Epico scontro tra uomini e macchine, ma stavolta potrebbero vincere i robot

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Come è ben noto, l’Italia è un Paese di santi, poeti e navigatori ma, purtroppo, è anche profondamente provinciale e interessato soprattutto al proprio particulare, che difende con sagace protervia, smarrendo spesso la visione d’insieme. Ci sono invece dei temi, come il tumultuoso sviluppo delle tecnologie e la loro applicazione nell’economia globalizzata, che dovrebbero attirare la nostra attenzione e suscitare un acceso dibattito pubblico, poiché si stanno rivelando come una delle questioni principali in grado di determinare il nostro futuro. Marco Magnani, economista e docente universitario con alle spalle una brillante carriera tra Italia e Stati Uniti, analizza queste tematiche nel suo Fatti non foste a viver come robot e, nonostante la complessità e l’astrattezza della materia, riesce a dare un quadro che dà conto di tutte le sfaccettate e molteplici questioni in gioco.

Da un punto di vista storico, l’uomo ha sempre superato i limiti delle risorse grazie a nuove scoperte, a nuove tecnologie, a profonde riorganizzazioni del tessuto sociale. Dopo ogni rivoluzione industriale, c’è stato un interregno di adattamento, ma poi sono emersi i benefici economici che hanno avuto ricadute positive sull’intera società. Il libro si chiede però se sarà così anche in questa occasione, visto che l’introduzione di nuove tecnologie, come l’Internet of Things, che rivoluzionano e rendono obsolete quelle precedenti ha assunto, in modo quasi unico, un ritmo forsennato tanto che “le risposte, questa volta, non sono scontate. La storia potrebbe ripetersi fornendo, di nuovo, una soluzione positiva. Ma ci sono elementi che inducono a non escludere che this time may be different: questa volta le cose potrebbero andare diversamente rispetto al passato”.

A questo proposito, non possiamo dimenticare il caso emblematico del super-tecnologico Giappone, una delle grandi economie mondiali che, da decenni, non riesce a uscire dalla stagnazione economica, tanto che alcuni hanno ipotizzato il rischio di una stagnazione secolare, dovuta al rallentamento strutturale della domanda aggregata. “Secondo altri–spiega Magnani- il legame virtuoso innovazione-crescita è in crisi a causa di vincoli molto più forti rispetto al passato: oggi infatti sono in pericolo non solo la sostenibilità demografica, alimentare ed energetica ma anche quella ecologico-ambientale, sociale e politico-istituzionale. In entrambi gli scenari, il tradizionale modello di crescita del capitalismo liberale è sotto straordinaria pressione”.

La produttività aumenta ma cala l’occupazione

Un aspetto cruciale su cui riflettere è fornito dal fatto che le nuove tecnologie stanno aprendo la strada a una crescita senza occupazione, poiché il lavoro dell’uomo è in gran parte sostituito dalle macchine per cui si verifica un aumento reale di ricchezza che, però, viene concentrata in pochissime mani, aprendo la spinosissima questione della redistribuzione. Il libro cita uno studio di due economisti del MIT che analizzano l’andamento di produttività e occupazione negli USA dal 1947 al 2013. Viene dimostrato che, fino al 2000, le due variabili sono cresciute in modo proporzionale mentre in seguito si sono sganciate: in pratica, la produttività è cresciuta ma c’è stato anche un calo dell’occupazione e dei salari. La ragione di questo sviluppo è principalmente la tecnologia che ha distrutto il lavoro più velocemente di quanto lo abbia creato.

Nell’Italia degli anni Cinquanta era normale vedere l’operaio in tuta che tornava a casa in bicicletta. La nostra società, globalizzata e ipertecnologica, ha relegato per sempre nel passato quella figura.

Magnani sottolinea come le insidie per il lavoro non riguardino soltanto le persone scarsamente qualificate, che possono essere facilmente sostituite dalle macchine, ma anche le alte professionalità, perché ci sono robot in grado di fare diagnosi mediche in modo più accurato di un dottore in carne ed ossa, visto che in millesimi di secondo possono consultare milioni di fonti e informazioni specialistiche, per non parlare dei sistemi di Intelligenza artificiale in grado di comparare in tempo reale tutte le legislazioni mondiali riguardanti una questione specifica e formulare in pochi secondi una strategia legale. Ovviamente, le professioni creative, l’insegnamento, la ricerca, l’arte, la cura della persona e tutti quei settori che richiedano un rapporto empatico sono al riparo da questa minaccia ma non possiamo nasconderci il problema.

Le prospettive future

Se è vero che l’esplosione del commercio elettronico ha fatto chiudere milioni di piccoli negozi, questa nuova situazione ha anche portato alla nascita di nuove professionalità (rigorosamente con nomi in inglese) come il digital strategist, che disegna la strategia digitale dell’azienda coordinandola con le attività svolte nei canali tradizionali. Più tecnico è il search engine optimization (SEO) specialist, che attira il traffico a un sito attraverso i motori di ricerca e cerca poi di trasformare i visitatori in clienti. In crescita anche il digital customer expert, una figura con competenze di vendita, marketing e informatica che aiuta le aziende nella transizione digitale. Certo, c’è la preoccupazione concreta che la nuova occupazione, generata dalle tecnologie innovative, sarà molto inferiore a quella persa e diversi segnali puntano proprio in questa direzione.

Nonostante questo, l’autore sottolinea che non si devono avere dubbi

Il libro cita l’enciclica Evangelii Gaudium di papa Francesco che vede i meccanismi di redistribuzione come un’evoluzione della crescita e parla di “crescita in equità”.

sull’epilogo positivo di questo scontro epocale, purché vengano rispettate due condizioni: “La prima–scrive Magnani- è che l’uomo ricordi che il giardino dell’Eden gli è stato affidato affinché lo coltivi e custodisca. La stessa cura va riservata al pianeta e alle sue risorse, preservandole per le future generazioni. La seconda condizione è che, nel rapporto con le macchine, l’uomo riscopra ed eserciti in pieno la propria capacità di guida, la sua secolare funzione di ‘pastore’. Essere pastore di robot significa utilizzarli per migliorare la propria vita mantenendo centralità e preminenza”.

Marco Magnani
Fatti non foste a viver come robot
Utet, pp 272, € 15

di Galliano Maria Speri

 

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