È passato quasi un anno dall’invasione russa dell’Ucraina ed è comprensibile che l’attenzione e le discussioni ad alto livello si concentrino su questo drammatico conflitto per cui non si intravvede alcuna soluzione. Ma c’è un’altra area dove il pericolo di scontro tra la NATO e l’asse Russia-Cina è molto concreto e ha già portato a frizioni e piccoli incidenti che potrebbero innescare uno scontro diretto: l’Artico. Il grande nord è infatti un enorme forziere di idrocarburi, minerali e terre rare che, grazie al cambiamento climatico, fanno ora gola a tutti. Putin si prepara da tempo a quella che è stata definita Guerra bianca, mentre l’Occidente è in gravissimo ritardo.
La guerra è già cominciata
Dopo l’invasione dell’Ucraina abbiamo sentito dotte spiegazioni sulle comuni radici religiose e culturali che legano strettamente Mosca e Kyiv, ma è anche doveroso ricordare che la maggioranza degli analisti riteneva esagerati gli annunci, sempre più concitati, che l’intelligence statunitense lanciava su un prossimo attacco. Poi è arrivato il 24 febbraio 2022 e gli occhi si sono improvvisamente aperti. Sarebbe imperdonabile commettere nuovamente lo stesso errore perché, per quanto riguarda l’Artico, non ci sono ipotesi e teorie ma una serie di fatti e operazioni che non possono più essere ignorati. Diventa quindi imprescindibile iniziare un dibattito su questo argomento, sia per quanto riguarda il rischio concreto di uno scontro con Russia e Cina, che per le conseguenze devastanti che il cambiamento climatico potrà avere sulle nostre vite in un futuro sempre più vicino.
Mentre gli esperti stanno ancora discutendo se la Cina abbia intenzione di sostenere militarmente l’invasione dell’Ucraina, in una bella mattina di fine estate 2022 “Nathan Moore, al comando di un cutter della Coast Guard di pattuglia al largo dell’Alaska a nord dell’isola di Kiska, si trova davanti al fatto compiuto: navi da guerra russe e cinesi che operano insieme in formazione. Fianco a fianco, nel cortile di casa del nemico comune. Il comandante segnala la presenza d’un incrociatore missilistico, un cacciatorpediniere e altre tre navi da guerra cinesi che ne affiancano altre sei della Marina russa. Tutte all’interno della zona economica americana”.
Segnali simili di aggressività si hanno anche in Europa soprattutto nel Mare di Barents, a nord della Norvegia e della Finlandia, dove si fronteggiano le
isole Svalbard, sotto la sovranità norvegese, e la Terra di Francesco Giuseppe, appartenente alla Russia. Thomas Nielsen, un giornalista indipendente norvegese, riferisce che il 18 agosto 2022 si è tenuta una manovra navale russa tra il Mare di Barents, Novaja Zemlja (un’isola allungata in prossimità della costa siberiana) e la Terra di Francesco Giuseppe con l’impiego di dieci navi da guerra e quattro sottomarini che simulava un attacco NATO dal Mare di Barents occidentale. “Mentre sono in difficoltà in Ucraina –prosegue Nielsen-, i russi si stanno preparando alla Guerra bianca, lí dove è in gioco la loro stessa sopravvivenza come nazione e nell’ambiente dove pensano di essere superiori. Hanno scarsità di soldati professionisti nel Donbass, ma organizzano operazioni nell’Artico in condizioni al limite dell’umano”.
Rune Rafaelsen, un ex sindaco che in passato ha promosso una strategia di cooperazione russo-norvegese per lo sviluppo congiunto dell’Artico, nel 2019 ha visto crollare i suoi progetti a causa del clima di tensione montante e ormai percepisce le cose in modo completamente diverso. “In quattro anni –dice a Mian- loro hanno messo in piedi un comando specifico per la Guerra bianca, quattro brigate artiche d’assalto, quattordici nuove basi aeree operative, sedici porti d’alto mare, quaranta rompighiaccio e altri undici sono in cantiere”. Nel 2017 Putin, il premier Dmitrij Medvedev e il ministro della Difesa Sergej Šojgu erano volati fino alla Terra di Alexandra, nella Terra di Francesco Giuseppe, per inaugurare la base Trifoglio Artico, la più avanzata nell’Oceano Polare, una specie di astronave attrezzata per la Guerra bianca, con pista riscaldata per caccia e bombardieri. Dopo vent’anni di fallimentari offensive in Iraq e Afghanistan, gli Stati Uniti si sono resi conto del nuovo contesto strategico e hanno iniziato a sviluppare il porto di Nome, sulla costa occidentale dell’Alaska, dove saranno di base sei nuovi rompighiaccio (la flotta russa si avvia ad averne 50).
