Ucraina: flebili segnali per un possibile negoziato

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La controffensiva ucraina per la riconquista dei territori occupati segna il passo, mentre gli USA faticano sempre di più a concedere fondi per finanziare una guerra dai costi sempre più alti. Un passo molto incoraggiante è stato fatto il 5 e 6 agosto quando nella capitale saudita Gedda si sono incontrati 38 Paesi, più quelli dell’Unione europea e dell’ONU, per discutere delle prospettive di pace. Un segnale ulteriore è stato lanciato il 19 agosto da un documento presentato ai partecipanti all’incontro del G20 Salute, svoltosi nella città indiana di Gandhinagar, in cui si condanna l’aggressione contro Kyiv. È ancora poco, ma qualcosa comincia a muoversi nella percezione dei Pasi che, finora, hanno mantenuto un atteggiamento equidistante tra Russia e Ucraina.

L’incontro di Gedda era informale e non ha prodotto decisioni o documenti congiunti ma segna un piccolo progresso perché nell’omologa riunione svoltasi a Copenhagn il 24 giugno scorso erano presenti soltanto 13 Stati. Il fattore dirimente è che, oltre alla presenza di USA e India, molto attiva nella diplomazia internazionale come leader de facto del Sud globale, c’era Ling Hui, ex ambasciatore cinese a Mosca e attualmente “rappresentante speciale per gli affari euroasiatici”. L’emissario di Pechino ha dichiarato di essere disponibile a partecipare a “ulteriori colloqui per la pace”. Va sottolineato inoltre che Mosca non era stata invitata, ma questo non ha impedito la presenza del diplomatico cinese. Un altro passo avanti è stato compiuto al termine dell’incontro del G20 Salute, quando è stato diffuso un comunicato che affermava come “la maggior parte dei membri ha condannato con forza la guerra in Ucraina che sta causando immense sofferenze umane ed esacerbando le fragilità esistenti nell’economia globale”.

Il primo ministro indiano Narendra Modi, nel suo ruolo di presidente di turno del G20, sta conducendo un’intensa attività diplomatica internazionale che include importanti iniziative per l’inizio di colloqui di pace tra russi e ucraini. (Foto 2130779joshitha.n, Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International)

Il documento riconosce che il G20 non è il forum adatto per risolvere le questioni di sicurezza ma è estremamente significativo che l’iniziativa sia stata presa dall’India, che ospitava l’incontro ma finora ha tenuto una posizione neutrale tra Russia e Ucraina. L’attivismo diplomatico dell’India, presidente di turno del G20, è destinato a intensificarsi ulteriormente, in vista del vertice che si terrà a Nuova Delhi il 9 e 10 settembre prossimi. Il documento preparato dall’India sottolineava anche il fatto che la guerra in Ucraina “limita la crescita e fa salire l’inflazione, interrompendo le catene di approvvigionamento, incrementando l’insicurezza energetica e alimentare e i rischi per la stabilità finanziaria”. Una valutazione che trova d’accordo anche Brasile e Sud Africa, membri del G20 ma anche del gruppo dei Brics, che riunisce Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Come c’era da aspettarsi, la Russia ha respinto l’inclusione del paragrafo geopolitico nel documento finale, seguita in questo anche dalla Cina. Ma è importante sottolineare che anche Brasile e Sud Africa, finora neutrali nel conflitto ucraino, comincino a prendere in considerazione gli enormi danni economici innescati dall’invasione decisa da Putin e sostengano in qualche modo i primi, timidissimi segnali di apertura ai negoziati.

Controffensiva ucraina in stallo

I principali centri studi e anche istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale ritengono che la guerra in Ucraina rischia di durare fino alla prossima estate, anche perché la controffensiva ucraina che avrebbe dovuto portare alla riconquista dei territori occupati ha conseguito successi marginali. I russi hanno avuto tutto il tempo per preparare una doppia linea di trincee e campi minati che sta infliggendo perdite elevate ai soldati ucraini senza nessuna contropartita in termini di nuovi territori liberati. Una situazione molto simile agli scontri di trincea della Prima guerra mondiale. Gli strateghi militari stanno prendendo nota del ruolo crescente che i moderni droni stanno giocando in questa prima grande guerra del XXI secolo. Ma i droni non possono nulla contro i bunker rinforzati da cui vengono lanciati i missili, né possono far sparire i campi minati che rendono pericolosissima e lentissima qualunque avanzata.

