Lo stile è morto: viva lo stile! Questo più o meno il messaggio che lancia Farshid Moussavi col suo nuovo libro “The function of style” , il terzo di “The function series”. La progettista iraniana, docente a Oxford e con studio a Londra, ha presentato la sua nuova opera in una conferenza al Politecnico di Milano il 18 febbraio 2016.
di Leonardo Servadio e Atie Diba “Ho sentito la necessità di scrivere questo libro – ha spiegato – perché oggi c’è l’idea diffusa che non vi sia più uno stile prevalente nella progettazione. Ma che cosa si intende per stile? Un approccio condiviso di carattere formale. E certo, se si guarda al tentativo dei progettisti di differenziarsi imprimendo un carattere personale all’edificio si potrebbe dire che ognuno abbia un suo stile personale. Se si considera il rispetto del genius loci e delle tradizioni locali, si potrebbe dire che ogni particolare luogo implichi uno stile caratteristico”. Ma l’architettura contemporanea è andata al di là di tutto questo. Ci si trova oggi di fronte a una maturazione e dopo le molteplici esperienze del moderno, si sta dimostrando che vi sono procedure condivise. Sono queste, implica la ricerca effettuata dalla Moussavi a imprimere agli edifici della nostra epoca il sigillo che li consegnerà alla storia come espressivi del nostro secolo. La capacità di riassumere i diversi approcci compositivi, in modo tale che i singoli elementi siano coerenti tra loro e germinino da una logica comune (l’approccio organico) o da una relazione biunivoca con l’intorno, messi assieme a quanto offrono le tecnologie contemporanee, determinano un ampio campo di libertà progettuale, nel quale la creatività del singolo trova possibilità espressiva senza con questo escludersi da un rapporto specifico che lo lega a un trend prevalente. Il quale a sua volta è la cifra dello stile contemporaneo. I progetti stessi della Moussavi sono espressivi di questa visione, che parte dal concetto che l’edificio sia una funzione dei rapporti che l’essere umano vi vive: con lo spazio interno e con lo spazio esterno. Moussavi sostiene che, accogliendo la vita quotidiana come materia prima, gli architetti possono cambiare le convenzioni di assemblaggio e l’esperienza estetica degli edifici, nella micro-politica della vita quotidiana. Due esempi chiariscono questa visione. Un edificio residenziale, “La Folie Divine” a Montpellier, dove aspetto primario è lo studio della relazione tra interno e balconi; sono questi il modo in cui il panorama circostante diviene il decoro che entra nell’ambiente di vita. Ampie vetrate generano continuità tra ambienti e balconate. Ma soprattutto l’impegno progettuale è consistito nell’elaborare la forma dei terrazzi così che sia rispettata al massimo la privacy di ognuno degli appartamenti e permette una vista sul paesaggio a 180 gradi. Ed ecco che, nella maturazione del progetto, la Moussavi è partita dalle forme lineari usuali, per poi articolare i profili in forme variamente ricurve, rigonfiamenti variamente disposti all’intorno così da evitare contatti visivi di scorcio coi vicini. Nell’elaborazione delle forme atte a ottenere tali risultati, sono nati disegni che ricordano quelli delle nuvole, tondeggianti e irregolari, con spazi a doppia altezza tra un balcone e quello sottostante. Nel complesso tutto l’aspetto dell’edificio ne viene influenzato. E così, da una procedura progettuale che segue crismi consoni al razionalismo (libertà di movimenti, ampiezza di superfici trasparenti, ampia circolazione dell’aria) si giunge a una forma fantasiosa e scultorea. Il metodo è lo stile. Il risultato reca il marchio di una creatività che non parte dalla ricerca di una forma originale, ma vi arriva, seguendo il percorso volto a dare la massima libertà, la “privacy” di ogni singolo appartamento. Diversa è l’impostazione seguita per un edificio “130 Fenchurch Street” a Londra. Lì il punto di partenza è stata l’idea delle superfici in cristalli specchianti che riflettessero le facciate dei palazzi storici vicini. Ma s’è posto il problema di dar maggiore personalità all’edificio. E il punto di arrivo è stato di muovere le facciate con una serie di concavità verticali a tutta altezza, di ampiezza variata nei diversi prospetti. Ogni elemento verticale in questo modo riflette la totalità dell’intorno. E nel complesso la facciata percorsa dalle regolari ondulazioni verticali offre una serie ordinata di riflessi omologhi, solo leggermente variati in relazione all’angolatura delle direttrici osservatore-oggetto riflesso. Si pone a questo punto la questione: stante quanto dichiarato dalla Moussvi, come sistema procedurale, ovvero la funzione della relazione tra persone ed edificio, tra edificio e intorno, che cosa è da attribuirsi nelle soluzioni da lei scelte, al suo background culturale? In che modo il genius loci iraniano può riflettersi nei disegni da lei definiti? A considerare l’articolarsi degli elementi in componenti nucleari che ne variano i profili, ricavando ondulazioni vibranti e diversificate, variamente ripetute là dove in partenza c’erano linee rette e superfici piane. È inevitabile pensare a come si ritorni all’ornamento pur partendo da una prospettiva iniziale che, informata dal razionalismo, lo rifugge. Ma è un ritorno non arbitrario, non fondato sulla ricerca dell’ornamento, bensì fondato sulle relazioni e sulle funzioni architettoniche che da queste derivano. E c’è sempre qualcosa di misterioso nel processo creativo, che risiede nei recessi dello spirito, nell’inconscio ove si depositano suggestioni provenienti culture radicate, da messaggi archetipici lontani. Come ogni attività umana, anche la produzione architettonica, quando è vera e dotata di senso, difficilmente può essere spiegata in toto, e acclarata in via definitiva. [caption id="attachment_6119" align="alignnone" width="1880"]