Schäuble al massimo può essere portato a riuscire a vedere il problema, ma non a trovare soluzioni. Varoufakis, nel descrivere gli atteggiamenti e i dialoghi, parla anche delle intenzioni e delle sensazioni che ravvisa nei tanti personaggi. Sta qui la grandezza del suo racconto. Ecco dunque che la Christine Lagarde appare capace di comprendere il dramma della Grecia e desiderosa di aiutare. Ma che può fare? È solo il direttore del FMI, ed è a sua volta intrappolata nelle abitudini, nei pregiudizi, nel grande sistema di intrecci del cosiddetto libero mercato e della sua ideologia dominante. Tra le tante figure tragiche, rilevante è quella di un certo George Chouliarakis, descritto come arrivista asservito all’ideologia liberista della Troika; questi, appoggiato da diverse istituzioni europee e greche – perché malgrado il governo di Syriza all’inizio fosse unito attorno alla politica definita da Varoufakis, ben presto si sfalda sotto la pressione derivante dall’opposizione del “mercato” – viene imposto come consigliere economico del governo. Il primo ministro Tsipras cerca di sostenere il suo ministro delle Finanze e i suoi piani di ristrutturazione. Ma alla fine cede e accetta di seguire la politica della Troika, per quanto nel referendum indetto in Grecia per sapere se la popolazione fosse d’accordo o no nell’accettarne la politica, avesse con ampia maggioranza vinto il “no”. Tsipras teme che se continuasse a opporsi alla Troika verrebbe rovesciato da un colpo di stato militare. La sconfitta della Primavera greca è diversa da quella della Primavera di Praga del 1968 perché non sono stati i carri armati a fermarla, ma la pressione e le minacce. Ma è anche simile perché, come nel caso del tentativo di Alexander Dubceck di liberare il suo paese da un comunismo sovietico opprimente, anche la Grecia è stata invasa da forze straniere nemiche, sostenute da quinte colonne interne. L’opera di Varoufakis dimostra come il problema sia anzitutto ideologico: frutto di convinzioni personali condivise su base preconcetta, non di certezze derivanti da sapienza scientifica, della quale peraltro amano ammantarsi per solito gli economisti. Appare particolarmente rivelatore il fatto che la delegazione del FMI che va ad Atene per studiare la situazione e formulare le proprie raccomandazioni segua un modello econometrico, non solo lineare, ma anche di una banalità tale da apparire grottesco: fondato sull’idea che basta aumentare le tasse per rimpinguare le casse dello stato. Il FMI, sulla base del proprio modello matematico, chiedeva che l’IVA in Grecia fosse aumentata, portando il suo livello più alto dal 23 percento al 24 percento. L’obiezione che, più si aumentano le tasse, più si riducono le attività economiche, per quanto non estranea ai principi del libero mercato, non sfiora i ragazzi del FMI. Paradossalmente, chiosa Varoufakis, allora basterebbe aumentare l’IVA al 123 percento e in breve si sarebbe tutti a posto. Se qualcuno crede che l’economia sia seppure lontanamente collegabile a qualcosa che somigli a una scienza esatta, dovrebbe leggersi questo libro. Il cui titolo, per inciso è dovuto a un’affermazione di Christine Lagarde che in un’occasione, di fronte al berciare di rappresentati di governo ed economisti riuniti, s’è trovata a esortare i presenti a comportarsi da adulti, non da mocciosi che si accapigliano. La tragedia del governo Syriza e del suo fallito tentativo di cambiare l’impostazione tanto ortodossa quanto disumana dell’economia, è in realtà la tragedia del nostro tempo in cui tutto, dalla diplomazia alla politica, dalla scuola alla sanità, è dominato da un’ideologia unica, chiamata “libero mercato”. Dopo l’esperienza governativa, Varoufakis ha dato vita a un movimento trasnazionale, DiEM 25. Si sta preparando alle elezioni europee del 2019. Sperando che la tragedia non si rinnovi.]]>