Il 16 agosto 2023 Mark Milley, Capo di Stato maggiore delle Forze Armate statunitensi, ha rilasciato ai media americani un’intervista in cui ribadisce concetti che ripete da molto tempo. Milley ha prospettato uno scenario molto incerto: “Avevo detto due mesi fa che questa offensiva ucraina sarebbe stata lunga, lenta e sanguinosa. Ed è esattamente quello che stiamo vedendo ora” e ha aggiunto che “i russi sono messi male, ma stanno opponendo una dura resistenza”. Secondo un’analisi dei servizi segreti americani, riferita dal Washington Post del 18 agosto 2023, l’esercito ucraino non riuscirà a superare le trincee e i campi minati russi e, soprattutto, non sarà in grado di raggiungere la città strategica di Melitopol, snodo cruciale per controllare le autostrade che collegano il Donbass e la Crimea. Il piano dello Stato Maggiore ucraino di tagliare le linee di rifornimento che dal Donbass arrivano in Crimea non ha conseguito risultati rilevanti, e non si intravedono wunderwaffen che permettano di sbloccare la situazione sul campo.

Anche i dati sulle perdite umane forniscono un quadro molto fosco. Secondo il Pentagono, dal 24 febbraio 2022 quando Putin ordinò la sua criminale invasione, il numero complessivo delle vittime arriva alla cifra di mezzo milione. Le perdite russe sarebbero il triplo di quelle ucraine, infatti il Pentagono ha calcolato che i morti russi sarebbero almeno 120mila, e i feriti tra 170mila 180mila. Quelli ucraini sarebbero 70mila, oltre a un numero di feriti che oscilla tra 100mila 120 mila. Ovviamente, i dati reali sono un segreto superprotetto da entrambi gli eserciti ma, a parte le cifre, molti osservatori hanno notato il notevole allargamento dei cimiteri e il fatto che capita sempre più spesso di incontrare in strada mutilati gravi.

Le difficoltà di Biden

Il presidente americano si è mostrato finora molto prudente e ha centellinato gli aiuti militari che Kyiv chiede con insistenza. L’ultima decisione riguarda l’apertura sugli F-16, i jet da combattimento necessari per rendere più efficaci i movimenti delle truppe sul terreno. La Casa Bianca ha autorizzato Danimarca e Paesi Bassi a fornire i velivoli all’Ucraina ma la consegna vera e propria avverrà soltanto a fine anno e i caccia saranno operativi dalla prossima primavera, quando sarà completato l’addestramento dei piloti ucraini. Il 10 agosto 2023 Biden ha sollecitato il Congresso a stanziare altri 24 miliardi di dollari in favore dell’Ucraina: 13 serviranno per gli armamenti, mentre il resto sarà rappresentato da aiuti umanitari. Finora, dall’inizio dell’invasione, Washington ha concesso finanziamenti per 110 miliardi di dollari ma, in una situazione sempre più polarizzata, ci si chiede fino a quando gli Stati Uniti potranno finanziare le operazioni belliche.

La Casa Bianca di Joe Biden ha sempre più difficoltà a concedere finanziamenti all’Ucraina di fronte allo stallo militare della controffensiva e alla crescente ostilità dei repubblicani. (Foto w:user:Geographer Creative Commons Attribution 1.0 Generic)

Nel dicembre del 2022 il Congresso aveva approvato, col sostegno di democratici e repubblicani, un finanziamento di 45 miliardi di dollari ma con l’avvicinarsi della campagna presidenziale, di fatto già aperta da Donald Trump, i distinguo dei repubblicani diventano sempre più numerosi. Kevin McCarthy, lo Speaker della Camera a maggioranza repubblicana, ha già dichiarato di non essere più disposto a concedere “assegni in bianco” a Kyiv. Nonostante i quattro procedimenti giudiziari che lo riguardano, Trump è nettamente in testa tra i candidati repubblicani e con le su solite fanfaronate, ha già promesso che, una volta eletto, porrà fine alla guerra “in 15 minuti”. La vera debolezza di Biden è che, dopo un anno e mezzo dall’inizio dell’invasione, non ha elaborato nessuna strategia diplomatica per porre fine alla guerra e bloccare quindi l’estensione del conflitto. Il recente colpo di Stato in Niger, l’unico stato vagamente democratico dell’area sub-sahariana, mostra che la mossa criminale di Putin in Ucraina rischia di allargarsi a macchia d’olio in altre aree geografiche. Anche la scelta di non rinnovare l’accordo sul grano mira a far esplodere le tensioni in Africa e la rabbia della popolazione contro gli ex colonialisti, una mossa disumana e dagli effetti potenzialmente distruttivi.

