FRONTIERE

Attenti all'Islam, ecco perché la nostra società è in pericolo | Il codice dell'apocalisse | #islam #arabian #isis #IIIWW #guerra

Perché un ragazzo di vent’anni decide di farsi esplodere nel nome di Allah? Perché l’islamismo radicale rappresenta una seria minaccia per l’Europa? Sono queste le domande che accompagnano l’uscita del nuovo libro di Aldo Di Lello, “Il codice dell’Apocalisse – Perché islamismo ci fa guerra” (Koiné Nuove Edizioni -link : http://www.edizionikoine.it/storia-e-storie/il-codice-dell-apocalisse.html). Le risposte fornite in questo volume  (da pochi giorni disponibile in edizione elettronica) manderanno sicuramente su tutte le furie i seguaci del politically correct. Giornalista e saggista, Di Lello è uno studioso dei conflitti globali, cui ha dedicato diversi libri negli ultimi anni. Nel 2004 ha fondato la rivista di geopolitica “Imperi”. Dalla lettura del suo libro emerge che l’avanzata islamica è un problema serio per l’Europa. Ma perché scomodare l’Apocalisse? Non è un problema serio. E’ serissimo. Il richiamo all’Apocalisse non è né arbitrario né esagerato. E’ quello che emerge chiaramente dalla comunicazione jihadista. Questa gente vuole applicare alla lettera, in pieno XXI secolo, le cosiddette “profezie” contenute nel Corano e nei “codici” della Sunna. Ma la civiltà dell’Islam è sempre stata tollerante. Perché vorrebbero oggi la fine del mondo? Tollerante fino a un certo punto. Non dimentichiamo mai il fatto che l’Islam s’è affermato attraverso le conquiste militari e che fino al XVII secolo ha rappresentato una minaccia costante per l’Europa. L’Islam è una religione politica e pretende,  ovunque vivano fedeli islamici (quindi anche nell’Europa abitata dalle comunità  musulmane), l’applicazione della sua legge, la sharia. Quanto all’Apocalisse, non è esattamente la fine del mondo: rappresenta il preludio al trionfo definitivo, sulla terra, dell’ideale religioso, garantito dalle profezie. Chi crede in tale possibilità non si ferma davanti a nulla. Quindi i kamikaze islamici pensano di accelerare l’avvento del “regno millenario”? Esatto. L’Apocalisse non è una catastrofe che scatta all’ora “X”. E’ un incendio che divampa, contemporaneamente, in migliaia e migliaia di menti. Lo so, è  pazzesco. E’ qualcosa di inconcepibile per la nostra mentalità, ma purtroppo è così. Questo incendio si estende silenziosamente, ma inesorabilmente, tra i giovani che vivono nelle Banlieue d’Europa. C’è più da essere preoccupati per quello che passa per la testa di questi ragazzi che per l’avanza dell’Isis in Iraq e in Siria. Nel suo libro lei parla di derivazione diretta tra l’Isis e Al Qaeda. Ma non si tratta di  due organizzazioni divise da una profonda rivalità? Così era  fino a qualche tempo fa. Ma sembra che negli ultimi mesi stia avvenendo una sorta di aggregazione della galassia del terrore intorno al Califfato di Al Baghdadi. Questa  almeno appare la svolta  politico-militare  impressa ad Al Qaeda da Al Zawahiri, il successore di Bin Laden nella guida dell’organizzazione. Il trait d’union storico tra i due gruppi terroristici è rappresentato da uno dei più grandi criminali che abbiano funestato vita mediorentale dell’ultimo decennio: Abu Musab Al Zarqawi. Fu lui a inaugurare la pratica delle decapitazioni riprese dalla telecamera. Zarqawi è stato sia il proconsole di Bin Laden in Iraq sia il “maestro” di Al Baghdadi. Era un vera belva sanguinaria e ha trasmesso tutta la sua carica di ferocia al futuro “Califfo”. Il legame più forte tra Al Qaeda e l’Isis, più che organizzativo, è ideologico. E’ Bin Laden che imprime un’accelerazione apocalittica al messaggio dell’islamismo radicale. Ed è Al Baghdadi che la prosegue fino alle esecuzioni di massa e ai deliranti proclami di oggi. A chi fanno comodo questi spaventosi “apostoli” dell’Apocalisse? A chi è interessato a mantenere l’area mediorentale in uno stato di destabilizzazione permanente per ragioni geopolitiche, geostrategiche e di controllo delle rotte energetiche. Chi in particolare?    