Über jedes Leben ließen sich zwei Bücher schreiben: Das eine, wie wir wähnten, daß es werden würde, das andere, wie es dann in Wirklichkeit wurde.
(“Per ogni vita si possono scrivere due libri: il primo, su come ci auguravamo che sarebbe stata; il secondo, su come è andata veramente”)
Elisabeth von Heyking
Vi sono figure di scrittori, ma assai spesso soprattutto di scrittrici – non ostante il grande impegno a rivalutarle, negli ultimi decenni almeno, forse nell’ultimo mezzo secolo – su cui è calata una cortina di oblio. Sia negli ambiti linguistici – in questo caso il tedesco – in cui operarono, sia, soprattutto, altrove. Davvero, è un peccato. Perché molto spesso vi sono, alle spalle dell’opera, e alla sua base, biografie straordinarie, vere “vite inimitabili”. E l’opera è molto bella.
Cade quest’anno il primo centenario della morte di una di esse, Elisabeth von Heyking, nipote nientemeno di Bettina Brentano e Achim von Arnim, il cuore prussiano del Romanticismo tedesco, e sorella più anziana, di due anni (era del 1861) di una scrittrice forse lievemente più nota di lei, Irene Forbes-Mosse, che vivrà molto più della sorella maggiore, spegnendosi in Svizzera, a Villeneuve sul lago di Ginevra, nel 1946.
Un centenario per ricordarla. Questo vale soprattutto per il mondo tedesco, che pure non ha mai dimenticato quel complesso romanzo psicologico, epistolare, orientalistico, che è “Briefe, die ihn nie erreichten”, le Lettere che non gli giunsero mai, del 1903, che la rese famosa non solo in Germania, ma anche nel mondo anglosassone – vennero prontamente tradotte in inglese – e che furono un vero bestseller dell’epoca (un’epoca, occorre ricordare, in cui si leggeva forse più di oggi, almeno in proporzione al pubblico dei potenziali lettori), giungendo a vendere centinaia di migliaia di copie. Una biografia tormentata, un primo matrimonio infelice, un secondo, con un diplomatico, invece, pieno sotto ogni aspetto, ma culminato nella prematura morte di lui, nel 1915, e, due anni dopo, dei suoi due figli di primo matrimonio, giovanissimi, nella Prima guerra mondiale, nell’offensiva delle Fiandre. Una vita trascorsa per molti anni all’estero, a seguito del secondo marito, e letteralmente in tutti gli angoli del mondo; a partire dalle nozze – il primo marito, carattere difficile, si era suicidato, lasciandola con una figlia – e per venti anni (dal 1885 al 1906), la coppia si era spostata da Pechino a Valparaiso, dal Cairo a New York, poi a Calcutta e in Messico, con gli ultimi anni, dal 1902 al 1906, ad Amburgo, ove il marito era rappresentante diplomatico nella città anseatica (allora ancora città libera) della Prussia. Da questi anni ella trasse materiali per numerosi romanzi, anche se solo uno, quello sopra menzionato, le darà fama, ricchezza, e circolerà ampiamente. In tutti i luoghi in cui von Heyking si trova ad operare, in quegli anni, vi sono rivoluzioni, crisi, instabilità, e si pensi alla rivolta cinese dei Boxer, ben presente nelle Lettere che non gli giunsero mai; e contemporaneamente vi è la ferma volontà tedesca, espressa e veicolata dal marito diplomatico, da parte della Prussia guglielmina, di estendere i propri domini, come era il caso proprio della Cina: dove ogni potenza europea (Italia compresa), a seguito del modello inglese, intendeva, spesso a forza, stabilire la propria presenza commerciale, con l’acquisizione di porti e territori. Non è un caso dunque se una personalità del genere, che ha vissuto tali e tante situazioni, sia stata fatta spesso oggetto di studi. L’ultimo, vastissimo, e forse, per ampiezza e ricchezza di documenti utilizzati, il migliore, è quello dello storico e scienziato politico Herward Sieberg, pubblicato da Olms nel 2021: Elisabeth von Heyking: Ein romanhaftes Leben. Si certo fu vita da romanzo, dalle nevrosi e dal suicidio del marito – per altro un accademico estremamente promettente, Stephan Gans zu Putlitz (1854-1883), e probabilmente il modello reale della figura romanzesca del conte Waldemar von Haldern nel romanzo del 1888, di Theodor Fontane, Stine – alle avventure in giro per il mondo come moglie di un diplomatico, agli ultimi tristissimi anni, costellati di perdite, compresa quella della sua salute (forse anche mentale), trascorsi in un luogo ancor oggi controverso e misterioso, lo splendido, ma cupo castello di Crossen an der Elster, che da decenni versa in stato di abbandono, e sul cui destino nulla di sa di certo. Discendente dei maggiori tra i romantici tedeschi, ma da parte di padre da una genia di generali e amministratori, e in ultimo diplomatici (il padre Albert Georg Friedrich Graf von Flemming), Elisabeth visse una vita unica, inimitabile, che seppe bene trascrivere, e trasmettere, nella scrittura. Anche per quel riguarda i lati oscuri dell’esistenza. Non fu una vita felice. Anche in taluni suoi soggiorni all’estero, nei venti anni circa che appaiono lieti, pieni, il suo vero floruit umano, e personale, ebbe momenti di sconforto, come nel periodo messicano. Certamente, però, fu una vita intensa, sotto ogni rispetto.