Primi scricchiolii a Mosca

È vero che le previsioni catastrofiche sul tracollo dell’economia russa a causa delle sanzioni occidentali dopo l’invasione si sono rivelate fallaci. Secondo il Fondo Monetario Internazionale nel 2023 Mosca crescerà dell’1,5 per cento, più di Francia e Germania. Questo dimostra che l’infrastruttura economica e finanziaria sotto lo stretto controllo del Cremlino è riuscita a resistere all’impatto delle misure occidentali ed è probabilmente destinata a durare nel tempo. Ci sono però una serie di segnali politici, in primis il tentato golpe di Prigozhin, che mostrano come l’impasse bellico abbia compromesso l’immagine di zar invincibile di Putin. Ma anche a livello economico-finanziario si stanno manifestando segnali preoccupanti che, sul medio termine, potrebbero costringere il Cremlino a rivedere i costi e la strategia della cosiddetta “operazione militare speciale”.

In primo piano c’è il progressivo indebolimento del rublo il cui valore verso il dollaro si è quasi dimezzato nell’ultimo anno. A metà agosto 2023 il rublo ha accusato un vero proprio crollo che ha costretto la banca centrale, guidata da Elvira Nabiullina, a fissare una riunione di emergenza per far fronte alla situazione. Già nel primo semestre dello scorso anno il rublo era riuscito a riprendersi, dopo il crollo seguito all’invasione, ma soltanto grazie all’aumento del prezzo del petrolio, che aveva pompato nuova liquidità nelle casse di Mosca. Oggi la situazione è molto diversa, il mercato del gas e del petrolio si è modificato profondamente e si è stabilizzato, con prezzi più bassi rispetto al 2022. Il vero vulnus è che l’economia si sta orientando strutturalmente soltanto a sostenere lo sforzo bellico. La spesa militare rappresenta ormai un terzo dell’intero bilancio pubblico russo. Lo scorso anno le spese belliche erano cresciute del 10 per cento rispetto al 2021. Nel primo semestre del 2023 la spesa è cresciuta di un valore pari a tutto il 2022 con un finanziamento in deficit.

Con la perdita di valore del rublo rispetto al dollaro l’importazione dei macchinari complessi di cui ha bisogno l’economia diventa sempre più costosa, con il risultato che l’attivo commerciale è vicino ai suoi minimi. Le prospettive negative dell’economia hanno anche ridotto la fiducia degli imprenditori russi che, sempre più spesso, non convertono in rubli i proventi dell’export, né li riportano in patria. Finora, la retorica anticolonialista elaborata da Putin ha avuto una certa presa sui Paesi non allineati, che hanno provato sulla loro pelle la brutalità del colonialismo europeo e dell’espansionismo economico americano. Ma le attuali difficoltà dell’economia cinese e il rischio di una nuova recessione mondiale stanno aprendo gli occhi a quei leader che non hanno preso posizione sull’invasione dell’Ucraina. È vero che i sostenitori dei golpisti nigerini sono scesi in piazza sventolando bandiere russe, ma presto potrebbero rendersi conto che con la sua politica sul grano Putin contribuisce all’innalzamento dei prezzi e alla scarsità del prodotto sui mercati internazionali.

Fino a oggi, soltanto il Vaticano, nell’indifferenza generale, sta facendo degli sforzi diplomatici per il perseguimento di una pace giusta per porre fine alla guerra in Ucraina. Sta emergendo però un filo sottile tessuto dall’India, un Paese democratico con buone relazioni storiche con la Russia ma anche con Stati Uniti ed Europa, e con un ruolo cruciale all’interno dei Brics. La Casa Bianca, per difficoltà finanziarie e politiche, è sempre più tentata dal sondare un’alternativa non militare al conflitto, senza ovviamente scavalcare gli ucraini, rimasti finora fermi alla loro posizione iniziale: prima il ritiro degli invasori, poi si potrà discutere. Anche i russi, nonostante le perdite altissime, hanno mantenuto con fermezza la posizione iniziale. Possiamo però augurarci che il principio di realtà, un conflitto oggettivamente bloccato, riesca a infiltrarsi nelle menti dei cosiddetti Grandi in modo che prendano atto che la soluzione potrebbe venire da Paesi non schierati, e questa sarebbe veramente una prima volta fondamentale nella storia dell’umanità.

(La mappa di copertina è tratta da uno studio dell’ISPI che ha usato come fonte l’Institute for the Study of War)

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