FRONTIERE

Col disastro Dana nella Comunità di Valencia ci imbattiamo anche nell’ideologia ecologista

Auto accatastate dall'impeto dell'acqua a Paiporta, presso Valencia. Screenshot dalla televisioine

Tra le tante immagini dell’immane, tragico disastro causato nella Comunità valenziana dalla Dana (il fenomeno delle piogge copiose e violente che tende a colpire la Spagna) della fine di ottobre 2024 risulta particolarmente emblematica quella del ponte che vacilla, s’incrina, viene trascinato dall’acqua, crolla e scompare. Come mai? Non dovrebbe l’acqua passare sotto, o sopra se è tanta, ma senza farlo crollare?

Un ponte si piega e poi si spezza in provincia di Valencia. Screenshot dalla televisioine spagnola

La spiegazione dell’ingegnere idraulico Antonio Tatay Noguera è questa: nel caso della Dana del 2024, la quantità di canne, rami, tronchi e altri residui trascinati a valle dai corsi d’acqua è stata particolarmente ingente. Quando questi detriti trovano colli di bottiglia, quali quelli che si incontrano in corrispondenza dei ponti, dove le dimensioni dell’alveo sono ridotte e dove i piloni di sostegno offrono un ostacolo al flusso, rami e detriti si accumulano diventando come una diga che argina il corso dell’acqua. Ma il ponte non è progettato per reggere spinte orizzontali forti quali quelle che una diga può sostenere, e pertanto crolla.

Tronchi, piante e altri detriti si accumulano e danno luogo a bombe d’acqua. Screenshot dalla televisioine spagnola
Un piccolo ponte sul quale si è fermato un tronco d’albero mentre aggregati di canne si sono raccolti contro il guard rail, un brano di manto stradale e di guard rail divelto dall’urto dei tronchi e delle canne.

Secondo Noguera, in altri casi simili a quelli della Dana 2024 (avvenuti nel 1957 e nel 1982, sempre nella Comunità valenziana) vi furono danni materiali ingentissimi ma le vittime mortali furono poche perché, per forti che siano le piogge, i corsi d’acqua crescono in modo progressivo e, una volta dato l’allarme, le persone hanno il tempo per mettersi in salvo. Il principale problema del 2024 invece, secondo Noguera, è stato che l’acqua a valle è arrivata come una bomba, all’improvviso, con forza e velocità tali da impedire alle persone di rifugiarsi: per la stessa ragione per la quale si è verificato il crollo di ponti, la mancanza di pulizia degli alvei a monte.

Quando arriva in città, la massa di tronchi amplifica gli effetti distruttivi dell’acqua. Screenshot dalla televisioine spagnola

Se gli alvei fossero stati tenuti sgombri dalle canne e da altre piante, queste non sarebbero state trascinate a valle della corrente. E se non fossero state trascinate a valle in quantità così ingente, non si sarebbero accumulate nei colli di bottiglia dando luogo a argini che hanno determinato l’accumulo di grosse quantità di acqua. E se non si fossero accumulate tali ingenti quantità, a valle la crescita dei flussi sarebbe stata progressiva. Invece è stata esplosiva.

Le masse d’acqua, arginate a monte dalle canne e dagli altri detriti, una volta rotti tali argini, si sono riversate a valle con l’impeto subitaneo che a molti non ha lasciato scampo. Di qui il grande numero di vittime mortali rimaste intrappolate ai piani bassi delle case, nelle cantine o nei garage: si parla di oltre 200 morti accertati e il 3 novembre c’erano ancora circa 2000 dispersi. Della loro sorte è praticamente impossibile non disperare: un numero di vittime ben superiore a quello dei precedenti casi di simili fenomeni atmosferici.

Auto accatastate dalla forza dell’acqua. Screenshot dalla televisioine spagnola

E perché è mancata la cura degli alvei?

Secondo Tatay Noguera questo è dovuto all’ideologia ecologista che, fondata sulla supposizione che tutto quanto è naturale è buono e quanto è umano è cattivo, ha fatto sì che si lasciassero crescere in eccesso le piante negli alvei a monte. Non siamo in grado di sapere se, ed eventualmente in che misura abbia ragione, tuttavia la sua osservazione va soppesata sullo sfondo di tutto quanto l’ecologismo ha causato nell’epoca contemporanea. L’ecologismo infatti è diventato un’ideologia e in quanto tale tende a provocare problemi di ogni sorta. In Italia ancora soffriamo le conseguenze economiche dell’abbandono dell’energia elettronucleare per via dello scellerato referendum del 1987. Più recentemente la rincorsa al miglioramento della resa termica degli edifici nel nome del risparmio energetico e della riduzione di anidride carbonica nell’aria, essendo stata portata avanti in modo eccessivamente affrettato e tecnologicamente non congruo, ha causato fenomeni quali i molteplici roghi nei “cappotti” dell’isolamento termico di grandi palazzi: esempi sono quelli avvenuti a Londra (torre Grenfell, 2017, 72 morti), a Valencia (un edificio residenziale, febbraio 2024, dieci morti), a Milano (la Torre del Moro nel 2021, non ci furono vittime ma solo un’importante ondata di inquinamento atmosferico dovuta alla combustione dei materiali isolanti). Recentemente l’ecologismo ha portato alla crisi del settore automobili per via delle regole intese a imporre l’uso di veicoli elettrici in modo affrettato, senza la progressività che sarebbe necessaria per trasformare tutto un sistema industriale e infrastrutturale, e senza tenere conto di quanto gli stessi veicoli elettrici siano inquinanti (il peso delle batterie aumenta il consumo di copertoni e freni con conseguente dispersione di inquinanti, la produzione e lo smaltimento delle grosse batterie causano inquinamento).

Ma, tornando ai problemi delle inondazioni: l’incuria delle condizioni ambientali a monte ha diverse cause, e la prima di queste è l’urbanesimo e lo spopolamento delle campagne e delle montagne. Se restano pochi a vivere in quelle zone, è evidente che si riduce l’attenzione verso l’ambiente che occupano: di qui che boschi e corsi d’acqua sui rilievi non siano curati.

Tuttavia l’argomento di Noguera non perde valore: il problema infatti è che l’essere umano non può abdicare al suo ruolo di custode del creato. Quel ruolo affidatogli dall’imperativo biblico: riempite la terra e soggiogatela (Gn 1,28), nel senso di “abbiatene cura”. Mentre la visione ecologista, nel costituirsi come reazione agli abusi portati dall’industrializzazione predatoria, precipita nell’estremo opposto dell’abbandono alla natura selvaggia.

Le osservazioni di Noguera in merito a quanto avvenuto con la Dana 2024 possono essere un’occasione per riflettere sull’importanza del trovare la giusta misura per custodire il creato senza sacrificare l’essere umano: non sull’altare del progresso, ma neppure sull’altare del primato della natura. Siamo chiamati a custodirla poiché ne siamo parte, non a adorarla pensandola superiore alla nostra specie.

(tutte le foto sono screenshot da programmi televisivi trasmessiin Spagna)

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