Mostra a Firenze. La bellezza del modello

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Oggi fanno tutti tutto al computer: sullo schermo compaiono i disegni di progetto in “tre dimensioni” e le immagini possono essere rigirate e guardate di sopra, di sotto, di dentro e di fuori da ogni angolatura. L’architettura può essere esplorata in ogni dettaglio: la modellistica virtuale plasma ogni centimetro delle superfici del progetto, linee curve o diritte, spigoli chiusi o aperti, inconsuete sinuosità. Tutto è possibile.

Un tempo, ma neppure sino a molti anni fa, invece chi voleva dare concretezza al progetto di un’architettura realizzava un modellino in scala: in cartone, balsa o altro materiale. Lo si poteva prendere in mano e rigirare, ma con cautela: c’era sempre un che di fragile che imponeva attenzione e ispirava rispetto.

E nel passato ancora più lontano, quando non v’era modo di riprodurre i disegni di progetto tramite stampanti, la costruzione di modelli in scala era ancora più necessaria, soprattutto per le opere più importanti, di valore urbano.

Modello ligneo del Duomo di Milano. Foto Wikipedia

Nel Museo del Duomo di Milano, insieme alla vasta statuaria, ai dipinti e all’oggettistica, la presenza più importante è quella costituita dal grande modello (chiamato “modellone”) ligneo della cattedrale. Come si legge nel sito della Veneranda Fabbrica: “Al 19 maggio 1519 si data la delibera per l’esecuzione di tale opera lignea a cui parteciparono vari architetti come l’Amedeo, Gerolamo della Porta, Cristoforo Solari, Giovanni da Molteno, il Bramantino, Bernardo de Coiri, Antonio da Lonate, e Bernardino da Treviglio. Realizzato in legno di tiglio, noce e cirmolo, con integrazioni d’abete, il Modellone è in scala 1:20 (circa 1/12 per braccio milanese). Dovette allora essere quasi compiuto nella sua parte strutturale con l’abside, il transetto e il tiburio e doveva presentare 5/6 campate dal transetto verso la facciata. Gli intagliatori all’epoca erano: Giovan Pietro da Sesto, Vincenzo da Seregno (detto il Seregni), e Martino da Treviglio. Alcuni restauri sono documentati nel 1607 e nel 1633. Fra il 1760 – 1765 vi fu posta la Guglia Maggiore ad opera di Giuseppe Antignati, che eseguì poco dopo il modello della Madonnina. Inizialmente conservato nell’antico cantiere del Duomo, fu poi smontato, integrato con due campate, molte guglie, falconature e archi rampanti, restaurato e rimontato da Giuseppe Bellora nell’attuale sistemazione. Al Museo sono inoltre conservati due modelli di semi facciata di Francesco Castelli e Luca Beltrami”. Insomma era un modello, ma di per sé anche un’opera architettonica.

Anche Antoni Gaudí della sua opera principe, la Sagrada Famlia di Barcellona ha lasciato diversi modelli che ne prefiguravano l’insieme e le diverse parti: andate danneggiate all’epoca della Guerra Civile spagnola (1936-39), i responsabili del cantiere (com’è noto il tempio espiatorio catalano è ancora in costruzione a quasi un secolo e mezzo dal momento in cui fu cominciato) si sono anzitutto preoccupati di ricostruire i modelli, per poi sulla base di questi procedere alla realizzazione delle diverse parti dell’architettura vera e propria.

Oggi la relativa facilità offerta dai computer ha portato in secondo piano, se non del tutto cancellata l’usanza di realizzare modelli architettonici. E proprio per questo acquisisce un particolare significato la mostra, svoltasi a Firenze nella Sala delle Esposizioni dell’Accademia delle Arti del Disegno di Via Ricasoli dal 5 al 31 ottobre 2021, di modelli realizzati da Stefano Benazzo, intitolata: “L’Architettura e il suo doppio / come progettare tra intelletto e manualità”. Perché se il modello al computer soddisfa l’intelletto, evita (quasi) del tutto la manualità, che pure è fondamentale per conoscere e praticare l’architettura.

Come scrive Cristina Acidini nel catalogo dell’esposizione: “Quel tipo di modello fu per secoli lo strumento più adatto per mostrare in anticipo e con verosimiglianza l’effetto finale di un palazzo, di una fortezza, di un complesso monastico, di una fontana, di un giardino. Quelli che ci restano spesso sono in sé dei capolavori, come i modelli lignei di Michelangelo per la facciata di San Lorenzo a Firenze o dei Sangallo per la nuova basilica di San Pietro a Roma”.

Ma oggi, nell’era del cpomputer, i modellini sono soprattutto soprammobili di valore ornamentale: soprattutto di imbarcazioni storiche. E poi ci sono quelli di carattere turistico, i souvenir. Ma sono oggetti che non hanno alcunché a che fare col vigore progettuale insito nei grandi modelli storici: mancano di autenticità.

Il modello, nella sua fisicità, nel dialogo che inevitabilmente intrattiene con la forza di gravità e con i pregi e i limiti dei materiali di cui si compone, contiene e trasmette il senso della realtà di cui, per precise che siano, le immagini a computer mancano.

Tra i modelli di Stefano Benazzo esposti a Firenze: Arco di Costantino, San Miniato al Monte, Cattedrale di Notre Dame, Sinagoga di Sofia.

Santuario Mariano a Todi. Modello in legno, opera di Stefano Benazzo, 2020. Scala 1:140
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