Colletti bianchi, anime nere #whitecollar #crimini #economia

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Volete emergere, divenire leader, entrare nella cerchia eletta dei vincitori? Non è necessario che siate narcisisti, privi di scupoli, incapaci di empatia, ingannatori compulsivi: in altri termini, psicopatici. Però aiuta. Lo evidenziano Isbella Merzagora, Guido Travaini e Ambrogio Pennati (criminologi i primi due, psichiatra il terzo) nel volume “Colpevoli della crisi? Psicologia e psicopatologia del criminale dal colletto bianco” (FrancoAngeli, 2016, 164 pagine, 21,00 euro). [caption id="attachment_6417" align="alignnone" width="180"]La copertina del volume La copertina del volume[/caption] Lo scopo dei tre Autori ovviamente non è offrire un manuale per la scalata sociale dello psicopata (tanto più che sembra non ne abbia proprio bisogno), bensì di evidenziare la pericolosità dell’alta criminalità, che agisce protetta da privilegi “di classe”. L’indagine prende le mosse dalla constatazione che molti adombrano un legame tra l’assenza di comportamenti viruosi e la crisi economica che da anni diffonde povertà tra molti, mentre svettano cuspidi di smagliante ricchezza in zone privilegiate quanto opache. I tre moschettieri della criminologia si lanciano in un ponderoso excursus su molteplici studi compiuti, in particolare negli Stati Uniti, su coloro che, per non apparire violenti o devianti, ovvero per appartenenza di casta, anche quando sono colti con le mani nella marmellata, spesso se la cavano con una sgridata o poco più. Può un benestate bancarottiere essere assimilato a un borseggiatore o addirittura a un assassino? La criminalità da “colletto bianco” copre un vastissimo spettro, dalle piccole frodi commerciali alle enormi bancarotte tipo quella della Lehman Brothers che nel 2008 scatenò la crisi globale (per inciso, descritta con ironiche zoomate nel film “The Big Short”). E i suoi effetti sono molto diversi, visto che quando si affossano intere strutture economiche ci vanno di mezzo incalcolabili masse di persone, mentre le vittime del borseggio in fondo non son poi tante. Ma i sistemi giuridici sono attrezzati per affrontare i pesci piccoli, mentre [caption id="attachment_6418" align="alignnone" width="500"]La sede di Lehman Brothers, une delle punte dell'iceberg della crisi scopiata nel 2008. La sede di Lehman Brothers, una delle punte dell’iceberg della crisi scopiata nel 2008.[/caption] quelli più grossi sguazzano in relativa tranquillità, protetti dal dogma sull’inviolabilità del libero mercato: “libera volpe in libero pollaio” chiosano i tre. Almeno sinché non si inciampa. Si considerino per esempio i due casi, più volti richiamati nel testo, della bancarotta Parmalat – che ha penalizzato migliaia di piccoli risparmiatori – e del comportamento di alcuni responsabili della clinica milanese Santa Rita all’epoca della gestione di Brega Massone, già condannato per truffa e lesioni. Perché “persone di elevato status sociale, con pingui introiti, buona reputazione, che verosimilmente non sono stupide, si imbarcano in attività illecite?” chiedono gli autori. L’analisi sembra ricondurre a risposte peraltro implicite nell’antica saggezza testimoniata da proverbi quali “l’occasione fa l’uomo ladro” e “la fame vien mangiando”. Infatti più ricchezza c’è in giro, maggiori sono gli stimoli che ne cavano certuni a farsela propria senza badare troppo ai mezzi usati. Insomma, l’ambizione di potere (di potere, ancor prima che di denari, che in fondo altro non sono che un simbolo e uno strumento del potere) corrode l’essere umano, e il desiderio di emergere perverte i comportamenti di tanti. Persino di qualche “docente universitario”, notano con graffiante ironia gli autori: del resto la cattedra è sempre espressione di potere, che sia a capotavola in casa o di fronte a un’aula studentesca (peraltro, al riguardo, già Frederich Schiller criticava il “Brotgelherte”, colui che studia non per amore al sapere, ma per i vantaggi che glie ne derivano). Per successive approssimazioni, nel testo prende forma la figura di chi sembra particolarmente propenso al crimine di alto standing: persona affascinante, sicura di sé, fortemente competitiva, amante del gioco d’azzardo… il narcisismo sembra essere il tratto più caratteristico che si ricava dal ponderoso insieme di dati citati. Ovviamente non è che per essere persona emergente sia necessario disporre di tutte queste caratteristiche negative: gli è piuttosto che più si sale nelle gerarchie delle aziende, più è facile trovare persone che ne sono dotate. Se nella popolazione in generale gli psicopatici sono circa l’uno per cento, ai livelli alti nelle aziende “la percentuale salirebbe al 3,5 percento o più”. Il dato è dimostrato anche da un’inchiesta condotta in Italia dai tre, sfidando le linee difensive dietro le quali si nasconde il manager, non proprio aduso alla trasparenza. Essere criminali dal bianco colletto vuol dire fare affari d’oro: “Non si è mai sentito di un furto o di una rapina che abbia fruttato un milione di dollari, ma appropriazioni indebite di quella entità sono bazzeccole tra i colletti bianchi”. Un recente sondaggio su 5428 aziende di 40 nazioni mostra che gli psicopatici al potere avrebbero causato danni per un valore medio di quasi due milioni e mezzo di dollari. E la camera di commercio statuniense calcola in miliardi di dollari le perdite dovute a tali comportamenti. Dove vanno questi soldi? In sostanza avviene un travaso dalle tasche dei molti a quelle dei pochi. Il problema che resta senza risposta è: perché le maglie degli apparati giudiziari sono concepite per catturare i criminali violenti o quelli di entità minore, ma non quelli maggiori? Perché i colletti bianchi possono sperare di farla franca? Purtroppo, nel computo rischi-benefici, il criminale dal colletto bianco ha ancora troppo poco da perdere. [amazonjs asin=”B01CKDNVWS” locale=”IT” title=”Colpevoli della crisi? Psicologia e psicopatologia del criminale dal colletto bianco”]  

(LS)

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