La maggior parte degli analisti punta l’indice sull’Arabia Saudita e sugli Emirati. E’ un mondo oscuro e impenetrabile. Che cosa accada realmente nella penisola arabica è avvolto nel mistero. Il potere politico e finanziario si concentra intorno ad alcuni,  grandi clan. Ma raramente se ne trova notizia sui giornali. Di sicuro c’è il fatto che la pulizia etnica dei musulmani sciiti attuata dai sunniti dell’Isis è funzionale al tentativo dell’Arabia Saudita di arginare il ritorno dell’Iran come player geopolitico nell’area del Golfo. Di sicuro c’è anche che dalla penisola arabica partono i finanziamenti per la costruzione di moschee in tutto il mondo. Di sicuro c’è, infine, che l’Arabia Saudita è solidamente legata gli Stati Uniti, svolgendone  un po’ il ruolo di garante nel Golfo. E non si può certo dire che una tale alleanza abbia garantito condizione di pace e di stabilità in Medio Oriente nell’ultimo decennio. L’Isis è in sostanza una pedina nello scacchiere mediorentale? Molto più di una pedina. Intorno alle bandiere nere del Califfato sta avvenendo una concentrazione di potere del tutto inedita. E pericolosa. Dunque l’Apocalisse… L’Isis ne è l’amplificatore, ma non la causa. Parliamo di un processo che affonda le sue radici nella storia del Novecento e nel mio libro ne ricostruisco la genesi ideologica e politica. Ma non sarà anche colpa dell’Europa e dell’Occidente? E’ soprattutto colpa loro. Perché certe forze non si sarebbero mai scatenate se la nostra civiltà non fosse stata colpita da una devastante crisi culturale, politica e demografica, come è accaduto negli ultimi decenni. L’islamismo si è affermato nello spazio morale lasciato vuoto da un Occidente che ha perso l’anima e che, dopo la caduta del Muro di Berlino, s’è ritrovato anche “disoccupato”. Vuol dire che ha perso il senso della propria “missione”? Certamente. L’Occidente s’è dissolto nella globalizzazione. La sua società s’è fatta “liquida”, per dirla con Bauman. Questa società  ha perso riferimenti e identità. Lo Stato non ne garantisce più la coesione. La politica non sa più guidarla. La religione è percepita, sia dai credenti sia dai non credenti, come un cocktail di ricette buoniste. L’Islam è una forza che resiste a questo impero “liquido” accentuando  la sua struttura “solida”. Questa contraddizione è destinata a farsi sempre più esplosiva. Come si può disattivare questo rischio? Le misure di polizia, i controlli sui centri islamici, le misure antiterrorismo e, naturalmente, le azioni militari contro l’Isis sono certo fondamentali. Ma non bastano. Un fronte strategico è quello culturale. E’ ora di dire basta al  politically correct  che spadroneggia sui mass media e nelle istituzioni, sia nazionali sia europee. Si tratta di un veleno mortale perché, chi ha il compito di trasmettere princìpi e valori educativi, trasmette in realtà rovinosi sensi di colpa per la nostra identità e per la nostra storia. In Italia, una figura emblematica di questa tossica egemonia ideologica è la “papessa” Laura Boldrini. E’ venuto il momento  di ribaltare i dogmi del conformismo diffuso. Occorre far capire che la nostra società è sotto attacco e che dobbiamo uscire indenni da una guerra. Non l’abbiamo né voluta né cercata. Ma ci siamo dentro. Ci piaccia o non ci piaccia.     Leggi l’estratto Il Codice dell’Apocalisse: perchè l’islamismo ci fa guerra cover  ]]>

Exit mobile version