Non c’è Russia senza Artico
Se è vero che la Rus di Kyiv segna la nascita della Russia come stato, è il mito del grande Nord che plasma l’anima dell’impero. Pietro il Grande, ossessionato dall’Artico come lo saranno Stalin e Putin, costruisce la prima flotta del Nord copiando le robuste imbarcazioni dei pomory, ex contadini che si rifondano in un popolo di navigatori artici che vivono di caccia, pesca e missioni estreme. Stalin fu spedito per quattro anni dalla polizia zarista a Kurejka, un villaggio appena a nord del Circolo polare artico, e proprio lì scoprì come trasformare la prigionia in opportunità, usando i gulag come uno strumento di terrore politico ma servendosi anche del lavoro forzato che divenne una risorsa economica per i Soviet. Fu proprio lo sfruttamento schiavistico degli oppositori politici che permise ai bolscevichi di trasformare la geografia economica del Paese, infischiandosene dei terribili costi umani che questa scelta comportava. Metà dei fondi del Secondo piano quinquennale sovietico vennero investiti nello sviluppo del Nord-Est anche sulla base della credenza messianica secondo cui la salvezza sarebbe arrivata un giorno dalla Siberia.
Viktor Il’ič Bojarskij, esploratore russo di fama internazionale, in una conversazione con l’autore spiega: “Tutti lí a chiedersi da sempre se la Russia guarda a ovest o a est, se è europea o asiatica. Cazzate, la Russia guarda a nord! Ha sempre guardato a nord! Ancora non avevano uno Stato e già i russi puntavano alla stella polare”. Bojarskij si dice anche certo che la “nuova guerra mondiale diventerà una ‘guerra bianca’, sarà il duello finale tra America e Russia”. La valenza strategica dell’Artico è stata poi ribadita da Vladimir Putin in un discorso del 21 maggio 2022 nel quale ha dichiarato con un linguaggio che non ha nulla di diplomatico: “Spaccheremo i denti a chiunque pensi di sfidare la nostra sovranità. Non esiste Artico senza Russia e Russia senza Artico”. A scanso di equivoci, già nell’agosto del 2007, l’esploratore e politico Artur Čilingarov era sceso con un mini sommergibile al Polo Nord e aveva piantato una bandiera russa in titanio sul fondo, a 4200 metri di profondità e, dopo essere risalito, aveva dichiarato con orgoglio: “Da oggi il Polo Nord è russo”.
Cambiamento climatico: tragedie e opportunità
Coloro che dicono di non sentirsi minacciati dal cambiamento climatico dovrebbero scambiare due parole con gli abitanti di Saint-Louis, in Senegal, un borgo coloniale costruito dai francesi tra il Seicento e l’Ottocento, centro della tratta degli schiavi e della gomma arabica, divenuto patrimonio Unesco. Per capire quello che potrebbe succederle, basta attraversare un ponte e raggiungere la Langue de Barbarie, una stretta lingua di sabbia che si estende parallelamente alla terra ferma per circa trenta chilometri e che, fino a poco tempo fa, era un fiorente centro di pesca e commercio. Nel marzo del 2018 l’oceano si mangiò tutta la Langue e per gli 80mila abitanti non rimase che la fuga verso l’interno. Mian scrive che “ogni cubetto di ghiaccio sciolto in Groenlandia è un sasso che lapida la nostra civiltà, diventa polvere nel Sahel e genera profughi climatici, causa siccità che fa evaporare i fiumi, si trasforma in bombe d’acqua che uccidono e cambiano i connotati a paesaggi millenari”. Il libro sottolinea che i due più grandi ghiacciai del nord-est della Groenlandia, quelli dove il processo di scioglimento è più evidente, sono in grado di rialzare il livello dei mari di un metro. Se si sciogliesse tutta la Groenlandia i metri potrebbero diventare otto.
Ma oltre a rappresentare una catastrofe climatica, la scomparsa progressiva dei ghiacci ha aperto nuove rotte commerciali sia a Est, lungo la costa siberiana, che a Ovest, lungo la costa canadese fino all’Alaska e allo stretto di Bering. Gli studiosi concordano che entro il 2035 l’Oceano Polare sarà completamente privo di ghiaccio nel periodo estivo e questo gioca a favore della Russia che si trova in una posizione dominante in quella che diventerà presto una cruciale “scorciatoia” verso l’Asia. La rotta polare sta assumendo un’importanza crescente soprattutto dopo l’incidente di Suez del marzo 2021, quando la portacontainer Ever Given si incagliò, ostruendo il commercio globale marittimo per una settimana, con un danno stimato intorno ai 2 miliardi di dollari. Come si vede, ci sono tutti gli elementi per approfondire la conoscenza di un’area che sembra lontanissima ma che è in grado di influenzare la vita di tutti i giorni. Essendo un avvincente libro-inchiesta, non c’è una bibliografia ma un indice dei nomi sarebbe stato sicuramente utile per orizzontarsi meglio tra i vari capitoli.
Marzio G. Mian
Guerra bianca
Sul fronte artico del conflitto mondiale
Neri Pozza, 300 pag., 19 euro