Un centenario per conoscerla. Se dunque nel mondo tedesco Elisabeth è tutt’altro che dimenticata, e forse il centenario servirà a farla conoscere meglio, e mentre nel mondo della ricerca anglosassone vi è una costante attenzione per lei – inizialmente simpatetica, poi fortemente critica dell’azione coloniale prussiana, che fu per molti versi cruenta e quasi del tutto fuori tempo, si veda il caso dell’attuale Namibia – purtroppo Elisabeth in Italia è figura del tutto (o quasi) ignota. Nell’anno della sua morte, l’editore Paetel di Berlino pubblicò l’edizione numero 101 del suo capolavoro. Sempre anonimo, ma ormai si sapeva bene chi fosse l’autrice. Il romanzo la rese ricca e notissima – anche se certo proveniva da una famiglia non povera – eppure non le diede la felicità, che fu, forse, merce rara nei suoi poco più di 60 anni di vita. Cosa che le Lettere, il suo romanzo maggiore, a leggerlo attentamente, testimonia, in modo drammatico (tra un motivo orientalistico e l’altro, tra descrizioni accurate della Cina, e della politica coloniale tedesca, che vedeva all’opera da prospettiva assai privilegiata). Ebbene, sarebbe ora di scoprirla anche in Italia. Perché all’Italia quell’aristocrazia militare, diplomatica, e anche letteraria prussiana, protestante, “Junker”, era in fondo anch’essa legata. Suo padre morì a Firenze. Conobbe il suo primo marito a Verona, nell’estate del 1881. Nel 1882 nacque Stephanie, la loro unica figlia, che visse fino al 1946 (morì lo stesso anno della sorella Irene). Nell’estate del 1882 il Professor Stephan Gans zu Putlitz si sparò alla testa. Elisabeth aveva espresso l’intenzione di lasciarlo. Sconvolta, Elisabeth tornò in Italia. A Venezia. Qui la raggiunse Edmund von Heyking. Lo frequentava già da sposata e questo aveva suscitato le gelosie del marito, carattere già di per sé molto instabile (aveva tra l’altro scritto, il suo ultimo libro, una biografia dal punto di vista della dottrina dei valori del socialista utopista Proudhon, uscita a Berlino nell’anno dell’infausto matrimonio: J. P. Proudhon. Sein Leben und seine positiven Ideen. Berlin 1881). Difficile far accettare all’aristocrazia prussiana, ma anche al mondo accademico conservatore, qualcuno che aveva affermato che la “proprietà è un furto”, ma proprio cercando di collocare nel quadro generale del pensiero di Proudhon questa nota sentenza comincia il libro del giovane professore. Non ne scrisse altri. Al contrario della moglie, che fu davvero prolifica. E si ricordò sempre della tragedia del marito, divenuta tra l’altro oggetto, insieme al suo nuovo matrimonio quasi all’indomani di essa, scandalo nazionale, che suggerì al governo prussiano di mandar Edmund, e consorte, in missioni diplomatiche in luoghi lontani. Ma i due si sposarono a Firenze nel 1884. Tutto in troppo rapida sequenza, e molto accaduto in Italia. Così come l’Italia, anche nelle sue numerose opere, fu legata all’esistenza della sorella Irene, andata in sposa a John Forbes-Mosse, un colonnello inglese. Come la sorella ne veniva da un matrimonio, e di peso: con un von Oriola, l’alto ufficiale di cavalleria Roderich Deodat Wilhelm Albert Eduard (1860–1911), matrimonio terminato con la celerità sorprendente con cui era terminato quello della sorella. I Von Oriola erano nobili prussiani di origine portoghese. Roderich però almeno non si uccise, visse fino al 1911. Invece morì presto il secondo marito, il colonnello inglese, nel 1904, e la sorella di Elisabeth intraprese numerosi viaggi anch’ella. Ma prima la coppia era vissuta a Firenze, nella Firenze squisitamente “inglese”, ove conobbe e frequentò una scrittrice del calibro di Vernon Lee. Il primo libro di Irene, un libro poesie con un titolo in italiano, Mezzavoce uscito nel 1901, era stato illustrato niente meno che da Heinrich Vogeler-Worpswede. Non siamo di fronte a personaggi così “minori”. Un’ultima notazione “italiana”: nel 1925, l’anno della sua morte, uscì nelle sale un film muto, ovviamente, tratto dal romanzo, e diretto dal Friedrich Zeln. Tra le attrici, in ruolo di protagonista, Marcella Albani, diva dell’epoca.

Per concludere: se in Germania il centenario porterà senz’altro a riletture ed eventi, speriamo che in Italia, dove lei è totalmente sconosciuta, porti alla sua scoperta. Tante sono le opere e gli autori che devono ancora entrare nella nostra lingua, e cultura, e vedere come ci stanno.
Con una belle frase di Elisabeth vorrei terminare, stavolta davvero:
In keinem Roman kann man das schreiben, was das Leben schreibt:
“In nessun romanzo si può scrivere, ciò che la vita stessa scrive.”
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